Protezione internazionale

Un flusso alluvionale di iscrizioni che la pandemia non ha fermato

La crisi sanitaria non ha inciso sui ritmi di lavoro, ma sulle modalità organizzative degli uffici e sulla giurisprudenza relativa ai ricorsi per sospensione dei provvedimenti sfavorevoli al richiedente

La pandemia ha colto le ventisei sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea e la Corte di cassazione nella piena del flusso alluvionale di nuove iscrizioni di procedimenti di protezione internazionale.

La dimensione del fenomeno è ben rappresentata dai numeri della Corte di cassazione: alla data del primo gennaio 2017, a fronte di 106.860 procedimenti complessivamente pendenti presso le sezioni civili e tributarie della Corte, soltanto 310 fascicoli riguardavano la protezione internazionale; meno di tre anni dopo, alla data del 31 ottobre 2019, le pendenze erano esplose, raggiungendo le 11.287 controversie, il 10% per cento circa degli interi carichi civili e tributari della corte e quasi il 20% delle iscrizioni nei ruoli delle sezioni civili. Le pendenze sono state alimentate nel 2019 da oltre ottomila nuovi fascicoli. I flussi sono inoltre in crescita costante perché costante è l’afflusso di nuovi procedimenti presso i Tribunali, a causa del forte aumento della produttività, negli anni 2018 e 2019, delle commissioni territoriali, rafforzate dall’ampliamento degli organici e dal supporto dei ricercatori dell’European Asylum Support Office (EASO). I Tribunali, appesantiti da carichi e sopravvenienze crescenti, hanno a loro volta aumentato la produttività con il consolidamento delle sezioni specializzate che, dal gennaio 2020, pure si avvalgono del supporto dei ricercatori di EASO. Le decisioni di rigetto dei Tribunali sono destinate a trasformarsi, in gran parte, in ricorsi di Cassazione, in seguito all’abolizione dell’appello per mano del legislatore del 2017.

La diffusione del Covid 19 non ha tuttavia interrotto i ritmi di lavoro dei giudici di primo grado, ma ha piuttosto inciso sulle modalità organizzative degli uffici e anche sul contenuto della giurisprudenza delle cosiddette “sospensive”. Se, infatti, la legislazione dell’emergenza ha interrotto i flussi dei nuovi procedimenti, in conseguenza della sospensione dei termini di impugnazione dei provvedimenti delle commissioni territoriali, le sezioni specializzate hanno continuato, grazie al processo civile telematico e alle camere di consiglio “a distanza”, a definire i procedimenti già “trattati” e a fronteggiare il flusso costante e consistente di domande cautelari. Inoltre, la legislazione emergenziale consente ai Tribunali di svolgere udienze con contraddittorio cartolare e udienza “a distanza” nel periodo compreso tra il 12 maggio ed il 31 luglio 2020.

I procedimenti “in attesa di decisione” sono trattati in camera di consiglio grazie agli applicativi ministeriali di videoconferenza protetta. Ciò è consentito dalla legge n. 27/2020 che, al comma 12 quinquies dell’articolo 83, ha stabilito che dal 9 marzo al 30 giugno 2020 (termine poi prorogato al 31 luglio dal DL n. 28 del 2020), nei procedimenti civili, le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possano essere assunte mediante collegamenti da remoto e che “il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge”. I procedimenti di protezione internazionale sono regolati, secondo il più recente assetto normativo in vigore dall’agosto 2017, dalle scarne previsioni degli articoli 737 e seguenti del Codice di procedura civile sui procedimenti in camera di consiglio che affidano la decisione al collegio. La camera di consiglio è dunque il cuore del processo, perché i giudici del collegio ripercorrono il racconto del richiedente protezione, filtrano i fatti anche alla luce delle fonti sul paese d’origine (cosiddette COI), esaminano e discutono i profili di credibilità della storia personale, si confrontano sulle non poche e non facili questioni sostanziali e processuali che discendono dall’applicazione delle fonti nazionali e sovranazionali.

