Saluti istituzionali

Fabio Pinelli
Vicepresidente del CSM

Un’esperienza nuova

Frequento gli uffici giudiziari da trent’anni ed ho avuto rapporti intensi con molti magistrati, rapporti sempre rispettosi entro il limite imposto dalla diversità dei rispettivi ruoli professionali e delle connesse responsabilità nel processo.

Adesso mi trovo ben oltre quel limite, essendo impegnato, per la mia attuale funzione, nella prima linea della giurisdizione.

Un grande onore per me servire il Paese e addentrarmi in un territorio nuovo, diverso anche dalla quotidianità delle aule di giustizia, comunque vivo e pulsante nella sua ormai lunga storia, con regole e dinamiche del tutto peculiari.

Mi permetto di offrire qualche riflessione; vorrete perdonarmi per tutto quello che non ho ancora capito, vorrete essere indulgenti per tutto quello che non ho ancora imparato.

L’etica della responsabilità nel conflitto sociale

Da giurista ho da sempre ritenuto fondamentali i principi di autonomia e indipendenza della magistratura, irrinunciabili presidi di una giurisdizione dinanzi alla quale i cittadini devono potersi sentire uguali. Solo il magistrato che possa esercitare la propria funzione senza condizionamenti – sine spe ac metu, come si usava dire – è in grado di garantire l’effettività dei diritti dei cittadini riconosciuti dalla legge, da applicare con rigore, coscienza e prudenza. Perché l’autonomia e indipendenza di ogni magistrato riposa, innanzitutto, nella soggezione del magistrato alla legge ed è strumentale all’esercizio – imparziale e responsabile – delle prerogative della funzione. E a garanzia dei diritti dei cittadini, non è una forma di tutela della magistratura fine a sé stessa.

La fiducia dei cittadini nella giustizia può esservi solo se la funzione viene così esercitata ed in ciò riposa, in definitiva, la legittimazione democratica della magistratura. Ferrajoli ricordava: «ogni cittadino del proprio giudice ricorderà l’equilibrio o l’arroganza, il rispetto oppure il disprezzo per la persona, la sua capacità di ascoltare le sue ragioni oppure la sua ottusità burocratica, la sua imparzialità o il suo pregiudizio. Ricorderà, soprattutto, se quel giudice gli ha fatto paura o gli ha suscitato fiducia. Solo in questo secondo caso ne avvertirà e ne difenderà l’indipendenza come una sua garanzia, come una garanzia dei diritti di cittadino».

Il Consiglio superiore e la sua responsabilità istituzionale: l’involuzione maggioritaria

Il Consiglio è uno snodo fondamentale della tenuta del tessuto democratico in quanto presidio della sovranità della legge uguale per tutti e garante, rispetto ad ogni altro potere, della giurisdizione indipendente, responsabile ed eguale, credibile agli occhi dei consociati e perciò legittimata.

Nella sua storia lunga e progressiva il Consiglio si è guadagnato un ruolo non limitato alla dimensione meramente funzionale amministrativa, ma di custode istituzionale dei valori di autonomia e indipendenza della magistratura nell’interlocuzione leale con gli altri poteri dello Stato.

Non devo certo ricordare a voi le discussioni sul modello costituzionale di magistrato, sull’individuazione degli strumenti più idonei ed efficaci per garantirne l’indipendenza interna ed esterna e la soggezione soltanto alla legge, l’elaborazione di strumenti sempre più raffinati per garantire l’adeguatezza culturale e l’impegno professionale dei magistrati senza condizionamenti della funzione.

Non credo di poter essere smentito nel dire che il Consiglio e i gruppi associati – all’interno di un processo di involuzione in verità già avviato probabilmente nel solco della parallela involuzione delle strutture della società politica agli albori degli anni Ottanta – non hanno retto all’impatto dello scenario offerto dalle novità ordinamentali del 2006.

Il dibattito sui principi è stato, in larga parte, sostituito da quello sulle persone, avendo acquisito centralità il conferimento degli incarichi rispetto ad ogni altro tema di approfondimento. Eppure al cittadino, e anche a molti magistrati, interessa la funzionalità degli uffici e la tempestività della risposta giudiziaria, e dunque che il Consiglio sia davvero organo di alta amministrazione, che approvi tabelle, proceda tempestivamente alla conferma di direttivi, copra le vacanze e così via. Ma al Consiglio è sembrato via via interessare più quale magistrato debba ricoprire l’incarico, far valere all’interno della magistratura e forse all’intera società politica, quale fosse la corrente più forte, quella in grado di nominare il numero più significativo di direttivi e così via.
Non è il caso di approfondire le ragioni anche storiche che hanno determinato tutto questo, ma certamente possiamo dire che come autorevolmente segnalato da Gaetano Silvestri – anche di recente e davanti al capo dello Stato – le correnti della magistratura hanno seguito in piccolo la china dei partiti politici, perdendo attitudine direttiva e trasformandosi in agenzie di potere spicciolo, aprendo spazi crescenti e leaderismi e personalismi.

