MAGGIO
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Diario dal Consiglio del 7 maggio 2021

Non si può morire di lavoro a nessuna età
Il murales di Jorit per Luana D’Orazio, mamma operaia morta sul lavoro

 

Il Plenum

Esito della discussione plenaria dei sei pareri sul disegno di legge n. 2681, cd. Bonafede

Nel corso delle assemblee plenarie del 28 e del 29 aprile sono stati approvati, sulla base delle proposte formulate dalla sesta commissione, i sei pareri sul disegno di legge n. 2681, cd. Bonafede, recante disposizioni di riforma dell’ordinamento giudiziario e del funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.

In particolare, i pareri riguardavano:

La discussione dei pareri, iniziata il 17 marzo, è stata estremamente complessa in ragione dei numerosissimi emendamenti che sono stati presentati al testo proposto.

Non è possibile qui ricostruire i termini della discussione, che è stata, su molti punti, approfondita ed interessante anche per le diverse visioni di molti aspetti ordinamentali e del ruolo del Consiglio che sono emersi nel confronto delle opinioni. Ci pare però importante riferire di almeno tre degli emendamenti discussi.

1. Uno di questi riguardava la premessa dei pareri n. 1 e n. 2 (relatori rispettivamente cons. Chinaglia e cons. Zaccaro) aventi ad oggetto: il primo, le modifiche ordinamentali introdotte in tema disciplina delle procedure di assegnazione degli incarichi direttivi e semidirettivi; il secondo, le modifiche (in particolare) ai criteri per il conferimento delle funzioni giudicanti e requirenti di legittimità, al funzionamento del consiglio giudiziario e alle valutazioni di professionalità, l’accesso alla magistratura, alla pianta organica e alle competenze dell’ufficio del massimario. La premessa di entrambi i pareri, che era volta a sottolineare la criticità di un intervento legislativo orientato a disegnare, per il Consiglio Superiore della Magistratura, un potere amministrativo sostanzialmente vincolato attraverso l’attrazione, a livello normativo primario, della disciplina, anche di dettaglio, finora prevista in sede di autovincolo dalle circolari consiliari, era stata oggetto di un emendamento soppressivo proposto dalla componente laica per ragioni tecniche (legate ad ambiguità sull’analisi ivi contenuta della riserva di legge in materia di O.G.), metodologiche e politiche (quasi che la rivendicazione della discrezionalità del Consiglio tendesse a perpetuare l’uso opaco che della stessa è stato fatto, da taluni indubbiamente, nel passato).

Detto emendamento era stato approvato con il voto favorevole di tutti i componenti laici e dei consiglieri Ardita, Braggion, D’Amato, Di Matteo, Marra, Miccichè, Pepe (contrari Cascini, Chinaglia, Ciambellini, Celentano, Dal Moro, Grillo, Suriano, Zaccaro).

Ritenendo che la questione fosse di centrale importanza per salvaguardare le prerogative del Consiglio ed il suo ruolo di presidio dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, al netto delle deviazioni dell’uso del potere che i singoli ne abbiano fatto, abbiamo proposto un emendamento integrativo, teso a ripristinare la premessa – salvi i chiarimenti tecnici necessari – nell’intendimento di mantenere l’accento critico su un’opzione legislativa contraria all’elaborazione pluriennale sul ruolo del Consiglio, sul senso della discrezionalità che caratterizza la sua attività e sui mezzi (l’autovincolo tramite l’esercizio di un potere paranormativo) funzionali a creare la cornice che ne salvaguardino l’esercizio trasparente, coerente e responsabile.

L’emendamento – riformulato in via definitiva dalle cons. Dal Moro e Miccichè,  attraverso il coordinamento con analogo emendamento del parere proposto dai Cons. Braggion, D’Amato e Miccichè “a chiusura” dei pareri medesimi – è stato approvato dalla larga maggioranza del Plenum (favorevoli: Balduini, Braggion, Cascini, Celentano, Chinaglia, Ciambellini, Curzio, Dal Moro, D’Amato, Grillo, Miccichè, Pepe, Salvi, Suriano, Zaccaro; astenuti: Benedetti, Donati, Cerabona, Marra; contrari: Cavanna, Gigliotti, Lanzi, Basile).

