Candidata

Maria Eugenia Oggero

Corte d’Appello di Torino

Sono Maria Eugenia Oggero, in magistratura dal 1996, consigliere alla IV sezione penale della Corte d’Appello di Torino, dove lavoro da due anni.

Ho fatto il pretore, il magistrato di Tribunale, il magistrato distrettuale, principalmente nel settore penale, sono stata segretaria dell’ANM ligure e membro del Comitato di Redazione, di “Questione Giustizia”.

Credo nella partecipazione e vedo AreaDG come la migliore possibilità per il magistrato progressista di esprimersi collettivamente: il Coordinamento sarà efficace, se saprà creare un legame stabile con le realtà territoriali, a garantire conoscenza, diffusione, informazione di quanto il gruppo realizza e, viceversa, canale attraverso cui il Coordinamento stesso potrà raggiungere gli uffici.

Partecipo, dunque sono.

Potrebbe essere il leitmotiv che il Congresso di Napoli, iconicamente, ha saputo incarnare, offrendo prova tangibile della realtà, forte, serena, attiva che AreaDG rappresenta per tutti noi.

Penso che questo spirito debba accompagnarci, negli uffici come nell’agire collettivo.

Nasce così il significato di una candidatura, perché è importante contribuire, secondo le proprie attitudini, capacità, esperienze all’espressione di un gruppo che si pone l’obiettivo, ambizioso e stimolante, del miglioramento continuo, fuori e oltre gli steccati del neo-corporativismo.

E dunque, il tema dei giovani magistrati diventa centrale, per chi, come noi, si propone di tradurre in azione concreta il pensiero che elabora.

Ottima l’iniziativa di costituire l’Osservatorio per i Giovani Magistrati, sottoscrivo ogni perplessità che l’attuale sistema di reclutamento pone.

Aggiungerei che, se la magistratura è un SERVIZIO per la comunità – come la nostra Carta dei Valori evidenzia – dovremmo sempre curare questo punto di vista, fuggire la tentazione di cadere nell’individualismo: migliorare il sistema di selezione garantisce il singolo ma, ancora più, la comunità, per cui la magistratura lavora.

Il pensiero collettivo si arricchisce attraverso i contatti, i ponti e gli scambi: cerchiamo di trovare interlocutori, non solo all’interno ma anche – e soprattutto – al nostro esterno, come ci hanno insegnato, in anni di testimonianza, i nostri amici più grandi, che tante battaglie hanno saputo fare e vincere, procurandoci l’eredità preziosa del magistrato democratico che ora sta a noi fare vivere e prosperare.

Raggiungiamo, se vogliamo affrontare il tema del reclutamento dei magistrati, l’Università, perché forse qualche criticità nasce già nel percorso universitario.

Non abbandoniamo ciò in cui crediamo, mai.

Abbiamo pensato, studiato e scritto che la buona organizzazione richiede la partecipazione di chi compone un ufficio: questo non s’impara all’Università, neppure si apprende negli anni che seguono, quando ci si sfinisce di nozioni, pandette, dottrina e si trascorre il tempo nella lettura di sentenze, dotte, importanti ma che nulla possono dirci su cosa accade all’interno di un ufficio giudiziario.

Siamo noi magistrati progressisti che, nel corso degli anni, abbiamo saputo elaborare – con l’aiuto prezioso dell’apporto esterno alla magistratura – fondamentali principi che costruiscono il magistrato collettivo.

Dobbiamo rivendicarlo e aiutare i più giovani di noi ad attuare questi principi.

E allora, il buon dirigente di un ufficio deve essere in grado di intuire, dalle prime avvisaglie di difficoltà, l’eccessivo carico affidato al collega, le criticità che una giovane mamma incontra nel rispettare i termini di deposito, rimediando, in prevenzione e prima che il problema si traduca in percorso disciplinare, la problematica situazione.

Se, com’è vero, la gestione deve essere partecipata, chi lavora nell’ufficio, ancora una volta, deve esserne consapevolmente parte.

L’autogoverno ha il compito, a un tempo alto e concreto, di tradurre in azione i principi, come al singolo è demandato di offrire il proprio contributo perché ciò possa avvenire: la sintesi che, attraverso il Coordinamento potrà attuarsi, sarà quindi fondamentale.

Ai giovani dobbiamo offrire, con semplicità, questi insegnamenti, lavorando perché il nostro servizio sia percepito come tale dalla comunità, cui, sola, appartiene: così vedo l’impegno, una catena in cui ciascun anello si salda nell’azione comune.