Contribuisce a complicare il quadro un tessuto normativo deformato dai ripetuti interventi emergenziali, spesso sospinti dall’intensità dello scontro politico sul tema dell’immigrazione. Il DLg 28 gennaio 2008, n. 25, adottato in “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”, è stato modificato più volte, da ultimo con il cosiddetto “decreto sicurezza” (DL 4 ottobre 2018 n. 113, convertito dalla legge 1 dicembre 2018 n. 132), che ha anche introdotto nuove “procedure accelerate” per nuove ipotesi di “manifesta infondatezza”, di problematica applicazione. Tra queste, le forti limitazioni del diritto di difesa per soggetti provenienti da Paesi di origine sicuri. Anche la Direttiva 2005/85/CE del Consiglio è stata modificata dalla Direttiva 2013/32/UE (rifusione) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

La scelta del rito camerale riflette la chiara intenzione del legislatore di promuovere una celere definizione dei procedimenti: ai sensi dell’articolo 35 bis, comma 13, del citato DLg n. 25 essi dovrebbero essere conclusi in primo grado entro quattro mesi dalla presentazione del ricorso e nel grado di legittimità entro sei mesi; addirittura, al successivo comma 15 dello stesso articolo, il legislatore ha stabilito che “la controversia è trattata in ogni grado in via di urgenza”, mentre, il comma 14 prevede che, nel periodo feriale, non operi la sospensione dei termini processuali.

La disciplina complessiva lascia intendere che, idealmente, nella concezione del legislatore, il processo di protezione internazionale dovrebbe svolgersi con contraddittorio cartolare senza la celebrazione di udienze, salvi casi eccezionali nei quali il rito sommario e “deformalizzato” consenta comunque una celere trattazione. Una rapida definizione positiva avrebbe così l’effetto di assicurare la protezione al richiedente meritevole, mentre il rigetto porrebbe fine al servizio di accoglienza e provocherebbe l’allontanamento dal territorio dello Stato dei soggetti che non abbiano titolo per restare. Gli effetti del diniego di protezione si producono infatti immediatamente, anche in caso di ricorso per Cassazione, salvo che intervenga una sospensione urgente del giudice su richiesta della parte.

Questo è l’assetto nelle intenzioni del legislatore ma la realtà è differente. Si deve innanzitutto considerare che i termini fissati dal legislatore sono assolutamente incompatibili con i carichi di lavoro delle sezioni, non essendo inusuale che le cause assegnate al singolo giudice superino i millecinquecento fascicoli. Va poi osservato che il rito “flessibile” dei procedimenti in camera di consiglio, scelto dal legislatore, ha natura di procedimento camerale “contenzioso”. Esso riguarda diritti soggettivi e non interessi; anzi si tratta dei diritti soggettivi più intensi e pregnanti che l’ordinamento protegga, ossia diritti fondamentali, tutelati dalla Costituzione (articolo 10), dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (articolo 18) e da importanti Convenzioni internazionali (Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal Protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati). Va poi tenuto in considerazione che la materia sostanziale della protezione internazionale (le cosiddette “qualifiche”), e così quella relativa al processo, sono ampiamente regolate dal sistema europeo comune dell’asilo (CEAS, Common European Asylum System), ossia da un ordito normativo costituito da direttive e regolamenti europei. Secondo la Direttiva “procedure” (oggi 2013/32/UE, nella sua versione “rifusa”), il giudizio di fronte al giudice rappresenta il “livello della protezione giudiziaria effettiva” (si veda il considerando 50): ciò significa che l’idoneità del processo a tutelare in modo effettivo i diritti del richiedente asilo deve essere vagliata, attraverso le norme della direttiva, alla luce dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, della sempre più frequente giurisprudenza della Corte di giustizia, oltre che degli articoli 24 e 111 della Costituzione italiana. Le regole processuali debbono dunque essere applicate dal giudice in modo da garantire un pieno di diritto di difesa al richiedente e di contradditorio alle parti.