Sostanzialmente, dopo l’approvazione dell’emendamento, in premessa di entrambi i pareri ora si afferma che in capo al Consiglio deve riconoscersi il “potere” ma anche il “dovere” di integrare il sistema normativo positivo attraverso il suo potere amministrativo discrezionale: un potere che corrisponde alla prerogativa costituzionale di tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura; un dovere che risponde all’esigenza di autovincolo della propria discrezionalità amministrativa in funzione della trasparenza e della omogeneità dell’esercizio della stessa. Mentre la scelta legislativa che irrigidisce nella tendenziale stabilità della norma primaria regole fin qui affidate alla più agile flessibilità della disciplina secondaria, finisce per trasformare l’attività del Consiglio in un’attività fortemente vincolata, in contrasto con l’art. 105 Cost., il quale disegna un organo con proprie attribuzioni sostanziali, che implicano l’esercizio di una discrezionalità amministrativa e non meramente tecnica.

Inoltre, si sottolinea:

  1. che proprio il rilievo costituzionale che assumono le competenze consiliari nel governo autonomo della magistratura induce ad escludere che il Costituente abbia inteso assegnare al Consiglio attribuzioni solo di carattere formale e che il ruolo di quest’ultimo si esaurisca nel dare attuazione a dettagliati precetti del legislatore. Del tutto in linea, peraltro, con quanto aveva affermato, già nel 1991, la Commissione presidenziale per lo studio dei problemi concernenti la disciplina e le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura (cd. Commissione Paladin), nata con il compito di verificare poteri e limiti degli atti del Consiglio (in particolare in merito alla funzione paranormativa dello stesso), delle funzioni dell’organo di governo autonomo della magistratura e dei rapporti con gli altri poteri dello Stato, che aveva, infatti, espressamente affermato essere “abbastanza pacifico che l’esistenza di un organo quale il CSM rischierebbe di non avere senso se i provvedimenti ad esso spettanti fossero del tutto vincolati alla necessaria e meccanica applicazione di previe norme di legge”.
  2. Che l’azione di governo autonomo in materia ordinamentale, deve essere capace, in ossequio ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, di un tempestivo adeguamento all’evoluzione dei tempi e alle cangianti necessità della giurisdizione, a loro volta continuamente sollecitate dalle mutevoli necessità sociali e dalle specifiche esigenze dei diversi territori, cui deve corrispondere una organizzazione della giurisdizione civile e penale, in tutte le declinazioni in cui essa si attua (dall’organizzazione degli uffici alla carriera dei magistrati).

Nella parte conclusiva del parere n. 1, relativo alla nomina di direttivi e semidirettivi si sottolinea, inoltre, che il menzionato intendimento del legislatore, volto ad una limitazione del potere delle correnti, appare contraddetto dalla reintroduzione della clausola dello “spiccato ed eccezionale rilievo” quale deroga al criterio dell’anzianità valorizzato dal ripristino del sistema delle cd. fasce di anzianità (introdotte dall’art. 10, comma 1, lett. a), clausola, che rischia di alimentare il già nutrito contenzioso amministrativo, riproponendo le medesime incertezze applicative che ne avevano imposto il superamento da parte del Consiglio Superiore.

