

Diario dal Consiglio del 13 settembre 2025
Un percorso sconcertante per una valutazione professionale
Il Consiglio, nel Plenum del 10 settembre scorso, ha deliberato la valutazione negativa di un magistrato che era stato condannato in sede disciplinare alla perdita di anzianità di un anno per avere intrattenuto ripetuti rapporti di affari con persone che erano state imputate o indagate in procedimenti da lui trattati.
I rapporti avevano riguardato la compravendita o il prestito gratuito – in questo caso per quasi due anni, in attesa dell’acquisto di un nuovo veicolo – di veicoli, tra cui un’autovettura Porsche Cayenne, con un’autoconcessionaria di un piccolo comune meridionale, particolarmente e notoriamente esposto a infiltrazioni mafiose. I due titolari dell’attività erano stati indagati e/o imputati in procedimenti assegnati al magistrato.
In un caso, in particolare, il gestore dell’autosalone era stato imputato di favoreggiamento nei confronti di un latitante (con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di favorire l’organizzazione di stampo mafioso). Il magistrato aveva presieduto il collegio che aveva assolto l’imprenditore per insufficienza della prova dell’elemento soggettivo. La sentenza era stata successivamente riformata in sede di appello, ove l’imprenditore era stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione, poi divenuta definitiva.
Colpisce, in quella vicenda, la diversa valutazione compiuta nelle differenti sedi, sfociata infine in una proposta contrapposta in sede di valutazione di professionalità.
Infatti, il procedimento penale si era chiuso con l’archiviazione per l’inidoneità degli elementi raccolti a sostenere l’accusa in giudizio, non essendo emersi elementi certi né sull’acquisizione di utilità in cambio dell’asservimento della funzione e neppure sulla finalità di favorire una parte del processo. In quel contesto però si era sottolineato il fatto che le valutazioni prescindessero da profili di opportunità in ordine alla condotta del magistrato che aveva ritenuto di non dovere chiedere di astenersi nei due procedimenti penali in cui aveva presieduto il collegio penale, e che, in seguito, aveva usufruito di un trattamento di sicuro favore da parte della concessionaria.
L’accertamento disciplinare ha, invece, portato dapprima al trasferimento cautelare del collega incolpato e poi alla sua condanna alla sanzione della perdita di anzianità di un anno.
Nella procedura per la valutazione di professionalità, il magistrato ha avuto – in un momento antecedente alla sentenza di condanna disciplinare – un parere favorevole all’unanimità dal Consiglio giudiziario, che ha ritenuto non del tutto vulnerata l’indipendenza nell’esercizio della giurisdizione sebbene il magistrato stesso fosse stato all’epoca, per tali vicende, trasferito in via cautelare ad altro ufficio. I rapporti dei dirigenti degli uffici presso i quali egli aveva prestato servizio nel quadriennio erano entrambi positivi e nulla avevano rilevato in ordine ai prerequisiti, essendo stato uno di questi redatto in un periodo antecedente all’emersione delle vicende in esame, dopo l’ordinanza cautelare della sezione disciplinare del CSM, ma prima della sua comunicazione all’ufficio; l’altro rapporto, invece, riportava la medesima dicitura sui prerequisiti, pur essendo successivo alla comunicazione del provvedimento di trasferimento cautelare.
Nella Quarta commissione del Consiglio, le consigliere Nicotra e Mazzola, di MI, hanno proposto di riconoscere la quinta valutazione di professionalità al collega, mentre i restanti componenti, tra cui Francesca, hanno votato per la contrapposta valutazione negativa.
Nel Plenum la proposta positiva ha ottenuto solo 4 voti (dei consiglieri di MI Nicotra, Mazzola, Marchianò e Cilenti), la negativa 21. Erano assenti i consiglieri Paolini e Scaletta.
A sostegno della soluzione positiva sono stati evocati alcuni fattori favorevoli al magistrato in valutazione: l’assenza di elementi comprovanti un esercizio della giurisdizione difforme dai prerequisiti durante il quadriennio; la sua richiesta di astensione, in epoca successiva, dalla trattazione di altri due procedimenti che coinvolgevano, come indagati o persone offese, i medesimi soggetti; la motivazione conclusiva del parere del Consiglio giudiziario che, oltre a riconoscere al collega “elevatissima preparazione giuridica, grande capacità organizzativa, encomiabile produttività, profonda conoscenza dell’ordinamento giudiziario”, dava conto anche della “stima incondizionata del foro, del personale amministrativo e dei magistrati tutti” nei suoi confronti; le funzioni di componente del Consiglio giudiziario presso il quale il magistrato era stato eletto due volte (carica che ricopriva quando quello stesso Consiglio giudiziario, ovviamente in sua assenza, ha rassegnato il parere positivo di cui si è detto); i delicati compiti che gli erano stati assegnati dai dirigenti degli uffici presso i quali egli aveva operato (prima e dopo il trasferimento cautelare), a conferma non solo dell’elevata sua capacità, ma anche della sua affidabilità.
A sostegno della valutazione negativa si è sottolineata invece l’oggettiva gravità delle plurime condotte che si sono protratte nel tempo e, per altro verso, si è messo in evidenza l’effetto che tali condotte potevano avere avuto all’esterno. Nella piccola realtà in cui operava, il magistrato, pur dovendo essere consapevole del proprio ruolo e dell’immagine calata nel particolare contesto sociale, non ha esitato a porre in essere per anni operazioni che gli avevano consentito di acquistare a prezzi molto convenienti, quando non addirittura di usare gratuitamente, vetture di consistente valore e assai appariscenti, presso una concessionaria riferibile a due imprenditori comunque coinvolti in procedimenti penali da lui trattati; ha così posto in essere, senza apparente imbarazzo alcuno, condotte decisamente inopportune, non curandosi del grave vulnus sulla credibilità propria e dell’intero ordine giudiziario.
In un quadro tanto allarmante, che non si presta ad essere banalizzato e non consente neppure di essere valutato in termini di singola, isolata, caduta di professionalità, ci siamo chiesti cosa abbia potuto indurre i colleghi di MI – e, prima ancora, i dirigenti e il Consiglio giudiziario – ad un giudizio indulgente e acritico. Se deve restare un indispensabile presidio dell’indipendenza della magistratura, l’autogoverno richiede un esercizio rigoroso, soprattutto a fronte di condotte idonee a rendere dubbia agli occhi dei cittadini, l’imparzialità del magistrato nell’esercizio della sua delicata funzione.
Francesca Abenavoli, Marcello Basilico, Maurizio Carbone, Geno Chiarelli, Antonello Cosentino, Tullio Morello