Di questa esigenza di tutela effettiva deve tenere conto il giudice nella fissazione delle udienze “virtuali” o “a distanza” in tempo di pandemia. Va al riguardo detto che, il legislatore dell’emergenza non ha incluso i procedimenti di protezione internazionale tra le materie sottratte al regime eccezionale di sospensione delle attività giudiziarie, previsto dalla decretazione d’urgenza (comma 3 dell’art. 83 del DL n. 18/2020); la mancata inclusione tra i procedimenti di trattazione urgente in tempo di “Covid-19” mal si concilia con la previsione generale del quindicesimo comma dell’articolo 35 bis del DLg n. 25 del 2008, per il quale la controversia è trattata in ogni grado in via di urgenza. La generale natura “urgente” della materia consente, però, di darvi priorità nel periodo “intermedio”, quello cioè successivo al 12 maggio ed esteso fino al 31 luglio dal DL n. 28/2020 (commi 6 e 7 dell’articolo 83), durante il quale compete ai singoli uffici regolamentare la fissazione delle udienze “a distanza” compatibilmente con le esigenze di tutela sanitaria locale. Come noto, la decretazione d’urgenza ammette due possibilità di “udienza” civile a distanza nel periodo intermedio: la fissazione di udienza telematica “da remoto”, con accesso dell’avvocato, delle parti e dell’ausiliario (quest’ultimo contemplato solo dal DL n. 28/2020) nella stanza virtuale del giudice, nei procedimenti in cui la presenza della parte sia necessaria (articolo 83, comma 7, lettera f, del DL n. 18/2020) oppure lo scambio e deposito telematico di note scritte degli avvocati, contenenti solamente istanze e conclusioni, e l’adozione fuori udienza del provvedimento, nei casi in cui la presenza della parte non sia necessaria (lett. h dello stesso articolo 83, comma7).

Come detto, nei procedimenti camerali di protezione internazionale, non solo la presenza della parte ma nemmeno l’udienza è necessaria, ai sensi di legge. Il più volte citato articolo 35-bis stabilisce infatti, nel suo decimo comma, che l’udienza di comparizione delle parti è fissata dal giudice “esclusivamente” quando il giudice ritenga necessario richiedere chiarimenti alle parti, disporre l’audizione del richiedente protezione o ancora disporre l’assunzione di mezzi prova o una consulenza tecnica. Ai sensi del successivo comma, il  giudice deve poi disporre l’udienza quando non sia disponibile la registrazione dell’audizione davanti alla commissione territoriale; quando il ricorrente ne faccia richiesta adducendo ragioni che portino a ritenere la “trattazione del procedimento in udienza essenziale ai fini della decisione”; quando il ricorrente deduca fatti nuovi. Tuttavia, in mancanza della normativa secondaria che regoli la videoregistrazione davanti alle commissioni territoriali, queste provvedono a mera verbalizzazione dell’intervista, con verbale sintetico; ne consegue che la fissazione dell’udienza è divenuta la regola. Si tratta di un’udienza in cui la presenza della parte non è necessaria, salvo che il giudice decida di disporre l’audizione personale. Con l’eccezione di quest’ultimo caso, in periodo di pandemia, il giudice potrà disporre lo svolgimento del contraddittorio cartolare in luogo dell’udienza “a distanza”. Tuttavia, il confronto con i legali seppure non legalmente necessario, può essere indispensabile per completare il contraddittorio e quindi nei casi in cui, dalla lettura del fascicolo della Commissione territoriale, appaia necessario chiedere chiarimenti oppure sottoporre al contraddittorio fatti nuovi o disporre integrazioni istruttorie. Il giudice ha pertanto il compito non facile né veloce di identificare nel suo vastissimo ruolo quei fascicoli nei quali non appaia necessario approfondire fatti ma si tratti, invece, per lo più di qualificare giuridicamente fatti già appurati.

Non sarà invece possibile svolgere udienza nel periodo dell’emergenza, nei casi in cui il giudice debba assumere mezzi istruttori con la presenza di terze persone: in questo caso l’udienza sarà rinviata a data successiva al 31 luglio. Così come sarà opportunamente rinviato a data successiva al 31 luglio il procedimento in cui sia necessario procedere all’audizione del richiedente protezione. In questo caso sarebbe astrattamente applicabile il procedimento di udienza da remoto, regolato dall’articolo 83, comma 7, lett. f: tuttavia le modalità dell’ audizione che, secondo le linee guida dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, deve avvenire in un ambiente e clima di fiducia, solitamente con la presenza di un interprete e, in alcuni casi, di un mediatore culturale, non appaiono compatibili con un’intervista resa a distanza attraverso strumenti telematici.

Il giudice della pandemia affronta invece regolarmente i numerosi casi di “sospensive” che rientrano tra le seguenti categorie di procedimenti che si sottraggono alla regola della sospensione dell’attività giudiziaria: “[...] c) i procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela di diritti fondamentali della persona; [...] i) i procedimenti ex artt. 283, 351 e 373 cpc” (Art. 83 del DL n. 18/2020).