La spinta ideale è apparsa sostanzialmente esaurita, il dibattito culturale pressocché inaridito, le energie assorbite da conflitti di potere, aspirazioni egemoniche, conquista di spazi di visibilità attraverso un predominio che non si misura più sulla forza delle idee, ma sulla capacità di prevalere sul campo di gioco degli incarichi da conferire e delle promozioni da riconoscere, spesso secondo criteri di appartenenza.

L’intero sistema del governo autonomo, l’impegno e il pensiero che lo hanno sostenuto e animato, a partire dagli stessi gruppi associativi, hanno smesso di costituire strumenti di un percorso istituzionale virtuoso di costruzione e difesa di una giurisdizione democratica, indipendente, imparziale, orientata a fornire alla comunità un servizio adeguato all’altezza dei tempi. Il governo della giurisdizione è divenuto il fine esclusivo dell’impegno di molti, in una chiusura troppo spesso autoreferenziale che lo ha reso sordo all’esterno, interrompendo i canali di comunicazione con il mondo di fuori, con l’evoluzione continua della società, delle sue attese e dei suoi bisogni di giustizia. Insomma, senza nessuno sguardo ai cittadini.
I risultati di tale involuzione si sono visti con la precedente consiliatura, in una corsa alla svendita della reputazione del Consiglio, perfino della sua legittimazione, offrendo così il fianco a operazioni ostili di radicale revisione dell’istituzione.

Ma il Consiglio, questo è il mio quotidiano impegno, deve sottrarsi a questo sterile gioco di contrapposizioni tattiche in cui il dibattito di politica giudiziaria, quello nobile, relativo ai grandi temi della giurisdizione, fatalmente scompare. Deve pensare di alzare il proprio sguardo.

Il senso dell’impegno dei magistrati

Mi chiedo se ci sia anche tutto questo dietro l’assenza di spinta ideale che sembra affliggere le nuove generazioni di magistrati, che sentono parlare per lo più di correnti e di diritti di categoria, anziché del dovere di servire il Paese con onore.
Chi insegna oggi ai giovani magistrati questo senso profondo, chi ne forma lo spirito di servizio, non meno importante del pur necessario aggiornamento professionale?
La magistratura dovrebbe interrogarsi oggi come si costruisce la figura del magistrato, dialogare con le Università per contribuire alla formazione dell’etica del giurista, occuparsi del fatto che essere magistrato è un potere ma anche, e vorrei dire soprattutto, una responsabilità e un servizio per il proprio Paese. Ma troppe volte emerge la dimensione del potere, non la dimensione del servizio. Questo è un punto sul quale credo ci debba essere una riflessione anche all'interno del Consiglio Superiore della Magistratura. Io comprendo i problemi di governo spicciolo, però se il Consiglio si ridurrà a questo, credo che morirà. Se viceversa sarà in grado di porre le questioni di governo spicciolo in una visione di governo complessivo della magistratura, intesa come orizzonte da dare alla magistratura, che idea di giustizia in un Paese democratico del 21esimo secolo, allora potremo dire per davvero di aver imboccato una nuova strada.
Anche questi sono compiti che richiedono l’attenzione del Consiglio, della magistratura associata nel suo complesso – compresi certamente i gruppi associativi – e dei dirigenti degli uffici. Insieme dobbiamo aiutare i magistrati a recuperare il senso della loro missione, a riacquistare orgoglio e fiducia nella funzione giurisdizionale.

Il Consiglio superiore e la sua responsabilità istituzionale: il recupero della credibilità

Ma vengo a qualche considerazione di governo piu spicciolo, prima di permettermi una riflessione di piu , pure molto importante nella vita quotidiana del magistrato, prima di qualche spunto di piu ampio respiro.

Sin dal momento del nostro insediamento abbiamo tutti dovuto prendere atto della elevata mole di pratiche arretrate di cui il Consiglio è gravato, nei settori più delicati del governo autonomo della magistratura. Abbiamo tutti ragionato sull’assurdità e, per certi aspetti, inutilità di un Consiglio che approva le tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari quando il termine della loro vigenza è pressoché concluso, o valuta la conferma degli incarichi semidirettivi e direttivi quando è sostanzialmente trascorso il secondo quadriennio di loro esercizio.

