Assemblea generale di AreaDG
Roma, 2 dicembre 2017

Linee programmatiche per il nuovo CSM

Relazione del Segretario generale Maria Cristina Ornano

Con la Conferenza programmatica del 17 Settembre u.s. abbiamo dato avvio alla costruzione del programma di AreaDG per il nuovo Consiglio Superiore attraverso l’individuazione di alcuni temi nodali della campagna elettorale ormai in corso.

Su questi temi specifici tornerò tra breve, altri temi emergeranno nel corso del dibattito odierno e si definiranno ulteriormente nel tempo che ci separa dalle elezioni primarie.

Tuttavia l’elaborazione del programma per il nuovo C.S.M. non sarebbe adeguata alla difficile e complessa partita che ci attende se essa non si fondasse su una preliminare e franca riflessione circa lo stato attuale della magistratura italiana.

Se la storia dell’associazionismo giudiziario – e con esso della magistratura italiana – è sempre stata caratterizzata da una costante tensione tra chiusura corporativa e consapevolezza del ruolo sociale del magistrato (che ha quali corollari quello di una magistratura dialogante con gli altri poteri dello Stato e con la società civile e l’aspirazione a partecipare alla costruzione della società disegnata dalla Carta costituzionale) non c’è dubbio che quella che stiamo vivendo sia una stagione di chiusura corporativa. Si fa strada, anzi, un neocorporativismo: l’invocazione di una tutela che non guarda neppure agli interessi della categoria, ma ad interessi particolari e la cui soddisfazione, perciò, finisce col danneggiare la stessa categoria.

Una tendenza favorita da un processo di burocratizzazione che avanza inesorabile, in cui si rifugia una certa magistratura, quella politicamente meno avvertita, giovane e meno giovane, la quale si mostra sempre più timorosa; una magistratura che non si espone e non si esprime pubblicamente.

L’avanzata in questi ultimi anni del gruppo di M.I. è sotto gli occhi di tutti e la stessa nascita e l’affermarsi di A&I è emblematico dei processi in atto. Gli uni, fanno della tutela corporativa la loro cifra; gli altri propongono un modello di magistratura che delega la sua rappresentanza ad una figura fortemente carismatica, costantemente impegnata in una rappresentazione antagonistica del rapporto tra magistratura e politica, ma, nella realtà ed alla resa dei conti, sterile di risultati, frutto di una narrazione ormai stereotipa. Entrambi i gruppi sono espressione di uno stesso modo di concepire il ruolo della magistratura e delle sue rappresentanze politiche ed istituzionali.

Sarebbe miope, però, da parte nostra fermarci a questa constatazione o, peggio, limitarci ad affermare assertivamente una nostra diversità e a sostenere una presunta superiorità morale, secondo una narrazione che sovente i colleghi ci rimproverano. Sarebbe miope pensare che il problema non riguardi anche noi, il nostro lavoro, i nostri uffici, i dirigenti che il gruppo esprime, ma sarebbe inutile una fustigazione nostra e altrui. Occorre invece che ci poniamo una domanda: come e perché siamo arrivati a questo punto?

Ci sono “fili” della nostra storia, recente e relativamente recente, che paiono avere un’origine esogena e svilupparsi secondo percorsi autonomi, ma che, ad una più attenta riflessione, si appalesano come originati da una stessa idea di società e di magistratura, convergenti verso il comune obiettivo di una controriforma, dopo la stagione vissuta dalla magistratura italiana a cavallo e all’indomani della fondazione della cosiddetta “seconda Repubblica”. Come se “fili” distinti convergessero e si combinassero a comporre una stessa trama, quella di riformare in senso burocratico, gerarchico e verticistico la magistratura italiana.

Vorrei richiamare alcuni di questi “fili”, che più direttamente riguardano il Consiglio.

Tutto questo ha favorito il ripiegamento dei magistrati in se stessi, portandoli a vivere la professione nel chiuso del proprio ufficio e a considerare il confronto e la riflessione collettiva perdite di tempo estranee al lavoro.

Vi è poi una spinta sempre più marcata verso il conformismo giurisprudenziale che penetra e si fa strada attraverso percorsi nuovi e in certo modo inusuali.

Se la prevalenza della logica del risultato quantitativo costituisce una sollecitazione all’acritico recepimento delle massime, la recedente vicenda del cosiddetto “Memorandum delle tre giurisdizioni”, presentato il 15 maggio scorso al Capo dello Stato, merita una seria riflessione per il fortissimo impatto che esso rischia di avere sulla giurisdizione ordinaria. L’integrazione dei collegi di vertice delle tre giurisdizioni interessate (Sezioni Unite della Cassazione, Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, Sezioni Riunite della Corte dei Conti), con la presenza di giudici appartenenti alle tre giurisdizioni allorquando si tratti di questioni di “alto e comune rilievo nomofilattico”, al di là dei profili di dubbia compatibilità costituzionale, rischia di introdurre degli elementi distorsivi del sistema, tali da influenzare ed orientare, attraverso l’attività interpretativa, il concreto esercizio della giurisdizione a tutela dei diritti soggettivi e costituire un vulnus occulto all’autonomia e all’indipendenza della magistratura ordinaria.

