Gruppo AreaDG Cassazione

Per una motivazione al passo coi tempi e col modello europeo

In vista dell’organizzazione prossima di un convegno sul tema, si propongono alcuni spunti iniziali per indirizzare la riflessione verso un ripensamento del modo di motivare le sentenze, partendo dalla legittimità e allargando lo sguardo al merito

Il Gruppo di lavoro sulla motivazione delle sentenze, organizzato dal Coordinamento di Area Cassazione alla fine del 2021, presenta i risultati dello studio e le proposte, frutto della riflessione comune, contenuti nel documento finale dei lavori del Gruppo, che è stato dedicato, anzitutto, alla motivazione dei provvedimenti di legittimità, ma che intende offrire elementi utili per un confronto aperto sul tema più generale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, con uno sguardo che si apra, quindi, anche a quelli del merito.

Il documento costituirà la piattaforma su cui s’intende organizzare a breve, nella prossima primavera, un convegno, aperto all’ascolto di voci provenienti dai giudici di legittimità e di merito, ma anche dalla dottrina e dall’avvocatura, nella consapevolezza che è necessario un rinnovamento culturale collettivo, per giungere a forme argomentative delle sentenze sempre più moderne, efficienti, coerenti con l’evoluzione della società e consapevoli dei principi costituzionali e del sistema integrato europeo in cui sempre più necessariamente si inserisce la giurisprudenza interna.

Vi terremo informati, perciò, del prossimo appuntamento e delle sue modalità di realizzazione, sperando di poterlo organizzare in presenza.  

I referenti di AreaDG Cassazione

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Giurisdizione e Motivazione: struttura argomentativa e linguaggio in dialogo con organizzazione del lavoro e gestione dei carichi

Da sempre il rapporto che lega la motivazione ai provvedimenti giurisdizionali, ed in particolare alle sentenze, si pone su un doppio crinale, che oggi più che mai richiede punti di contatto e intersezione costanti.
Da un lato, struttura e lessico della motivazione delle sentenze impegnano il giudice in uno sforzo di chiarezza e, per i giudizi d’appello e di legittimità, di piena corrispondenza all’impugnazione. Dall’altro, quantità e qualità del carico di lavoro, deficit di organici degli uffici e carenza di strutture di supporto (informatiche, amministrative e di assistenza al giudice) pongono ostacoli a tale sforzo e impediscono l’ottimizzazione del lavoro.
Proprio per questo, la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, in particolare di quelli della Suprema Corte, è un banco di prova: la necessità ineludibile di adottare schemi sintetici e moderni di argomentazione, per fronteggiare l’enorme mole di ricorsi che grava sui giudizi di impugnazione, sia di merito che di legittimità, tenendo a mente il principio di ragionevole durata dei processi, deve conciliarsi con l’inderogabile rispetto dei principi costituzionali e convenzionali, sul fronte del diritto individuale a conoscere le ragioni di decisione del giudice e, a monte, del diritto di accesso alla giurisdizione.
Non bisogna dimenticare, infatti, che la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, oltre a garantire le parti processuali sul ragionamento che ha condotto alla decisione, è anche lo strumento che più concretamente legittima la magistratura nel sistema costituzionale, rendendo tali provvedimenti “leggibili” all’esterno.

Il rinnovato interesse dei vertici organizzativi della Cassazione sul tema della motivazione, considerato evidentemente come una delle chiavi di volta attraverso le quali agire, a legislazione invariata, per garantire tempestività della risposta giudiziaria nel processo di legittimità, ci pone dinanzi ad una sfida che è importante saper cogliere, in una visione di sistema del problema e con la consapevolezza che una risposta giurisdizionale valida è quella che si pone come obiettivi la tempestività e la chiarezza dei provvedimenti, ma non può prescindere da una corretta misurazione del lavoro dei giudici chiamati a fornire tale risposta.
Carichi eccessivi e tempi di redazione dei provvedimenti, difficilmente gestibili proprio in considerazione di tali carichi – oltre a non tenere conto di livelli di impegno e sforzo lavorativi già da anni collocati sul massimo possibile e delle obiettive difficoltà nella fase di stesura della motivazione delle sentenze di legittimità – incidono inevitabilmente sulla finalità di garantire adeguati standard di qualità della giurisdizione, nel binomio inscindibile di efficacia e tempestività, finalità che costituisce la ragione stessa dell’impegno di ciascun magistrato di fronte alla Costituzione e per la tutela dei diritti.