Mi sono persuaso di quale grave pregiudizio sia per il funzionamento degli uffici giudiziari la mancata copertura, prolungata per mesi, talvolta anni, degli incarichi dirigenziali, e del danno arrecato ai magistrati dal ritardo delle valutazioni di professionalità. Senza parlare delle condizioni critiche dell’intero settore della magistratura onoraria, che appare sostanzialmente da ricostruire, alla luce delle innovazioni legislative che chiamano il Consiglio ad una generale verifica di adeguatezza ed ad un nuovo, ampio, reclutamento.

Sappiamo anche quanto tutto ciò pregiudichi l’immagine, il prestigio e la credibilità del Consiglio agli occhi dei cittadini, dei magistrati e degli uffici giudiziari, dai quali, invece, l’organo di governo autonomo pretende rigore e tempestività.

È stato condotto un approfondimento tecnico che ha meglio dettagliato i caratteri di questo arretrato ed è sembrata quindi evidente la necessità di una revisione del calendario dei lavori nel senso dell’intensificazione delle riunioni di commissione, all’unico elementare fine di aumentare funzionalità e produttività dell’organo. Condividendo tutto ciò con il Presidente della Repubblica e nel solo interesse dei magistrati sul territorio.

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Questi obiettivi, che ho elencato soltanto in via esemplificativa per difetto, richiedono idealità, confronto aperto e trasparente sui valori, sguardo lungo.

E invece io trovo sovente l’energia e l’attenzione del Consiglio ancora catturata – secondo la perversa logica frammentata, oppositiva e pregiudiziale che ho citato – dalle pratiche di rilievo quasi esclusivamente personalistico.

Come se la scelta di un dirigente piuttosto che di un altro – tra magistrati qualificati, seri ed onesti fino a prova contraria – fosse veramente in grado di condizionare l’operatività di un ufficio giudiziario fino a condizionare – si è sentito pure questo – gli esiti di specifici procedimenti giudiziari.

Un dibattito culturale “alto”

La rilegittimazione del Consiglio e della magistratura nel suo agire complessivo deve viceversa passare da una rinnovata capacità di elaborazione culturale e di partecipazione al dibattito vivo della società.

La magistratura deve avere l’obiettivo di porsi come interlocutore della politica sul tema, cruciale, del governo delle tendenze presenti nella moderna società conflittuale. Una società che da tempo non crede nella politica e nelle istituzioni e pretende di saltare le necessarie mediazioni (che trovano il loro luogo elettivo nella politica e nelle formazioni intermedie) cercando esclusivamente nella giurisdizione la soluzione delle nuove disuguaglianze economiche e la promozione dei più disparati diritti e bisogni, avulsi da doveri e istanze di solidarietà sociale.

Ora, non vorrei, come disse la poetessa Wisława Szymborska, cadere nell’errore e dover chiedere scusa alle domande grandi per le risposte piccole che sono in grado di offrire. Ma credo di dover offrire alla vostra attenzione una mia lettura delle cose, ben sapendo che la risposta a quesiti così complessi non può essere unica perché, per dirla con Tolstoj, non esiste la verità intera, ma solo le mezze verità. (Il problema è, semmai, che trattiamo le mezze verità come verità intere).

La disordinata proliferazione normativa tende ad assecondare le istanze in funzione dell’inseguimento di un consenso di breve periodo. La politica, già debole davanti alle disuguaglianze economiche indotte dalla globalizzazione, ha da tempo rinunciato a governare i processi sociali, da quando – come prima accennavo –, persa dietro le logiche della gestione del potere, ha smarrito la sua fondamentale funzione di guida, indirizzo, orientamento. La richiesta di soluzione dei conflitti si è allora concentrata sulla giurisdizione.

Il giudice, infatti, a differenza degli altri poteri, non può selezionare le istanze di giustizia né rinviare la decisione. Deve decidere e, nella decisione, non è responsabilizzato dalla considerazione del quadro complessivo in cui la sua decisione si cala.

In più, egli si è fatto portatore di una nuova etica pubblica che trova fondamento nell’ipertrofia penalistica e nel connesso populismo penale. Un’etica che però – questo è il punto – gli è stata rimessa dalla politica che ha abdicato alla sua funzione primaria di promotore dell’etica pubblica, dell’idem sentire della società, dell’enucleazione e promozione di valori condivisi senza i quali la società si disgrega.