Né, trattando del Consiglio, possono essere trascurate alcune prassi invalse nella consiliatura in corso, che hanno segnato un ruolo espansivo del Comitato di Presidenza. Siffatta tendenza, unitamente alla vicenda della proroga degli apicali, costituisce ragione di forte preoccupazione per l’autonomia e l’indipendenza del Consiglio e con esso della magistratura.

Sono, questi, tutti elementi che rischiano di indebolire il Consiglio e far progredire pericolosamente il disegno di chi vuole esercitare un controllo esterno sull’autogoverno.

I “fili” che ho menzionato operano certo in piani e ambiti diversi, ma tutti sono originati da una stessa idea: quella di normalizzare e far fare alla magistratura un balzo indietro nel passato.

Come invertire la rotta?

Il Consiglio ha in ciò un ruolo fondamentale, non esclusivo ovviamente, ma fondamentale.

Più che costruire un programma, noi dovremmo avere in mente un progetto di magistratura e costruire il nostro programma in funzione di quello.

In questa chiave, punti di programma apparentemente disomogenei entrano a comporre un quadro nel quale, per così dire, tutto si tiene.

I punti del nostro programma dovrebbero perciò essere in qualche modo speculari agli snodi che ho poc’anzi tratteggiato e riguardare:

Deve però essere chiaro a tutti che anche il più efficace dei programmi non ci consentirà di operare con successo se ad esso non si accompagnerà un lavoro corale, un sentimento di coesione e di spirito di gruppo, di piena consapevolezza della necessità finale.

Perciò il Coordinamento in questa assemblea formalizza le sue richiesta al gruppo per la campagna elettorale.

Il divieto di vincolo di mandato non è nato storicamente per affrancare gli eletti nei corpi rappresentativi dalla responsabilità politica, ma per svincolarli dalle pretese clientelari. La responsabilità politica degli eletti impone,prima ancora che rigore e coerenza con il programma politico del gruppo, un’azione trasparente, l’informazione costante al gruppo, la disponibilità a fornire una spiegazione tempestiva - e che si pretende razionale - delle scelte operate, il confronto continuo sui temi di carattere generale e politicamente sensibili con le altre dirigenze, con le altre articolazioni e con coloro che nel gruppo si riconoscono. È questa, sul piano del metodo, la prima richiesta che noi rivolgiamo a coloro che rappresenteranno AreaDG nel nuovo Consiglio. La seconda richiesta è l’adozione del metodo della collegialità come pratica: che richiede lavoro – tanto – tempismo, capacità di mediazione, capacità di pervenire ad una condivisa sintesi. Una pratica interna alla rappresentanza, che deve coinvolgere e valorizzare anche il contributo di coloro che, facenti parte della struttura, magistrati segretari e assegnati all’ufficio studi, si riconoscono nei valori di AreaDG. Questi colleghi, come i colleghi impegnati in incarichi fuori ruolo, non raramente hanno svolto un lavoro prezioso per la magistratura (penso, solo per fare un esempio tra i tanti, ai recenti concorsi per la riqualificazione e l’assunzione del personale di cancelleria). Essi possono perciò divenire per noi motivo di orgoglio, perché si tratta di colleghi che hanno saputo incarnare lo spirito ed i valori di AreaDG declinandoli nel concreto esercizio del loro lavoro. C’è stata finora come una freddezza di rapporti tra il gruppo e questi colleghi e dobbiamo farla cessare inaugurando una nuova stagione di attenzione da parte nostra, nella quale finalmente si superino i pregiudizi e si sappia discernere tra fuori ruolo e fuori ruolo. Chiediamo nel contempo, a questi colleghi di saper operare una “restituzione” al gruppo del contenuto del loro lavoro. Per questo, e per la inferenza del tema con la attività del consiglio, noi vogliamo organizzare una iniziativa sugli incarichi fuori ruolo, aprendo una finestra su un ambito poco conosciuto e poco conoscibile dell’attività consiliare e di una parte della magistratura, per assicurare trasparenza e tipizzazione degli incarichi e della loro valutazione preventiva e successiva.

La battaglia,lo sappiamo tutti, sarà dura, ma proprio per questo dobbiamo avere coraggio, determinazione e ottimismo e saper rendere straordinario il nostro impegno per la società, per la magistratura italiana e per noi stessi,

12 dicembre 2017