C’è bisogno di una tensione collettiva che punti a coinvolgere la magistratura e gli uffici, in ogni loro parte, dai dirigenti a ciascun singolo giudice, con l’ausilio indispensabile del personale amministrativo e, come auspicabile, con l’apporto ulteriore che potrà venire dalle risorse messe a disposizione dal PNRR per l’Ufficio per il processo; ci sarà bisogno di dialogare anche con l’avvocatura, affinché un diverso e più moderno approccio alla redazione delle motivazioni delle decisioni giurisdizionali possa giovarsi di un altrettanto necessario sforzo di puntualità e sinteticità degli atti di impugnazione.
Non è inutile ricordare che i requisiti di forma-contenuto del ricorso per cassazione sono oggetto anche del PNRR adottato nel 2021, con cui si mira a rendere effettive le regole di chiarezza e sinteticità degli atti processuali.

La magistratura deve saper cogliere la sfida e proporre interventi e riflessioni che si sviluppino su piani diversi, per tentare di farli coincidere nei punti necessari ad una sintesi finale, che sfoci in un’evoluzione positiva per il servizio giustizia e, al tempo stesso, per migliorare modalità e ritmi di lavoro di tutti gli operatori, al fine di ottenere risultati positivi per la Corte di Cassazione non soltanto sotto un profilo quantitativo (tenuto conto delle differenti basi di partenza dei settori civile e penale, leggibili anche negli obiettivi formalizzati dalla Circolare del Capo DOG del 3 novembre 2021, contenente prime indicazioni generali sul PNRR e l’Ufficio del Processo), ma anche e soprattutto nell’ottica di migliorare la funzione di nomofilachia che costituisce l’essenza stessa della giurisdizione di legittimità, costituzionalmente e convenzionalmente orientata.
In tal modo, gli effetti positivi si potranno riverberare anche sui giudizi ed i provvedimenti di merito, che si gioveranno di una capacità interpretativa sempre più intellegibile, meglio coordinata nei contributi delle Sezioni semplici e nel dialogo di queste con le Sezioni Unite, al fine di assicurare maggior stabilità del precedente e una risposta più efficace ed omogenea, per fattispecie analoghe, da parte dei giudici territoriali.
Una simile riflessione, infatti, potrà giovare anche ad un’analisi delle motivazioni dei provvedimenti d’appello che giungono alla verifica della Corte di Cassazione, per individuarne eventuali criticità e costruire un dialogo aperto e proficuo con i colleghi che operano in secondo grado (anche quando l’appello, ovviamente, sia demandato al Tribunale nei casi della giurisdizione del giudice di pace).

Due linee direttrici, dunque, sembrano utili per un’evoluzione ragionata dell’itinerario futuro della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, in special modo di quelli della Corte di cassazione: una che opera sul piano “esterno” dell’organizzazione e della gestione del lavoro del magistrato; l’altra, che punta ad una riflessione sulla struttura motivazionale in sé considerata, sul suo linguaggio e lessico.
Il collegamento tra le due linee di intervento è proprio il piano della composizione della struttura della motivazione, aspetto che coinvolge sia l’organizzazione del lavoro che la scrittura concreta delle argomentazioni a sostegno del provvedimento giurisdizionale ed implica, necessariamente, una seria rielaborazione del concetto di sinteticità motivazionale, per un vero e proprio rinnovamento culturale della capacità espositiva, da calibrare sempre più all’esito decisorio ed alla tipologia di provvedimento.

