Tavola rotonda I diritti sotto attacco

Anna Falcone
Avvocata

Secondo intervento

Innanzitutto veramente grazie per l’invito, grazie per questa bellissima occasione di confronto e di dibattito. Grazie per le bellissime relazioni introduttive, che ho ascoltato e che, anche da avvocato, ho apprezzato molto.

Il tema della giornata, non solo del nostro panel, è molto stimolante. C’è un filo rosso – e questa volta il rosso non ha necessariamente un colore positivo – che lega la lotta ai diritti, il maggioritarismo e l’attacco che questi diritti e la Costituzione ormai subiscono da molto tempo.

Io appartengo a una generazione che già dai tempi degli studi universitari si doveva confrontare con le prime riforme elettorali, che in qualche modo comprimevano l’ampiezza dei diritti. Appunto, imponevano di fatto un sistema di tipo maggioritario che – questa era una delle domande che noi da studenti facevamo ai nostri professori, ai costituzionalisti che abbiamo avuto l’onore di avere come maestri – modificavano di fatto le maggioranze e quindi gli equilibri costituzionali. Non solo nella composizione del Parlamento e, quindi, delle decisioni che doveva prendere il Parlamento. Pensiamo, soprattutto, alla composizione del CSM, pensiamo alle funzioni di garanzia: in qualche modo era un principio di attacco al parlamentarismo.

Quasi come se fin da allora, una certa generazione – io dico purtroppo trasversale – si fosse arresa all’idea che l’indirizzo politico costituzionale fosse qualcosa di molto difficile da realizzare. Ed era qualcosa che, noi giovani studenti di giurisprudenza che uscivamo fuori proprio dalla stagione che aveva visto le stragi e la morte di Falcone e di Borsellino, ovviamente, non potevamo accettare. Era qualcosa che già allora rifiutavamo.

Va da sé che l’attacco ai diritti si lega, non solo con l’attacco alla Costituzione, ma con l’attacco a quei poteri che sono chiamati in primis ad attuare le leggi e la Costituzione.
E in questo permettetemi di aggiungere accanto alla magistratura anche l’avvocatura. In questi anni sono state molte le battaglie che come avvocati abbiamo fatto. Io ho avuto l’onore di essere parte dei collegi che hanno portato la questione di costituzionalità contro le leggi elettorali, provocato la sentenza numero 1 del 2014 e inaugurato in qualche modo un filone giurisprudenziale. Ovviamente non era la prima sentenza della Corte costituzionale in materia, però ha fatto vedere come in questo Paese non ci sia solo rassegnazione, ma che in tanti parti attive, che non sono soltanto nella magistratura e nell’avvocatura ma anche della società civile, la volontà di riprendersi quel protagonismo democratico, che, secondo me, dobbiamo rintracciare in una lettura più ampia della Costituzione. Noi citiamo spesso l’articolo 3 dicendo “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli…” e ci dimentichiamo che la Repubblica non è formata solo da istituzioni, da poteri, ma è formata innanzitutto dall’insieme dei cittadini.

Io penso che accanto all’attacco ai diritti alla Costituzione ci sia stato un po’ un attacco trasversale a questo “noi democratico”, che è costituito dalla cittadinanza, dalla consapevolezza di essere titolari di certi diritti e quindi di doverli rivendicare.

E lo dico perché mi ha colpito molto il richiamo della relazione introduttiva là dove si diceva che anche per la magistratura c’è un dovere di intervenire quando questi diritti sono sotto attacco.
È un diritto trasversale, che riguarda anche i corpi intermedi, almeno quelli che sono rimasti, e che purtroppo da molto tempo noi vediamo in qualche modo compiersi o comunque essere tentato.

Le riforme costituzionali a cui abbiamo assistito, attenzione, non solo mai state riforme che cercavano di ampliare la Costituzione. Le riforme omnia sono sempre state delle riforme in cui quasi contrattualisticamente si chiedeva ai cittadini: “rinuncia a qualcosa poi magari ti do qualche contentino”. Da qui una generale diffidenza.