2. Altro emendamento assai rilevante a nostro parere, per il significato propositivo che ha e per la direzione che indica, è quello da noi proposto (“Ripensare il ruolo dei direttivi e dei semidirettivi”, e “Introdurre una vera temporaneità degli incarichi”) che avevamo già illustrato ed offerto al dibattito esterno. L’emendamento intendeva suggerire al legislatore di perseguire una strada diversa per restituire trasparenza, credibilità ed autorevolezza in questa materia alle decisioni del Consiglio, rispetto a quella di vincolarne le decisioni con norma primaria: una strada che parte dalla causa degli effetti distorsivi prodottosi in questo ambito nell’attività del Consiglio e prova ad immaginare una soluzione coerente soprattutto con l’interesse degli uffici; valorizzando un concetto partecipato di dirigenza ed un’effettiva temporaneità degli incarichi direttivi, per contrastarne la “lettura” carrieristica all’interno della magistratura e riaffermare, nei fatti, l’indicazione costituzionale per cui i magistrati si distinguono solo per funzioni (art. 107 Cost), che è in totale distonia con una visione gerarchica e verticistica della magistratura sempre più diffusa.

L’emendamento è stato discusso e sottoposto alla votazione del Plenum in modo autonomo nelle due parti.

  1. La prima parte evidenzia come con l’attuale sistema accade che quasi tutti gli attuali semidirigenti e dirigenti poco dopo la scadenza del primo termine quadriennale presentino domanda per un nuovo incarico; e che l’esigenza di rendere più oggettivi i criteri di valutazione ha portato a valorizzare sempre più, soprattutto da parte del giudice amministrativo, l’esercizio pregresso di funzioni semidirettive o direttive, senza però che, nella maggior parte dei casi, sia realmente possibile una valutazione effettiva del modo in cui le funzioni sono state svolte. Sicché si è creato, nei fatti, un circuito della carriera dirigenziale, nel quale l’aspirazione ad un incarico direttivo o semidirettivo è funzionale non tanto all’efficace gestione organizzativa di un ufficio o di una sezione, quanto alla costituzione di un titolo da spendere nel proprio curriculum professionale. Ne consegue che la temporaneità è solo di sede e di incarico, ma non di funzioni, in quanto chi inizia una carriera dirigenziale molto difficilmente ritorna poi a svolgere funzioni giudiziarie semplici.
    Il disegno di legge, in proposito, in un’apprezzabile ottica di maggiore stabilità delle funzioni dirigenziali, oltre ad abrogare l’art. 195 dell’OG (facendo salvo un termine diverso solo per il conferimento dell’incarico di Primo Presidente della Corte di cassazione e di Procuratore generale presso la medesima Corte rispetto ai quali, dunque, il termine di legittimazione non ha efficacia preclusiva) allunga di un anno il termine di legittimazione per il direttivo e per il semidirettivo, indipendentemente dal fatto che abbia o meno richiesto la conferma (onde impedire che, attraverso l’escamotage di non chiedere la conferma, il magistrato acquisisca la legittimazione al trasferimento prima dei cinque anni). Ma nel nostro emendamento noi abbiamo sottolineato che sarebbe, invece, preferibile un sistema diverso, che, oltre a garantire stabilità alle funzioni dirigenziali, prevedesse un’effettiva temporaneità delle funzioni direttive e semidirettive, e pertanto, non solo che il magistrato nominato ad un incarico direttivo o semidirettivo che chieda la conferma nell’incarico, sia obbligato a completare anche il secondo quadriennio, ma che, in ogni caso, non possa presentare domanda per un nuovo incarico direttivo o semidirettivo prima di un certo termine (due/tre anni) dalla cessazione del precedente incarico. Questa parte è stata approvata con 13 voti favorevoli (Ardita, Benedetti, Cascini, Cavanna, Celentano, Chinaglia, Curzio, Dal Moro, Di Matteo, Gigliotti, Marra, Pepe, Suriano), 6 voti contrari (Balduini, Braggion, Ciambellini, D’Amato, Grillo, Miccichè) e 3 astenuti ( Basile, Cerabona, Lanzi).
  2. La seconda parte evidenzia l’irrazionalità nella distribuzione degli incarichi semidirettivi, ma soprattutto nel loro notevolissimo numero (basti pensare che nelle corti il rapporto medio tra magistrati e semidirettivi è di 1 a 4) che, da un lato, riduce la possibilità per il CSM di una analisi approfondita dei percorsi professionali dei candidati e della qualità delle precedenti esperienze dirigenziali determinando, inevitabilmente, procedimenti di nomina più lunghi, burocratici e meno trasparenti; dall’altro, secondo la comune esperienza, non è affatto indispensabile. Se negli uffici medi e piccoli i semidirettivi paiono essere un sicuro supporto, necessario alla dirigenza, assumendo il coordinamento di interi settori; negli uffici più grandi, soprattutto quelli con molte sezioni specializzate, i semidirettivi svolgono funzioni di coordinamento ed organizzative non tanto pregnanti da richiedere il vaglio attitudinale del CSM, e ben potrebbero essere individuati all’interno degli Uffici, magari fra quelli con maggiore esperienza in quella materia, e con procedura tabellare o a rotazione per anzianità. Una soluzione che incentiverebbe i magistrati a partecipare maggiormente all’organizzazione dei propri uffici e a condividerne la responsabilità.

Anche questa parte dell’emendamento è stata approvata con 12 voti favorevoli (Ardita, Benedetti, Cascini, Cavanna, Celentano, Chinaglia, Curzio, Dal Moro, Di Matteo, Marra, Pepe, Suriano), 7 voti contrari (Balduini, Braggion, Cerabona, Ciambellini, D’Amato, Grillo, Miccichè) e 3 astenuti ( Basile  Gigliotti  Lanzi).

3. Ultimo emendamento a nostro parere rilevante riguardava la soppressione nel parere avente ad oggetto, tra l’altro, le “Disposizioni concernenti la costituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”, della critica formulata alla disposizione che introduce il “divieto per i componenti di costituire “gruppi” all’interno del Consiglio e l’obbligo, per ognuno di essi, di esercitare le proprie funzioni in piena indipendenza e imparzialità (art. 27 lett. b), disposizione, che, come sottolinea il parere, più che un valore simbolico, assume piuttosto, l’effetto precettivo di creare un illecito vero e proprio. L’emendamento era stato proposto dal cons. Di Matteo. Della nostra opinione contraria all’emendamento e delle ragioni della stessa abbiamo già riferito in un recente documento al quale rimandiamo.
All’esito della votazione l’emendamento è stato respinto con 13 voti contrari, 5 favorevoli, 3 astenuti.

Tutti i pareri sono stati approvati a larghissima maggioranza. Solo sul parere n.1, quello relativo agli incarichi direttivi e semidirettivi, si sono registrate 8 astensioni; alcune (Ciambellini e Miccichè) esplicitamente motivate con la contrarietà all’emendamento da noi proposto e approvato in tema di effettiva temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi e di riduzione del numero dei posti semidirettivi.

La nomina del Procuratore aggiunto di Salerno e la Nomina del Presidente del Tribunale di Roma

Nel plenum di mercoledì 4 e giovedì 5 maggio sono state trattate, tra le altre, due pratiche della Quinta Commissione, relative alla nomina del Procuratore aggiunto di Salerno e alla nomina del Presidente del Tribunale di Roma.

Nomina del Procuratore aggiunto di Salerno

Come abbiamo già illustrato in un precedente Diario, si trattava di un caso di riedizione del potere a seguito di annullamento da parte del giudice amministrativo. Ripercorriamo la vicenda perché, a nostro avviso, al di là del caso specifico del dott. Francesco Soviero, essa ha visto dei passaggi, anche procedimentali, rilevanti, che meritano attenzione affinché, anche all’esterno, si possa valutare l’esercizio in concreto della discrezionalità consiliare sul tema – assai delicato – della valorizzazione della messaggistica  intercorsa con il dott. Palamara, che ha destato e desta grande attenzione dentro e fuori dalla magistratura.

Il CSM, nella precedente composizione, aveva nominato il dott. Rocco Alfano. La nomina era stata annullata dal giudice amministrativo su ricorso del dott. Francesco Soviero, in ragione di una contraddittorietà della motivazione della delibera, la quale aveva valorizzato la esperienza in DDA del dott. Alfano nella comparazione con uno dei concorrenti (che tale esperienza non poteva vantare), mentre nella comparazione con il dott. Soviero aveva omesso di riferire della (anche più duratura) esperienza in DDA di quest’ultimo.