All’interno di ciascuna di tali due direttrici di azione, alcuni temi paiono più rilevanti, ed è opportuno indicarli, nella consapevolezza che non si possono ignorare i richiami della giurisprudenza europea, anche recentissimi, ad evitare sbarramenti eccessivamente formali all’accesso alla giurisdizione di legittimità, che rischiano di essere lesivi del diritto ad un processo, e ad un processo equo, secondo il dettato dell’art. 6 CEDU.
La recente sentenza della Corte EDU Succi c. Italia, del 28 ottobre 2021, ha posto fortemente il problema dei confini del concetto di inammissibilità del ricorso, per come elaborato dalla giurisprudenza della Cassazione civile, ma le ricadute anche sulla giurisprudenza penale, in molti punti convergente con quella civile sul tema dell’inammissibilità, sono evidenti.
È il tema, oramai aperto, del rapporto tra i caratteri di “sinteticità”, “pertinenza” ed “autonomia” del ricorso (intesa come sua idoneità a consentire la definizione del caso senza l’accesso agli atti) e le sanzioni processuali per la mancanza di tali caratteri, compatibili con le garanzie previste dalla CEDU (che ammette pacificamente, in linea generale, “sistemi di filtraggio” alle impugnazioni dinanzi alle Corti supreme), sempre che siano proporzionate, ovvero non si risolvano in formalismi eccessivi (§ 89 della sentenza Succi c. Italia).
Allo stesso modo, alcune decisioni della Corte di Strasburgo in materia penale hanno aperto il campo ad altri interrogativi sull’eccessivo formalismo nella valutazione di ragioni di inammissibilità (ad esempio, la recente sentenza Willems e Gorjon c. Belgio del 21 settembre 2021, interessante sotto molteplici aspetti, con cui si è dichiarata la violazione dell’art. 6 CEDU in relazione al diritto di accesso al rimedio giurisdizionale, per il formalismo eccessivo della Corte di Cassazione belga in relazione all’inammissibilità del ricorso dovuta alla mancanza di indicazione, da parte del difensore, del possesso dei requisiti di legittimazione e abilitazione; vedi anche, in generale, sugli eccessivi formalismi delle regole di procedura, la sentenza C. EDU, GC, Zubac c. Croazia del 5 aprile 2018).
L’aspetto fondamentale da ricordare è che, per come si presenta strutturato il meccanismo processuale dell’inammissibilità, i problemi di compatibilità con l’art. 6 CEDU possono sorgere prevalentemente avuto riguardo alla violazione del diritto all’accesso alla tutela giurisdizionale e, in un’ottica di collaborazione, sarebbe auspicabile il coinvolgimento futuro dell’avvocatura, già chiamata più volte a dialogare in vista di Protocolli operativi utili a consentire una migliore risposta alle impugnazioni ed una più razionale e ordinata compilazione degli atti di appello e ricorso.
Che il problema del rispetto dei principi convenzionali in tema di inammissibilità si ponga soprattutto sul piano del diritto all’accesso è evidente anche se si guarda alle fonti sovranazionali, alla ricerca di una norma che tuteli la motivazione in termini di obbligo e/o di diritto: la ricerca sarebbe vana, dovendo la CEDU ed il Patto internazionale sui diritti civili e politici mediare tra le caratteristiche dei vari sistemi processuali, prendendo in considerazione quelle comuni, rispetto a sistemi di redazione dei provvedimenti giurisdizionali molto distanti da Paese a Paese (poche pronunce della Corte di Strasburgo affrontano il tema, tra queste: C. EDU, 30 novembre 1987, H. c. Belgio, che si richiama al canone dell’equità; C. EDU, 16 dicembre 1992, Hadjianastassiou c. Grecia, § 33, con cui si sottolinea come i giudici debbano indicare in maniera sufficientemente chiara i motivi posti a fondamento delle proprie decisioni, anche ai fini delle eventuali impugnazioni; sui verdetti immotivati, C. EDU, Sez. I, 2 giugno 2005, Goktepe c. Belgio, che fa leva sulla precisione delle questioni sottoposte ai giurati).
Sarebbe utile, in tale ottica, anche condurre un’analisi comparata che guardi ad altri sistemi ordinamentali europei.

Proposte

Sul piano organizzativo e della gestione del lavoro.

Sono auspicabili, in chiave più spiccatamente organizzativa, ulteriori sforzi di riflessione che prevedano:

