AreaDG sull’organizzazione degli uffici di Procura

A dieci anni dall’entrata in vigore del D.L.vo n. 106/2006 è necessario fare il punto sulla riorganizzazione dell’ufficio del pubblico ministero definita nel nuovo Ordinamento Giudiziario

L’impronta drasticamente verticistica data dal legislatore all’organizzazione delle procure, dopo essere stata fortemente osteggiata nelle fasi dell’iter legislativo venne in fine accolta, anche dalla magistratura progressista, con un atteggiamento non univoco.

Mentre in una parte persisteva un atteggiamento preconcetto di ostilità e di sospetto verso i nuovi poteri del capo dell’ufficio, altri venivano sedotti dai poteri di forte indirizzo e di autonomia organizzativa attribuiti dal legislatore ad dirigente e confidavano nel potere salvifico del CSM che, attraverso la selezione di “buoni dirigenti” avrebbe garantito la sostanziale conservazione di ampi spazi di autonomia per i magistrati dell’ufficio.

 

A fronte dell’esperienza maturata in dieci anni di applicazione del nuovo regime possiamo oggi constatare che è ampiamente superata la divisione manichea tra sostenitori e detrattori del nuovo assetto ordinamentale della magistratura requirente.

 

Nessuno più oggi ritiene auspicabile un sistema ove sia obliterato il potere di indirizzo e di controllo oggi attribuito al Procuratore capo. Esigenze di coerenza, uniformità e prevedibilità nell’esercizio dell’azione penale, come anche di razionalità nella distribuzione e nell’utilizzo di risorse organizzative ed umane scarse rendono oggi apprezzabile l’imputazione centralizzata di tali poteri.

 

Certamente è stata superata anche una ricostruzione della dialettica Procuratore/Sostituto tutta incentrata sulla protezione del secondo dalle interferenze oscure del primo, atteso che l’esperienza ha evidenziato come anche i sostituti possano assumere atteggiamenti scorretti ed opachi, possano costituirsi a centro di riferimento di interessi e poteri occulti e meta-giudiziari , possano incorrere in gravi cadute di professionalità e di impegno, rispetto ai quali un potere di controllo e di intervento del capo dell’ufficio è non solo auspicato ma fortemente richiesto.

 

Il punto di crisi del sistema oggi in vigore può quindi essere unanimemente individuato non già, quindi, nei poteri del Procuratore capo ma nella mancanza di adeguati momenti di verifica delle modalità concrete attraverso le quali tali poteri vengono esercitati. Mancano in buona sostanza momenti di controllo che rendano effettiva la responsabilità del dirigente e che facciano da coerente contrappeso all’attribuzione di tanto ampli poteri.

Infatti l’ordinamento vigente prevede esclusivamente un controllo sull’atto di revoca dell’assegnazione ma non un controllo esteso al complesso delle attività nelle quali si estrinsecano i poteri di organizzazione, direzione e controllo attribuiti al Procuratore. Si tratta, quindi, di un controllo limitato ai momenti di contrasto patologico all’interno dell’ufficio ma nulla è previsto in ordine all’andamento fisiologico; nessun controllo investe le principali scelte di dislocazione delle risorse, la previsione degli obiettivi e loro realizzazione, gli indirizzi di politica giudiziaria perseguiti dal Procuratore.

 

La sostanziale mancanza di controllo sull’azione del Procuratore dipende prevalentemente da due fattori:

- l’integrale sottrazione dell’organizzazione degli uffici requirenti dal circuito dell’autogoverno centrale e periferico;

- l’inidoneità del sistema di valutazione del dirigente in occasione del rinnovo quadriennale e dell’assegnazione di nuove funzioni direttive alla scadenza dell’incarico.

 

I due profili sono fortemente interconnessi e sono individuabili adeguati spazi normativi attraverso i quali il CSM possa adottare determinazioni volte a ripristinare alcuni momenti di verifica sul documento organizzativo degli uffici requirenti, con significative ricadute anche sul piano della valutazione dei dirigenti.

È possibile certamente un coinvolgimento delle Commissioni Flussi istituite presso i Consigli Giudiziari, affinché queste offrano un necessario ausilio in ordine, ad esempio, alle scelte assunte in tema di criteri di priorità ed in tema di strutturazione dell’ufficio in gruppi specialistici a loro volta dotati di uno specifico organico.

Possono essere ricondotte alla valutazione dei Consigli Giudiziari e del CSM le determinazioni organizzative che investato lo status giuridico e professionale del Procuratore Aggiunto e del Sostituto, nonché quelle determinazioni del Procuratore che già oggi sono suscettibili di tutela davanti al Giudice Amministrativo e per le quali è disfunzionale non prevedere un intervento del circuito dell’autogoverno che abbia la funzione di prevenire e comporre i contrasti, impedendo che gli stessi vengano devoluti ad una giurisdizione terza.

 

Sul piano della valutazione dei dirigenti appare evidente che per gli uffici giudicanti questa si incentra, in larga parte, sulla individuazione degli obiettivi previsti e sul loro effettivo raggiungimento. Ne consegue che aver sganciato gli uffici requirenti dal sistema di valutazione per obiettivi raggiunti ha sostanzialmente reso formale e non penetrante la verifica quadriennale alla quale è tuttavia sottoposto il Procuratore capo, il quale, anche in occasione dei successivi concorsi per nuovo incarico direttivo non sarà adeguatamente valutato.

Anche su questo profilo è possibile un ripensamento degli attuali orientamenti consiliari.

 

Altro tema delicato è quello dei visti e degli assensi. Sul punto la disciplina legislativa è limitata ai visti opponibili sulle richieste cautelari ma la prassi diffusa negli uffici requirenti prevede una loro estensione ad altre categorie di provvedimenti. In materia è forte l’esigenza di una presa di posizione del Consiglio Superiore; non tanto e non solo per effettuare una ricognizione delle prassi vigenti e valutarne la conformità ai principi generali dell’Ordinamento, quanto per risolvere definitivamente il contrasto in ordine alla loro natura ed alla penetranza del controllo che tali strumenti sottendono.

Infatti si registrano sul punto due differenti orientamenti: uno che propende per un controllo meramente formale e l’atro che postula un controllo esteso al merito della scelta tecnico-discrezionale sottesa all’adozione del provvedimento. Dalla scelta in favore dell’una o dell’altra opzione discendono diversi livelli di responsabilità per chi appone il visto. Il tema è quindi suscettibile di riverberi sul piano della responsabilità disciplinare, civile e contabile del magistrato e, anche in questo caso, non sarebbe accettabile che venisse risolto attraverso provvedimenti giurisdizionali e non tramite una determinazione consiliare.

 

Sul tema dei poteri e del ruolo delle Procure Generali presso le Corti di Appello deve essere favorito l’orientamento che, a fronte di prospettate riforme sul piano ordinamentale e processuale, preferisce la loro limitazione nell’ambito di quanto già previsto dall’art. 6 del D.L.vo 106/2006, orientato ad attribuire a tali uffici poteri di controllo successivo ma non di propulsione o di coordinamento.