Però quello che si è di fatto realizzato tramite il succedersi di tante piccole riforme è una modifica sostanziale della forma di Stato, che oggi si vuole compiere non solo con il premierato – che quanto meno ha il vantaggio di essere una richiesta di riforma esplicita – ma anche, ad esempio, con l’autonomia differenziata.

E si fa passare con una legge ordinaria: un modo che si sta realizzando anche per quanto riguarda l’ordinamento giudiziario e le riforme che riguardano la giustizia. Non riuscendo a modificare la Costituzione con le riforme costituzionali, che hanno – ahimè – il vizio di dover passare dalla procedura aggravata del 138 e addirittura dal referendum, e quindi dover far capire ai cittadini ֪– il che a volte è un lavoro molto complesso – quali sono gli effetti complessivi di una riforma, perché le riforme costituzionali sono sempre riforme di sistema anche quando sono puntuali. E allora, si cerca di passare attraverso lo strumento della legge ordinaria…

O addirittura, come si sta cercando di fare con l’autonomia differenziata, con le pre-intese. Abbiamo scoperto qual era il contenuto e di queste intense e quindi quello che sarebbe stato il contenuto dell’autonomia differenziata con un gravissimo ritardo.

Delle riforme di cui noi oggi ci troveremmo a discutere sul premierato ancora non abbiamo una proposta di legge del governo. È stato depositato dal senatore Renzi un ddl che disegna una sua proposta… però, non mi pare che ancora Renzi sia al governo, ma ha già espresso una sua volontà di dialogare quanto meno su questo premierato.

È, diciamo così, la chiave di volta, il tassello finale di una serie di riforme che dalla modifica delle leggi elettorali e poi dalla riforma del titolo quinto, al percorso dell’autonomia differenziata, serve a chiudere definitivamente gli spazi di partecipazione.

Cioè nelle tendenze evolutive della Costituzione, che io non penso assolutamente sia intoccabile, sicuramente c’è una divaricazione tra chi immaginava un ampliamento dei diritti, un arricchimento del pluralismo e anche un rafforzamento del parlamentarismo – il nostro non è necessariamente un sistema perfetto – ha vinto
l’opzione esattamente opposta. Quella che va verso il restringimento dei diritti, verso la verticalizzazione delle decisioni e verso – ahimè – la menzogna che la soluzione dell’uomo solo, della donna sola al comando, sia quella che, semplificando, riesce a risolvere tutti i problemi che abbiamo davanti.

E come dire, avendo rinunciato all’attuazione della Costituzione – ed è questo penso che sia la lacuna più grave con la quale noi continuiamo a scontrarci – il modello che si sta cercando di realizzare è una sorta di democrazia differenziata e verticizzata. Peccato che questi due aggettivi accanto alla parola democrazia finiscano per neutralizzarlo completamente.

Mentre la riforma sul premierato ancora non è delineata nei suoi caratteri essenziali, seppur possiamo immaginarla, il pericolo più grave in questo momento riguarda l’autonomia differenziata, che viaggia, invece, con grande rapidità verso l’approvazione.

Il pericolo più grave è proprio questo: che queste riforme vengano fatte paradossalmente a Costituzione invariata. Senza modificare esplicitamente la Costituzione, si sta cercando di forzare alcune norme, affinché la cattiva interpretazione delle norme sulla seconda o la terza parte finiscano per svuotare di significato gli articoli sui principi fondamentali e sui diritti fondamentali.

La riforma sull’autonomia differenziata ne è un esempio lampante: si interpreta in maniera estensiva il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, per imporre di fatto un regime di federalismo separato ed egoista, che grazie alla mancata attuazione dell’art. 119 – mi permetto ovviamente dei riferimenti tecnici perché so di parlare a una platea ben più preparata anche di quanto possa essere io –, attuazione in cui gli strumenti perequativi quindi il federalismo fiscale e meccanismi di compensazione, impedisce di fatto la garanzia di uguali diritti a livello territoriale. Ma non è solo un problema territoriale, tra l’altro. È un problema che riguarda il centro e le periferie della società. È un problema che riguarda i salvati e i sommersi e che divarica ancora di più la differenza che esiste già adesso fra gli uni e gli altri. Che non a caso fa il paio con il modo in cui si stava decidendo di investire o disinvestire su settori che sono fondamentali per garantire un’uguale cittadinanza sociale.