Le richieste cautelari di sospensione sono frequenti, nonostante la legge, al terzo comma dell’articolo 35 bis del DLg n. 25 del 2018 preveda, quale principio generale, che “la proposizione del ricorso al giudice ordinario sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato”. L’effetto sospensivo generalizzato significa, in concreto, non solo che il richiedente protezione internazionale non possa essere allontanato dal territorio dello Stato, ma anche che ella o egli abbia la possibilità di permanenza nel sistema di accoglienza, nel caso in cui vi fosse stato in precedenza inserito, e goda dei benefici sociali connessi al rilascio del permesso di soggiorno per richiesta di protezione internazionale, ivi compresa l’iscrizione obbligatoria al servizio sanitario nazionale (SSN). Senonché la legge, così come la direttiva europea, prevede numerose eccezioni al principio dell’effetto sospensivo automatico. In questi casi, il quarto comma dell’articolo 35 bis stabilisce che, a domanda dell’interessato, l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato possa essere sospesa dal giudice, quando “ricorrono gravi e circostanziate ragioni”. Inoltre, l’effetto protettivo della sospensione automatica si esaurisce con la decisione di rigetto da parte del Tribunale, ai sensi del comma 13 dell’articolo 35 bis. Anche in questo caso tuttavia, pendente ricorso per Cassazione, in presenza di “fondati motivi” è possibile per la parte richiedere la sospensione al giudice che ha pronunciato il decreto impugnato. Per completezza, ma senza entrare nel merito, le parti, se ricorrono “gravi e circostanziate ragioni”, possono chiedere la “sospensiva” anche nel caso di impugnazione dei provvedimenti di diniego di rinnovo e di revoca del permesso di soggiorno di protezione speciale ai sensi degli articoli 19 ter e 5 del DLg 1 settembre 2011 n. 150; ed inoltre ai sensi dell’articolo 3, comma 3 quater DLg n. 25/2008, il Tribunale può essere investito di una domanda di sospensione contro le decisioni di trasferimento adottate dalla “Unità Dublino”, pure in presenza di “gravi e circostanziate ragioni”.

Si tratta complessivamente di ipotesi frequenti di ricorsi per sospensione, perché frequenti sono le decisioni di inammissibilità o di manifesta infondatezza delle commissioni territoriali, così come sono frequenti i ricorsi per Cassazione contro le decisioni di rigetto dei Tribunali. L’accoglimento della sospensiva produce lo stesso effetto protettivo della sospensione automatica (nel caso del quarto comma dell’art. 35 bis con il rilascio di un apposito permesso di soggiorno).

Nella pratica, si diceva, si tratta di procedimenti affrontati con frequenza dai Tribunali anche in periodo pandemico, senza la necessità di ricorrere al meccanismo dell’udienza a distanza, perché la legge prevede, anche a regime e salvi casi eccezionali, che il contraddittorio sia solo cartolare.

Piuttosto la pandemia ha prodotto effetti significativi sul merito delle decisioni di sospensiva, determinando un mutamento provvisorio della giurisprudenza. Al principio della prevenzione di un danno irreparabile per la salute individuale e collettiva si è infatti richiamata la giurisprudenza del Tribunale di Milano che, nel periodo dell’emergenza, ha deciso di accogliere le sospensive proposte nei procedimenti di protezione internazionale. La motivazione è stata dettata dall’eccezionale situazione di emergenza sanitaria e dalle eccezionali norme adottate dal Governo per contrastarla. Le misure cautelari richiamano l’articolo 32, comma 1, della Costituzione italiana che sancisce “la salute come fondamentare diritto dell’individuo e interesse della collettività” e le istruzioni diffuse il 9 marzo dall’Istituto Superiore della Sanità (ISS), in collaborazione con lo European Centre for Disease Control e il Ministero della Salute per prevenire la diffusione della malattia e per proteggere gli operatori sanitari dal contagio. Nei casi all’attenzione del Tribunale, il rigetto della sospensione avrebbe comportato la revoca del permesso di soggiorno temporaneo per richiesta di asilo, con conseguente revoca dell’iscrizione obbligatoria al servizio sanitario nazionale e l’impossibilità di osservanza delle prescrizioni dell’Istituto Superiore della Sanità a tutela della salute individuale e collettiva.