LUGLIO
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Diario dal Consiglio del 20 luglio 2024

Una extrema ratio per ragioni di giustizia

“Una risposta di giustizia”, così avevamo intitolato il comunicato di giovedì scorso con il quale abbiamo preso immediatamente posizione in ordine alla pratica di Plenum di Settima commissione, approvata con il nostro contributo nella seduta del 10 luglio e relativa al provvedimento del presidente di un tribunale di redistribuzione delle cause in presenza di gravi e reiterati ritardi da parte del giudice titolare. Nell’occasione avevamo affrontato il tema “politico”, evidenziando i valori in gioco, il loro bilanciamento, la prevalenza accordata all’interesse dei cittadini a una decisione rispetto all’interesse dei magistrati dell’ufficio a non vedersi affidare fascicoli aggiuntivi rispetto a quelli del loro ruolo. Vale la pena valorizzare l’importanza della figura di un dirigente che, dandosi carico dei problemi dell’ufficio, affronti di petto le situazioni più spinose e individui una soluzione anche con il confronto e il conforto dei colleghi interessati: è questo il nostro ideale di direttivo, capace di affrontare e risolvere problemi, muoversi con autorevolezza, gestire l’ufficio in modo partecipato assumendosi infine la responsabilità della decisione organizzativa.

Oggi riprendiamo la vicenda al solo scopo di fornire tutti i dati fattuali utili a comprendere appieno il perché della nostra posizione.

Il presidente del tribunale, sul presupposto di numerosi, gravi e reiterati ritardi da parte di un giudice civile nel deposito dei provvedimenti (ordinanze e sentenze), aveva disposto (con variazione tabellare approvata all’unanimità dal Consiglio giudiziario) che le cause ancora riservate in decisione fossero redistribuite, secondo criteri oggettivi e predeterminati, tra tutti i giudici della sezione, i quali avevano espresso il loro consenso nel corso di una riunione regolarmente indetta.

Il dirigente aveva, in sostanza, motivato la propria decisione sulla base di imprescindibili e oggettive esigenze di servizio, quali la garanzia di una durata ragionevole delle cause per le parti, la prevenzione del rischio di nuove procedure ex lege Pinto, con le conseguenti responsabilità erariali, il raggiungimento degli obiettivi del PNRR, la limitazione di ulteriori sovraesposizioni disciplinari per il collega interessato, già attinto da alcune sanzioni.

La situazione rappresentata dal presidente è così riassumibile:

  1. eccezionale gravità dei ritardi, ancora perduranti, e loro cronica strutturalità, evincibile dai numerosi precedenti disciplinari a carico del magistrato per analoghi plurimi e reiterati ritardi;
  2. inottemperanza al piano di rientro, nonostante la concessione di due proroghe;
  3. esiti sfavorevoli di altri piani di rientro;
  4. rilevante incidenza dei ritardi in percentuale sull'intero arretrato del contenzioso civile di tutto il tribunale;
  5. inutilità delle misure organizzative aggiuntive pure adottate.

Il quadro normativo con cui la soluzione si è dovuta misurare è certamente articolato: in primo luogo l’art. 168 circ. tab. vieta la redistribuzione di “procedimenti per i quali sia intervenuta la lettura del dispositivo o che siano già stati trattenuti in riserva o a sentenza”, salve ipotesi eccezionali tra cui non è contemplata quella dei gravi e reiterati ritardi (“dopo la precisazione delle conclusioni, finita quindi l'istruttoria, non è più consentita sostituzione alcuna del giudicante”, stante il “principio generale (…) relativo all'immutabilità del giudice” (Cass. 13831/1999). E comunque “L’intervenuta adozione della decisione da parte del giudice (mediante la lettura del dispositivo) ovvero l’essersi il processo avviato alla sua fase conclusiva (per essere già stato trattenuto in riserva ovvero a sentenza)” impedisce “di norma la redistribuzione dei processi o procedimenti”, dovendo il dirigente “salvaguardare la coincidenza del giudice che ha assunto la decisione con quello chiamato a formulare l’apparato motivazionale”.

La Suprema Corte come il Consiglio superiore in più occasioni hanno ribadito che la regola della coincidenza tra giudice decidente e giudice estensore non è derogabile nei casi di trasferimento del magistrato o del suo collocamento a riposo o fuori ruolo, lo è e nelle ipotesi – oltre che di decesso – di gravi motivi di salute perduranti per un significativo periodo di tempo nonché di sospensione o rimozione dall’ordine giudiziario per effetto di sanzioni disciplinari.

E’ altrettanto vero, tuttavia, che la redistribuzione dei procedimenti già assegnati è oggi disciplinata da altra norma di rango primario: l’art. 37, comma 5-bis, d.l. n. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge n. 111/2011, impone infatti al dirigente, “al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell'ufficio”, di adottare “ogni iniziativa idonea a consentirne l'eliminazione, con la predisposizione di piani mirati di smaltimento, anche prevedendo, ove necessario, la sospensione totale o parziale delle assegnazioni e la redistribuzione dei ruoli e dei carichi di lavoro”.

La redistribuzione dei procedimenti, implicando la revoca della loro attribuzione al primo magistrato, rimanda ad altra norma di legge, l’art. 7-ter R.D. n. 12/1941, che conferisce al dirigente la facoltà di revocare la precedente assegnazione, subordinando tale scelta all’adozione e alla comunicazione di un provvedimento adeguatamente motivato.

Pare evidente dal loro tenore che le regole citate in tema di assegnazione degli affari non possano porsi in contraddizione col complesso dei principi costituzionali relativi alla ragionevole durata del processo (art. 111, co. 2), al diritto di difesa (art. 24) e al buon andamento dell’amministrazione (art. 97, co. 2,). Abbiamo perciò ritenuto che la variazione tabellare in questione fosse meritevole di approvazione da parte del Consiglio, sia quale provvedimento di redistribuzione ai sensi dell’art. 173 circ. tab. sia quale atto di revoca di precedenti assegnazioni ex art. 7-ter OG.

Queste considerazioni conducono a conclusioni sorrette dai seguenti assaggi logici:

  • il nostro ordinamento ammette la possibilità che il giudice impedito nella redazione dei motivi della decisione già pronunciata venga sostituito;
  • tra tali impedimenti non può non annoverarsi il grave e patologico ritardo nel deposito dei provvedimenti (quale è quello accertato in concreto nel caso di specie), destinato a determinare per le parti del processo effetti analoghi a quelli causati dai “gravi motivi di salute perduranti per un significativo periodo di tempo”, che affliggano il giudice;
  • allo stesso modo, è ammessa la revoca dell’assegnazione di procedimenti, ancorché con decisione già in riserva (art. 7-ter R.D. 12/1941), purché disposta con decreto motivato, che faccia leva su imprescindibili e oggettive esigenze (Corte Cost. n. 143/1973);
  • pur a fronte del principio dell’immutabilità del giudice, è ammissibile una redistribuzione degli affari che – prima disciplinata solo a livello di normazione secondaria – trova oggi fondamento legislativo nell’art. 37, co. 5-bis, d.l. n. 98/2011, onde porre rimedio “al verificarsi di gravi e reiterati ritardi da parte di uno o più magistrati dell'ufficio”.

Sembra dunque potersi affermare che la variazione tabellare esaminata rappresentasse l’unica alternativa possibile, quale extrema ratio, per porre “…rimedio ai ritardi nella definizione delle cause nel rispetto del principio previsto dall’art. 111 della Costituzione”, a fronte di una cronica e strutturale intempestività nel deposito di provvedimenti fonte di una lesione dei diritti delle parti costituzionalmente garantiti.

Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello

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