L’esempio più lampante, più scandaloso – permettetemi di dire – è proprio quello sulla sanità. Dove già adesso, a riforma sull’autonomia differenziata non approvata, si è deciso di disinvestire, finendo per avvantaggiare inevitabilmente la sanità privata a scapito della sanità pubblica e, di fatto, imponendo a chi non ha la possibilità di potersi curare privatamente di non curarsi. Dopo la pandemia ci saremmo aspettati un approccio diverso.

Ma la situazione sul lavoro non è differente.

E la propaganda che si sta facendo sul premierato è forse la più preoccupante, nell’aver deresponsabilizzato i cittadini come Repubblica e aver privato della consapevolezza del “noi”, di come le cose possano cambiare soltanto se ci sono grandi mobilitazioni, e permettetemi di dire in questa sala, delle mobilitazioni trasversali. Mi ha fatto molto piacere che ci sia stato il riferimento anche alla mobilitazione dell’avvocatura.

A proposito della proposta di modifica costituzionale che abbiamo portato avanti come Coordinamento per la democrazia costituzionale e che adesso è stata finalmente calendarizzata in Senato, io vi ringrazio della vostra mobilitazione e dell’aiuto per raggiungere il numero di firme necessario: è la dimostrazione di come la mobilitazione trasversale di tante sensibilità democratiche, anche diverse fra di loro, possa contrastare questa deriva autoritaria (perché davanti a questo noi ci troviamo).

E il premierato è nient’altro che la chiusura del cerchio. Si è svuotato di potere il Parlamento. La legge elettorale dei nominati ha fatto sì che un astensionismo mai così alto e mai così grave allontanasse i cittadini dalle istituzioni. Adesso si venderà la bugia che arriverà qualcuno a risolvere tutti quanti i vostri problemi.

Peccato che, per quello che ci è dato comprendere, questa persona avrà in mano, non solo la formazione del governo, ma il potere di scioglimento del Parlamento, e quindi di fatto un potere di ricatto gravissimo in democrazia. Un potere di ricatto che mira a estendersi in maniera drammaticamente forte proprio sulla magistratura.

Nella mia esperienza di avvocato – devo dirlo per onestà – i magistrati più garantisti che ho trovato erano quelli che in una prima parte della loro carriera avevano fatto pubblici ministeri. La nostra formazione ci dice che la separazione delle carriere è utile quando serve a garantire al meglio i diritti dei cittadini.

Però anche noi avvocati abbiamo forti dubbi che questa riforma sulla separazione delle carriere serva oggettivamente a questo e non serva, forse, a depotenziare un potere che in questo disegno verticistico rischia di essere una pietra d’inciampo inaccettabile. Beh, troverete anche altre pietre d’inciampo fra gli avvocati.

Secondo intervento

Non ci sono mai capri espiatori e men che meno responsabilità univoche. Io penso che ci sia una convergenza fra colpevoli miopie e palesi interessi che riguardano il mondo politico, ma anche il mondo economico. Questo evidente squilibrio fra economia e politica vuole che la politica sia svuotata e, quindi, colonizzata da persone che non hanno quasi mai un rapporto diretto con il proprio elettorato. Le leggi elettorali dei nominati esistono anche in altri ordinamenti. Però in altri ordinamenti si ha il buonsenso di farle precedere, in genere, da primarie interne quanto meno ai partiti. Questo presuppone organizzazioni partitiche realmente democratiche e, quindi, l'attuazione dell'articolo 49 della Costituzione. Pendono in Parlamento vari progetti di legge che diversamente interpretano questa attuazione, ma i migliori hanno tutti quanti come comune denominatore quello di riportare al soggetto dell'articolo 49 che sono i cittadini, non sono i partiti, men che meno i leader, eccetera eccetera.