  1. Forme sintetiche di struttura motivazionale e modelli standard per la motivazione delle sentenze.
  2. Eventuali, tendenziali differenziazioni motivazionali tra i vari esiti decisori (inammissibilità e rigetto; annullamento con rinvio e annullamento senza rinvio) e, soprattutto, tra sentenze a vocazione nomofilattica (le cd. sentenze orientative) e sentenze che non abbiano tale natura; nonché tra le motivazioni delle decisioni di legittimità che si muovono nel contesto del giudizio di cognizione e quelle che attengono alla fase cautelare. In relazione a queste ultime, infatti, può essere opportuno promuovere un atteggiamento di “self-restraint argomentativo”, che, pur ovviamente puntando a fornire risposte specifiche e complete alla questione giuridica sottoposta, sia in grado di evitare sconfinamenti in valutazioni che anticipano in qualche modo il giudizio vero e proprio, anche in adesione alle nuove istanze legate al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza, tipici proprio del momento motivazionale, secondo le esplicite indicazioni del nuovo art. 115-bis p.p. introdotto dal d. lgs. n. 188 del 2021.
  3. Forme snelle e semplificate di redazione delle motivazioni delle ordinanze della Settima Sezione.
    Un punto a favore di tale evoluzione potrebbe essere segnato dall’adozione di una forma di redazione delle ordinanze di Settima tendenzialmente omogenea tra tutte le sei Sezioni che ne compongono il carico e che eviti l’esposizione separata e duplicata dei motivi di ricorso, con una frase generale e preliminare che dia atto di averli esaminati, individuandoli poi una sola volta, anche accorpati, e fornendo loro una risposta specifica (che dimostri la piena conoscenza degli atti da parte del Collegio), per quanto sintetica.A tal fine, potrebbero essere sfruttate le potenzialità del CED e del SIC penale e civile per consentire, in un’ottica di utile implemento dell’informatizzazione del lavoro, la formulazione di moduli schematici condivisi, adottati anche con il contributo del Gruppo di Lavoro sulle motivazioni delle sentenze istituito dal Primo Presidente e dal Presidente Aggiunto, nonché di un archivio razionalizzato e con chiavi di ricerca informatizzate che ne consentano l’agevole consultazione.Ovviamente, affinché un sistema di rimodellamento delle ordinanze di Settima possa funzionare, è necessario che gli uffici spoglio selezionino ancor più accuratamente i procedimenti che effettivamente abbiano le caratteristiche tipiche di pronta ed agevole definizione per inammissibilità.Un ulteriore ausilio al miglioramento della capacità di definizione (più veloce e agile) potrebbe, infine, venire da un eventuale riequilibrio delle materie di competenza tabellare, da valutarsi all’esito di un’analisi comparata dei dati, per una distribuzione ancor più razionale del carico di lavoro.
  4. Valorizzazione delle risorse esistenti e loro miglior gestione, nonché di quelle messe a disposizione dalla nuova disciplina per l’Ufficio del processo per: 1) la predisposizione di bozze di provvedimenti semplificati o rientranti in categorie più o meno standardizzabili (soprattutto per le ordinanze di Settima Sezione, sotto la guida dei magistrati addetti all’Ufficio Spoglio sezionale), da sottoporre alla verifica del magistrato relatore; 2) la predisposizione di materiale utile ad agevolare lo studio e la decisione nonché la stesura della motivazione.
    Proprio in Settima Sezione, infatti, potrebbe essere valorizzato maggiormente l’apporto del nuovo personale in dotazione alla Cassazione, dopo l’avvio in concreto della riforma relativa all’Ufficio per il processo. L’Ufficio Spoglio sezionale si presta maggiormente all’impiego ottimale di queste risorse, con la duplice finalità di velocizzare i tempi di svolgimento delle singole udienze e, a regime, ridurre i tempi di fissazione, nonché, al tempo stesso, di migliorare il lavoro dei consiglieri in vista dell’udienza, abbreviandone i tempi di redazione delle bozze di minute, mediante predisposizione di file da condividere con il relatore e da redigere, seguendo le indicazioni del magistrato spogliatore, individuando già temi e motivi di inammissibilità, sui quali poi ciascun assegnatario del ricorso interverrà nel percorso di stesura finale.
  5. Coinvolgimento dell’avvocatura nel percorso di razionalizzazione della redazione dei ricorsi e degli atti di impugnazione in genere, anche mediante l’utilizzo degli strumenti telematici.
  6. Dialogo culturale e processuale con la giurisdizione di merito ed in special modo con quella d’appello: comprendere le reciproche esigenze in un impegno combinato può generare, complessivamente, un innalzamento della qualità delle sentenze, destinato ad incidere anche sulla tenuta della decisione e, dunque, sul miglioramento generale del sistema giustizia.
  7. Implementazione dell’utilizzo degli strumenti del processo telematico, al fine di agevolare il lavoro di redazione e deposito delle sentenze, nonché, a monte, quello di studio del fascicolo, tenendo presente che deve esserne garantita la reale funzionalità, secondo le esigenze concrete dei magistrati e della Sezione, nonché delle parti e dei difensori.

Sul piano del linguaggio e del lessico

I temi fondamentali e più urgenti sui quali promuovere ulteriori approfondimenti attengono alla:

  1. Chiarezza, completezza, sinteticità, concisione e “non superfluità” della motivazione, viste dall’ottica “interna” della struttura della sentenza e del suo lessico.
  2. Vittimizzazione secondaria: le indicazioni provenienti dalla società civile e dalla giurisprudenza convenzionale della Corte di Strasburgo (il pensiero corre alla ben nota sentenza della Corte EDU L. c. Italia del 27 maggio 2021) impongono un cambio di passo, una rimodulazione del linguaggio che abbandoni vecchi cliché e retaggi culturali, si liberi degli stereotipi – sia di pensiero che lessicali – e approdi verso nuove consapevolezze, per promuovere al meglio quei valori di eguaglianza e rispetto dei diritti fondamentali contenuti nella Costituzione. In vista del raggiungimento di tale obiettivo è indispensabile una nuova attenzione alla formazione professionale.
  3. Presunzione di innocenza e linguaggio.
    La recente approvazione del d. lgs. 8 novembre 2021 n. 188, con l’introduzione di un nuovo art. 115-bis nell’impianto del codice di rito (rubricato “Garanzia della presunzione di innocenza”) impone di confrontarsi con nuove esigenze di lessico, sempre più rispettose del diritto a non essere considerati “colpevoli” sin quando non venga accertata tale condizione con un provvedimento definitivo di condanna.
  4. Motivazione delle sentenze di merito ed in particolare di quelle d’appello, nell’ottica della verifica di legittimità: problemi e criticità da verificare con momenti di confronto reciproco tra Cassazione e giudici delle impugnazioni di merito.

Il Gruppo di Lavoro di AreaDG Cassazione sulla Motivazione

24 gennaio 2022