In sede di rivalutazione della pratica, Giuseppe Cascini in Commissione aveva chiesto di acquisire al procedimento, come elemento nuovo, la messaggistica intercorsa tra il dott. Soviero e il dott. Palamara negli anni 2017 e 2018 e di procedere all’audizione dell’interessato ai sensi dell’articolo 36 del Testo Unico sulla dirigenza: infatti in uno di quei messaggi, il dott. Soviero, chiedeva esplicitamente il sostegno del dott. Palamara e del gruppo di Unità per la Costituzione per un incarico direttivo.

Come abbiamo sempre sostenuto, infatti, e come sembrano tutti concordare in astratto in Consiglio, anche alla luce delle plurime discussioni – plenarie e non – sul tema, la messaggistica trasmessa dalla procura di Perugia, deve essere presa in considerazione onde verificarne la rilevanza non solo agli effetti di eventuali incompatibilità ambientali ex art. 2 di cui vanno vagliati rigorosamente i presupposti, ma anche agli effetti dell’incidenza delle condotte dei singoli sui prerequisiti della funzione (ed in particolar modo dell’indipendenza), in sede di valutazioni di professionalità o di vaglio delle attitudini alle funzioni direttive e semidirettive.

La V commissione con 4 voti contrari (Ciambellini, Miccichè, Cerabona e Donati) e 2 a favore (Cascini, Marra) aveva respinto la richiesta di acquisizione del materiale e di audizione dell’interessato, ritenendo la richiesta tardiva, in quanto intervenuta dopo il voto della commissione e comunque irrilevante, in quanto la richiesta di sostegno era riferita ad una procedura diversa da quella di Procuratore aggiunto a Salerno.

Nel Plenum successivo, Giuseppe Cascini ha formulato richiesta di ritorno in commissione della pratica, sostenendo che l’acquisizione del materiale e l’audizione dell’interessato erano atti dovuti, in quanto finalizzati a consentire ad un componente della commissione di utilizzare nella valutazione comparativa il materiale in possesso del CSM, illustrando le ragioni per le quali considerava quella messaggistica rilevante ai fini della valutazione (negativa) del candidato.

La richiesta di segretazione della pratica a quel punto avanzata dai cons. Ciambellini, Miccichè e D’Amato, sostenuta dall’argomento che la messaggistica intercorsa tra il dott. Palamara e il dott. Soviero atterrebbe alla vita privata del magistrato di cui dovrebbe essere garantita la riservatezza, è stata respinta con ampia maggioranza (noi ci eravamo espressi negativamente osservando che si trattava di atti di un procedimento penale non più coperti da segreto e di conversazioni che attengono al conferimento di incarichi pubblici intercorse tra un candidato e il componente dell’organo conferente: nulla a che vedere, quindi, con dati che attengono alla sfera privata della persona e che a norma di regolamento consentono di derogare al principio della pubblicità delle sedute del Consiglio, che è garanzia di trasparenza della sua azione).

Dopo ampio dibattito, la richiesta di ritorno in commissione era stata approvata con 11 voti a favore (Ardita, Cascini, Cavanna, Chinaglia, Dal Moro, Di Matteo, Gigliotti, Marra, Pepe, Suriano, Zaccaro), 8 voti contrari (Basile, Braggion, Celentano, Ciambellini, D’Amato, Grillo, Lanzi, Miccichè) e 2 astenuti (Donati, Cerabona).

Dopo il ritorno in commissione, sono state acquisite le chat e si è proceduto alla audizione del dott. Soviero. All’esito, la commissione ha proposto con 5 voti (Cerabona, Ciambellini, Donati, Miccichè, Marra) la nomina del dott. Soviero, e con 1 voto (Cascini) la nomina del dott. Alfano.

Nel Plenum del 4 maggio, in coerenza con quanto sostenuto nel precedente dibattito, e con la delibera del precedente Plenum, Giuseppe Cascini ha riproposto la nomina del dott. Alfano. Nella proposta di delibera si sottolineava come la violazione delle disposizioni del codice etico della magistratura, le quali vietano al magistrato di adoperarsi, o di lasciare che altri si adoperino, per ottenere incarichi dovesse avere una incidenza negativa sui prerequisiti di indipendenza e di imparzialità e quindi comportasse necessariamente, in sede di valutazione comparativa, un giudizio negativo sul complessivo profilo del candidato. Il dibattito in Plenum, e la votazione che ne è seguita, ci sono parsi molto significativi. Si è parlato della necessità (o del valore scriminante in sostanza) di chiedere il sostegno di una corrente a seguito della ingiusta pretermissione in precedenti occasioni; della necessità di segnalare le proprie domande per non essere ingiustamente scavalcati; dell’irrilevanza in questa sede delle violazioni del codice etico dei magistrati. Noi abbiamo fatto presente che il correntismo deteriore è esattamente questo, che queste sono le ricorrenti giustificazioni di chi lo pratica e che il Consiglio aveva il dovere di dare una risposta ai tanti magistrati che non hanno mai chiesto e non vogliono chiedere a nessuno il sostegno o l’aiuto per una nomina.

All’esito, la proposta in favore del dott. Soviero ha ottenuto 13 voti (Basile, Braggion, Celentano, Cerabona, D’Amato, Donati, Di Matteo, Grillo, Marra e Pepe), quella in favore del dott. Alfano 5 voti (Cascini, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro) 5 gli astenuti (Ardita, Benedetti, Cavanna, Gigliotti).

La nomina del Presidente del Tribunale di Roma

Nel Plenum di mercoledì e giovedì è stata discussa e votata anche la nomina del Presidente del Tribunale di Roma. La Commissione aveva proposto il dott. Gianni Buonomo (votanti Cascini e Cerabona) e il dott. Roberto Reali (votante Ciambellini) con l’astensione dei cons. Donati, Marra e Miccichè. Abbiamo sostenuto convintamente la nomina del dott. Buonomo sulla base degli indicatori, generali e speciali, del Testo Unico sulla dirigenza. In particolare, abbiamo ritenuto che fossero determinanti i positivi risultati conseguiti nell’esercizio delle funzioni semidirettive svolte e consistiti prima nella riorganizzazione della sezione diretta e poi nel decisivo contributo fornito al Presidente della Corte d’Appello nella riorganizzazione dell’intero settore civile della Corte e le particolari attitudini direttive dimostrate nella redazione di un progetto organizzativo per il Tribunale di Roma molto articolato e dettagliato, illustrato efficacemente nel corso dell’audizione. Pur in presenza di una netta prevalenza, a nostro parere, del dott. Buonomo sul piano del merito e delle attitudini, la proposta in favore del dott. Reali si è incentrata sulla parità delle attitudini e del merito dei due aspiranti e sulla decisività della presunta incompatibilità del dott. Buonomo in ragione del rapporto di coniugio con una collega, Presidente di Sezione del Tribunale di Roma. Sul punto il dibattito ha avuto momenti anche sgradevoli, laddove si è sostenuto che fosse irrilevante ai fini della persistenza effettiva dell’incompatibilità il fatto che la consorte del dott. Buonomo (che peraltro non era più Presidente di Sezione dal 2 maggio) avesse fatto domanda di trasferimento ordinario, che fosse la prima per anzianità in entrambe le domande presentate e che i termini per eventuali revoche fossero già scaduti. Dunque, che fosse irrilevante quanto concretamente risultante circa la rimozione della situazione d’incompatibilità, doverosamente dichiarata in sede di presentazione della domanda.