Le responsabilità sono varie e sono sicuramente distribuite in maniera diseguale. Pendono sicuramente di più sulla magistratura, sull'avvocatura. Anche sui buoni politici che ci sono per fortuna in questo paese, ma che spesso e volentieri sono delle minoranze o insomma sono delle voci di coloro che gridano nel deserto. Io ho l'impressione che ci sia sicuramente una maggioranza invisibile. C'è un bellissimo libro dal titolo “La maggioranza invisibile” del giovane ricercatore Emanuele Ferraro, tra l'altro calabrese e che non a caso come tanti bravi ricercatori è dovuto scappare all'estero.

E probabilmente la domanda è questa: come si fa a ricostituire questa maggioranza invisibile. Quindi impedire che le minoranze organizzate che in qualche modo hanno preso in ostaggio le democrazie – e, attenzione, hanno preso anche in ostaggio la storia – possano fare danni.
Ecco la domanda probabilmente è questa. Io non ho la risposta però invece di pensare a riforme omnia della Costituzione, ci sono tante piccole riforme attuative della Costituzione che ci potrebbero aiutare.

E non solo la Costituzione è il denominatore comune che dovrebbe muovere quest'incontro fra forse virtuose, perché giustamente come dice il professore Grosso la Costituzione è di tutti, non è certo di una sola parte politica e nessuno di noi ha intenzione di prenderla in ostaggio.

Però c'è anche un altro aspetto meno giuridico, meno tecnico, forse, più emotivo. Vorrei spezzare una lancia a favore della passione, a favore delle emozioni. che sono quelle che poi muovono la storia dei popoli.
Lo dico in un contesto tecnico, siamo tutti tecnici qui. Perché quello che ha consentito alla storia di fare dei salti sono stati proprio gli ideali, sono state le passioni. La capacità di condividere queste passioni anche fra diversi e quindi ritrovarle anche fra diverse tradizioni politiche, diverse sensibilità (però tutte variamente democratiche) è una cosa sulla quale potremmo lavorare.

Pensavo a quello che diceva prima Tarquinio, su come immaginare le istituzioni e quanto miopi siano alcune soluzioni. Anch'io sono una federalista convinta e penso che tantissime delle soluzioni proposte anche dall'attuale governo vanno totalmente in contrasto con la storia. Perché molti dei problemi di cui stiamo parlando, non solo le migrazioni, ma anche i diritti sociali, la fiscalità comune, a condivisione di diritti e libertà fondamentali, o passano dall'Europa federale oppure non c'è speranza. O passano dalla creazione di questo continente verticale, da questo Mediterraneo che deve tornare a essere il cuore e il centro di una civiltà giuridica, di una prospettiva di un orizzonte democratico, oppure veramente fallisce il suo destino nella storia. Ecco, se provassimo a porci queste domande, faremmo un buon esercizio.

Visto che domani non sarò presente, vi chiedo di fare una domanda a Nordio. Mi ha colpita molto una sua dichiarazione proprio da ex procuratore. Commentando le scelte securitarie del suo stesso Governo ha detto, come qualsiasi magistrato direbbe, che l'aumento delle pene non ha mai aiutato né nella funzione preventiva, né tanto meno nella garanzia di sicurezza e, quindi, nella deterrenza generale.

Se la prevenzione e la repressione non aiutano, allora invitate chi viene da un mondo liberale a fare una riflessione su questo punto e chiedersi quali sono le radici democratiche del governo di cui fa parte. Io sono palesemente critica e rivendico la mia libertà di espressione del pensiero al riguardo, però vorrei anche un po' di coerenza da questo punto di vista e farci magari le domande giuste, se non abbiamo ancora le risposte. Potrebbe aiutarci ad andare in una direzione un po' più saggia.

Trascrizione a cura della redazione,
in attesa di approvazione della relatrice

Gli altri interventi

Saluti

Relazione introduttiva

Tavola rotonda:
I diritti sotto attacco

Dibattito congressuale