È la nuova “società giudiziaria”. Il primato del diritto penale valoriale diventa il terreno del risanamento sociale. Eppure, riprendendo Massimo Donini, i giudici «non sono moralmente rappresentativi (…): chi fa il giudice penale o il pubblico ministero non è un'autorità morale nella persona fisica che esercita quel ruolo. Né lo è sul piano istituzionale: etica e diritto devono rimanere distinguibili, anche se sono in parte sovrapposti. La ricerca del "bene comune" non è un compito che possa essere lasciato ai penalisti, che si occupano solo di sanzionare o assolvere, producendo, infine, un cortocircuito. Il loro mestiere e il loro ruolo sono stati enfatizzati oltre ogni limite. È dunque tempo che la politica e la società civile riprendano in mano le sorti della loro virtù pubblica».

Dunque la politica si ritrae, ma abbandona la magistratura in un terreno insidioso, di fatto ingestibile con i mezzi propri della giurisdizione, riservandosi la critica a sostegno di possibili interventi di ultima istanza. E si tratta di interventi che non possono andare ad incidere sulle falle del circuito del consenso tra società politica e società civile, bensì investono direttamente la sola giurisdizione.

Il conflitto sociale si trasferisce pressocché integralmente nelle aule di giustizia, la magistratura si trova a sostenere questo compito soverchiante e, fallendo, risulta inevitabilmente non credibile, perdendo così la fiducia dei cittadini. La società giudiziaria è in mezzo tra la società politica e la società civile; abbandonata dalla prima, schiacciata dalla seconda. Seguendo di questo passo, la giurisdizione è fatalmente destinata a confondersi nella crisi del sistema non potendo reggere la moltiplicazione e diffusione dei conflitti e di inediti diritti.

Vladimiro Zagrebelsky ha scritto recentemente un importante articolo («Se il clima malato finisce in tribunale») dove si evidenziano i limiti intrinseci delle decisioni dei giudici su questioni generali (i cambiamenti climatici, le politiche di transizione ecologica, le ricadute negative di esse su alcune fasce di popolazione e vantaggiose su altre) che investono la dialettica del circuito politica-corpo elettorale, le divisioni sociali e intergenerazionali, i confini tra il margine di apprezzamento dei governi e l’autorità (ed effettività) dei giudicati. Il tutto, ancora una volta, nel segno evidente della sfiducia nella politica e della ricerca di una voce alternativa – quella giudiziaria – destinata a rimanere ineffettiva e declamatoria.

La magistratura deve dunque porsi il problema di come affrontare questo tema cruciale, ricordandosi che – parlando di diritto penale – il proprio compito è solo quello dell’accertamento delle responsabilità individuali, e che questa impropria assunzione di funzioni non deve abbagliare e non può essere interpretata secondo logiche di acquisizione di potere. Occorre introdurre opportune misure di selezione della domanda di giustizia perché la rincorsa delle risorse, sempre insufficienti, si è dimostrata da tempo di corto respiro.

La magistratura deve saper essere un interlocutore “alto”, autorevole e credibile, su questo problema. Deve farsi ascoltare dalla società politica e dal Paese nel dire che la giurisdizione – i tribunali e le procure – non possono essere i luoghi in cui si scarica tutta la conflittualità sociale nella sostanziale anomia indotta da una proliferazione normativa non governata dall’assenza della politica e dei fisiologici processi di integrazione tra diritti e doveri senza i quali la dimensione istituzionale perde funzione e credibilità.  

La società e la politica devono essere ricondotte, anche con il concorso culturale e responsabile della magistratura, ai loro compiti, riportando i conflitti fuori dalla giurisdizione con modalità coerenti con il quadro costituzionale, eventualmente da aggiornare con prudenza e saggezza nella condivisione degli obiettivi di fondo.

La magistratura deve contribuire, insomma, ad aprire una nuova stagione senza opporre autonomia e indipendenza – intangibili – per paralizzare le opzioni riformatrici. Il punto è questo, non la cessione di terreno alla politica (perché qui si tratta di una responsabilità propria della politica, che ad essa va restituita), né la conservazione alla magistratura di un potere generale di intervento (che, come tale, la espone al discredito e agli interventi esterni).

I magistrati sono soggetti solo alla legge; da essa, e dalla Costituzione, sono tutelati e garantiti nella funzione. Sul terreno della legge, nella leale collaborazione istituzionale, essi, la magistratura intera e il Consiglio superiore devono promuovere un nuovo corso all’altezza dei tempi. Il Paese se ne accorgerà e, ancora una volta, tornerà a riconoscere la magistratura italiana come una delle sue fondamentali risorse.

Io penso che Area Democratica per la Giustizia, che nella sua tradizione ha sempre avuto un’attenzione particolare ai temi più complessi, anche di carattere sociale, sia pronta per affrontare, anche insieme a questo Vicepresidente, la sfida nuova che il mutamento d’epoca ci ha messo davanti.

La storia ci insegna che i cambiamenti sono possibili solo se si è capaci di guardare avanti.

Testo fornito dal relatore

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Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale