Comunicato AreaCSM

Pratica a tutela per i giudici della protezione internazionale

Articoli di stampa attribuiscono a provvedimenti adottati dal Tribunale di Milano intenzioni e motivazioni di carattere politico del tutto improprie. Questo può turbare il regolare svolgimento della funzione giudiziaria

Al Comitato di Presidenza

La Sezione Specializzata di Milano in materia di protezione internazionale, dell’immigrazione e della cittadinanza, dopo mesi di approfondimento e studio, ha proposto, con alcune recenti decisioni, un particolare orientamento a proposito della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, ai richiedenti asilo, della “protezione umanitaria”, istituto introdotto e disciplinato dall’art. 5 co. 6 del D.Lgs. n. 286/98 (il c.d. Testo Unico sull’Immigrazione) ma abrogato dal decreto “Salvini” nell’ottobre 2018 (e solo parzialmente reinserito attraverso il D.L. n.130/2020).

Naturalmente si tratta di casi ancora sottoposti al regime normativo della previgente disposizione, e ciò perché l’immane mole di lavoro che impegna i Tribunali di tutto il paese in questa materia, unita alla delicatezza di ciascuna decisione che riguarda diritti fondamentali della persona, ha prodotto, per effetto dell’inadeguatezza delle risorse nel complesso a disposizione della giurisdizione, un arretrato notevolissimo in questo settore.

In particolare, nelle pronunce che, come sempre, riguardano lo specifico caso di un individuo, la sua storia e il paese di sua provenienza, i giudici hanno valorizzato agli effetti del presupposto della protezione umanitaria – bilanciando la situazione del paese di provenienza con quella del paese in cui si chiede la protezione – quelle peculiari “condizioni di vulnerabilità” in cui si trova una persona in ragione della pandemia e della situazione sanitaria nel paese di origine. E ciò alla luce di una serie di indicatori dell’Inform Epidemic Global Risk Index (identificati nel numero di 100) che tengono in considerazione l’impatto della pandemia sul territorio di origine del richiedente, ma anche il rischio che il richiedente, già identificato vulnerabile, possa, in caso di rimpatrio, subire un ulteriore aggravamento delle proprie condizioni a causa della situazione di pandemia che imperversa nel suo Paese, per esempio, per la scarsità di risorse sanitarie (pochi ospedali o respiratori o posti letto) o per l’insicurezza alimentare o per disordini sociali, sicché si debba ritenere a rischio il nucleo minimo dei suoi diritti umani.

Alcuni giornali hanno riferito di queste decisioni in questi termini:

Si tratta di ricostruzioni fuorvianti a proposito di decisioni che sempre avvengono caso per caso e sempre rivalutano i dinieghi decisi in sede amministrativa alla luce di un ricorso di parte. Il giudice ha l’obbligo di esaminare i casi di protezione internazionale alla luce della situazione del Paese di origine al tempo della decisione; l’obbligo deriva in modo chiaro dalla sentenza del 25 luglio 2018 della Corte di Giustizia dell’Unione europea, che ha precisato il significato della locuzione “ex nunc” contenuta nell’art. 46 della Direttiva 2013/32; ma anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Cass. S.U. n. 29459/2019) hanno ribadito che, per l’accoglimento della domanda, i presupposti devono sussistere “al momento della decisione” e che la verifica dell’attualità delle condizioni per il rilascio del permesso di soggiorno (attraverso il richiamo all’art. 8, comma 3, del D.Lgs. n. 25/2008) – e, dunque, la verifica dell’esistenza di fatti anche sopravvenuti rispetto al momento di presentazione della domanda, se ritualmente acquisiti al processo – è espressione della “estensione dei poteri di accertamento” del Giudice.

Inoltre gli articoli richiamati attribuiscono ai giudici intenzioni e motivazioni di carattere politico del tutto improprie ed ulteriori rispetto all’applicazione della legge ed alla tutela dei diritti che questa afferma e in questo senso appaiono non rispettose dell’esercizio indipendente della funzione giurisdizionale, che la magistratura deve esercitare nel solo rispetto della legge, indipendentemente dalla critica o dal consenso che ne possa derivare, come prevede la Costituzione.

Per queste ragioni chiediamo, ai sensi dell’art. 36 del Regolamento Interno, l’apertura di una pratica a tutela rispetto a comportamenti che appaiono “lesivi del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione tali da determinare un turbamento al regolare svolgimento o alla credibilità della funzione giudiziaria”.

Alessandra Dal Moro
Giuseppe Cascini
Elisabetta Chinaglia
Mario Suriano
Giovanni Zaccaro

 

28 dicembre 2020