Comunicato

L’informatica giudiziaria reclama risorse

Ogni aggiornamento degli applicativi PCT è fonte di disagi, ogni malfunzionamento determina un blocco dell’attività giudiziaria: carenze organizzative sulle quali il ministero deve intervenire con urgenza

I casi di malfunzionamento delle nuove versioni degli applicativi informatici del civile verificatisi negli ultimi due weekend, ripropongono il tema delle risorse e dell’organizzazione in un settore che è ormai strategico nella giustizia italiana.

Il rilascio di nuove versioni degli applicativi utilizzati dalle cancellerie e dai magistrati italiani dimostra che è in corso un positivo e continuo processo di miglioramento delle applicazioni; ma a questo si accompagna costante disagio per il continuo ripetersi di interventi tecnici che – se è in certa misura inevitabile perché le modifiche del software sono una regola della scienza informatica – evidenzia pure carenze organizzative del sistema informatico giudiziario, sulle quali è possibile e doveroso intervenire.

Da un lato, appare necessaria una rivisitazione delle sale server, che vanno ridotte di numero e rese estremamente efficienti: il rilascio di nuove versioni dovrebbe avvenire nelle ore notturne, modulando i contratti di assistenza, e dovrebbe avvenire con cadenza periodica non inferiore al mese, salvo emergenze, proprio per ridurre al minimo l’inevitabile impatto sull’attività di avvocati, cancellieri, magistrati; e un efficace intervento presuppone che le sale server siano poche, con investimenti sulla banda di trasmissione dei dati e con un conseguente netto aumento della sicurezza anche infrastrutturale.

Dall’altro lato, appare necessario che le nuove versioni degli applicativi siano adeguatamente testate prima di essere messe in linea. Sotto questo profilo l’azione ministeriale appare ad oggi non adeguata. L’informatica giudiziaria ha una peculiarità: tratta informazioni che costituiscono l’essenza stessa del lavoro giurisdizionale, per cui il malfunzionamento di un applicativo si traduce direttamente in un blocco dell’attività giurisdizionale, in quanto nessuno strumento alternativo può, in tempi brevi e con la stessa efficienza, sopperire al blocco del PCT. Inoltre, le informazioni giudiziarie non sono numerose se paragonate ai database di altri sistemi (telecomunicazioni, sistemi fiscali etc.), ma sono estremamente complesse e variegate. Ciò determina che le anomalie annidate nelle nuove versioni degli applicativi si manifestino solo durante un uso continuo e approfondito degli applicativi stessi; uso che può avvenire solo su dati reali e negli uffici giudiziari.

Occorrerebbe, peraltro, testare le nuove versioni senza che questo metta a rischio il lavoro reale, e ciò richiede che il rilascio di una nuova versione sia gestito in parallelo in una o più sedi pilota, attraverso la creazione di un ambiente apposito, che comporta dei costi e quindi degli investimenti (in termini di installazioni e di tempo/uomo degli amministrativi e dei magistrati), chiedendo una collaborazione ai magistrati per effettuare sperimentazioni su installazioni separate, ma con dati reali.

Siamo sicuri che il Consiglio Superiore della Magistratura fornirà a tal fine il proprio contributo in termini di organizzazione e autorizzazioni. Siamo certi che i magistrati italiani – che hanno sempre collaborato alla nascita e allo sviluppo del PCT – sono disponibili a contribuire anche alla manutenzione e al miglioramento dei sistemi, ben sapendo che solo l’uso reale negli uffici giudiziari può comprovare la bontà di un programma destinato alla giurisdizione.

Ma questa disponibilità reclama interventi organizzativi concreti ed efficaci.

È urgente, quindi, che il ministero adotti le necessarie iniziative organizzative, infrastrutturali e soprattutto di risorse, che mancano oramai da troppo tempo.

20 gennaio 2021