Intervento

Emilio Miceli
Segretario confederale CGIL

Grazie per l’invito a partecipare alla vostra discussione.

Ieri ho partecipato ai lavori e credo che ci siano elementi davvero forti ed evidenti di condivisione rispetto quello che voi avete detto. Avete fatto una rappresentazione reale del Paese, di quello che succede, condivisibile con quello che voi avete definito il maggioritarismo, questa sorta di nuova ideologia che in qualche modo polarizza tutto. E credo che questo sia un elemento importante. Questo rischio per il Paese di oscillare sempre tra supplenza e dirigismo politico. Due fenomeni ambedue sbagliati, contro i quali bisogna combattere, perché è anche nelle corde del Paese l’idea che il maggioritario non sia questa eccessiva semplificazione dei processi politici, non sia l’elemento decisivo per uscire dalla crisi dal nostro modello.

In questa fase anche noi siamo impegnati ed è il motivo per cui Maurizio Landini oggi non è qui. Siamo impegnati in una fase assolutamente straordinaria: stiamo provando a portare alcune decine di migliaia di persone il 7 ottobre a Roma, perché pensiamo che la linea politica di questo governo, l’ispirazione e la cultura di questo governo siano profondamente sbagliate sul piano della democrazia, delle scelte economico sociali, sul piano della cittadinanza.

L’idea che basti vincere un’elezione per cambiare da cima a fondo il Paese e i suoi caratteri distintivi e, innanzitutto, costituzionali è un’idea sbagliata alla radice. L’idea che questo Paese sia ogni giorno in gioco e che gli umori di questo o di quello possono condizionare i tratti fondamentali di questo Paese è uno degli elementi che ci rende più deboli rispetto agli altri.

Vi risparmio l’elenco dei motivi per cui noi andiamo ad una grande manifestazione. I salari, le pensioni, la tv pubblica, la politica culturale, gli appalti, il fisco. Guardate, si può immaginare qualsiasi cosa, ma che un lavoratore autonomo con 85.000 euro abbia una flat tax è una cosa sbagliata anche alla radice, non democratica, perché non ci mette nelle condizioni di costruire un paese equilibrato.

Io vorrei concentrare la mia attenzione solo su un punto. Questo è un Paese che è in crisi di legalità. È in crisi di legalità perché, nonostante abbia una Costituzione robusta, nonostante abbia saputo reggere il peso dell’attacco terroristico, dello stragismo mafioso, nonostante sia uscito indenne – lo dico qui da Palermo e da palermitano – sia uscito indenne da quel biennio ’92-93, nel quale davvero erano in discussione la funzione, la prospettiva democratica dell’intero Paese: da un lato l’attacco mafioso, dall’altro lato, una crisi del debito pubblico che non abbiamo mai avuto questo paese, così, di queste proporzioni. Quindi un paese in cui c’è una democrazia solida. C’è una democrazia sociale molto robusta. Però è un Paese nel quale deve misurarsi ogni giorno con una crisi di legalità che è evidente. Noi non possiamo immaginare di continuare ad essere i primi della classe dell’evasione fiscale. Noi non possiamo continuare di immaginare che il lavoro nero debba allargarsi, che tutte le forme di lavoro non formale debbano allargarsi. Noi non possiamo immaginare di riordinare ancora il sistema degli appalti: quante ne abbiamo fatte di riforma degli appalti? È il leitmotiv di ogni governo provare a rimettere in discussione le regole del gioco.

A questo punto, qui non si tratta di rimettere in discussione le regole del gioco. Qui hanno levato il tavolo. La gara non esiste più. La citazione privata, che è una sorta di trattativa privata, è l’unico elemento attorno a cui si fa questo. L’idea della discrezionalità e della sovraesposizione di sindaci e di stazioni appaltanti è l’idea che conduce la filosofia della riforma degli appalti del nostro Paese.

Quando hai tutte queste libertà messe insieme, poi ne rispondi sul piano personale, politico, civile e penale. Cioè la sovraesposizione in questa sorta di libero arbitrio che si vuole costruire è un elemento pesante.

L’altra cosa riguarda – lo diceva il presidente Conte – questo tema dei subappalti. Io ho fatto sempre fatica nella mia vita a pensare che uno vince l’appalto e un altro fa il lavoro. È una cosa che francamente non capisco. Però sono di pochi rudimenti e mi fermo qui. Il punto è che noi stiamo immaginando un modello nel quale non esiste più l’aggiudicatario della gara da un lato; e dall’altro lato immaginiamo che ciò che è alla base d’asta e dell’aggiudicazione non sia davvero ciò che si spende per quell’opera, perché tutti i processi a scalare dei subappalti sottraggono delle risorse. E queste cose vanno in due direzioni, solo in due direzioni: la qualità dei materiali e delle opere che si fanno e il lavoro.

L’altra cosa che ci preoccupa riguarda la questione del caporalato (sto usando un’espressione che… forse era dei miei prozii). Era un fenomeno che pensavamo esserci lasciati alle spalle. Le più importanti imprese di logistica italiane, quelle che tengono in piedi il Paese – perché la logistica è quella che tiene il Paese, quella che ci permette di spostare beni da una parte all’altra del Paese – sono tutte sono ormai arrivate a un punto di non ritorno. Vorrei ringraziare la Procura di Milano, che su questo sta lavorando molto seriamente. Avere davanti l’idea che il concessionario di queste opere di logistica abbia sotto, come sugli appalti, decine e decine di scatole che poi faranno i lavori nei quali un lavoratore guadagna 2 o 3 euro l’ora, significa che questo Paese, anche nelle sue funzioni più rilevanti, più importanti, più strategiche riesce ad impoverire. Poi ci domandiamo perché i ceti intermedi del Paese vanno comprimendosi e crescono i ricchi e i poveri. Questo è l’elemento della crisi della democrazia del nostro Paese: siamo in una condizione nella quale questa compressione è dovuta a questo modello economico sociale. Che non è di quest’ultimo governo. È un modello che abbiamo sposato, con un entusiasmo un po’ esagerato, alla fine degli anni Ottanta e che abbiamo immaginato potesse essere il modello sul quale un Paese come il nostro poteva andare avanti.

Perché dicevo anche crisi di legalità? Non ho fatto una classifica, quindi non vorrei sbagliarmi. Però credo che noi siamo l’unico Paese europeo ad avere tre grandi organizzazioni criminali mafiose, tutte e tre di livello globale. Beh, anche questo la dice lunga sul fatto che questo Paese fatica a liberarsi di fattori ormai diventati così endemici come le organizzazioni criminali mafiose. Io continuo a non chiamare le mafie, ma mafia mi sembra una sottostima della pericolosità di queste organizzazioni. Continuo a chiamarle organizzazioni criminali mafiose.

Ma è possibile che un Paese nel quale le priorità e le emergenze riguardano fatti fondamentali che attengono alla vivibilità e alla legalità, che un Paese così sotto pressione – non lo faccio per captatio benevolentiae – debba avere il pensiero di come ridurre l’azione della magistratura piuttosto che come combattere quella cosa lì. Questo davvero mi pare un fatto abnorme.

Trascrizione a cura della redazione,
in attesa di approvazione dal relatore

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I diritti sotto attacco

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