All’esito di un breve dibattito, con pochissimi interventi, la votazione si è conclusa in parità. Votanti per il dott. Buonomo: Benedetti, Cascini, Cerabona, Chinaglia, Dal Moro, Donati, Gigliotti, Marra, Pepe, Suriano, Zaccaro; votanti per il dott. Reali: Ardita, Balduini, Basile, Braggion, Cavanna, Celentano, Ciambellini, D’Amato, Di Matteo, Grillo, Miccichè. A questo punto la seduta è stata sospesa per un dubbio della Presidenza in ordine alle norme regolamentari applicabili in caso di parità del voto (immediata ripetizione della votazione ovvero prevalenza del candidato più anziano) e rinviata al giorno successivo con richiesta di parere alla II commissione.

Il giorno successivo, la II commissione (a maggioranza e con il voto contrario della cons. Braggion) ha affermato che ai sensi dell’art. 47 del Regolamento la votazione andava immediatamente ripetuta e solo in caso di perdurante parità avrebbe prevalso il candidato più anziano in ruolo. Abbiamo rappresentato che la regola della immediata ripetizione della votazione risultava in questo caso non rispettata, in quanto la pratica era stata rinviata dal giorno precedente e la composizione del Plenum era differente (risultavano presenti i cons. Lanzi, Salvi e Curzio, i quali non avevano partecipato alla votazione del giorno precedente). Si è proceduto, comunque, ad una seconda votazione conclusa con 12 voti a favore del dott. Reali (gli stessi del giorno prima, ai quali si è aggiunto il cons. Lanzi), 11 a favore del dott. Buonomo (gli stessi del giorno prima) e due astenuti (Curzio e Salvi).

La nomina dei Procuratori Europei Delegati

Nel plenum del 28 aprile abbiamo designato i Procuratori Europei Delegati. La valutazione delle attitudini è stata effettuata verificando la concorrente esperienza professionale in materia di indagini per reati di competenza di EPPO ed in materia di cooperazione giudiziaria internazionale nelle materie di EPPO.

Sono stati ritenuti “ottimi” (votazione 5 e 6) i profili dei candidati che vantano una lunga, qualificata, continuativa esperienza sia nella conduzione di indagine per reati in materia EPPO che nella cooperazione giudiziaria in quel settore.
Sono stati ritenuti “buoni” (votazione 4 e 3) i profili dei candidati che – seppure non specializzatisi nei reati di competenza EPPO – vantano un’esperienza di pubblico ministero con vocazione alla cooperazione giudiziaria internazionale, oppure una comprovata e positiva competenza in materia di cooperazione giudiziaria internazionale anche se accompagnata da minore esperienza investigativa.

È stato valorizzato il fatto che la competenza nella materia della cooperazione internazionale così come l’esperienza nelle funzioni requirenti, fosse recente ed attuale, sicché, a parità di attitudine “astratta”, sono stati ritenuti comparativamente subvalenti per l’attribuzione dell’incarico i colleghi attualmente collocati fuori dal ruolo della magistratura o che svolgono attualmente funzioni giudicanti. Invero i Procuratori Europei Delegati sono comunque pubblici ministeri in servizio presso l’autorità giudiziaria nazionale, pertanto nella valutazione delle attitudini è sembrato fondamentale requisito una robusta esperienza nello svolgimento delle funzioni requirenti.

È poi necessario precisare che la legge nazionale non ha previsto una graduatoria unica nazionale dalla quale attingere per le designazioni, ma ha preferito un sistema simile a quello dei trasferimenti orizzontali (ossia graduatorie per ciascuna delle nove sedi PED) e, quindi, colleghi, pure con buoni profili, non sono stati designati perché hanno fatto domande solo per sedi PED che hanno registrato molti aspiranti, e che, stanti i criteri selettivi predetti, è probabile sarebbero stati designati se avessero fatto domande anche per altre sedi.

Con soddisfazione abbiamo appreso che tutti i PED designati dal CSM sono stati nominati, previa verifica dei curricula, da EPPO e procederemo a breve al trasferimento presso le sedi indicate.

Vale la pena osservare che il numero esiguo di domande pervenute è forse indice della poca chiarezza che ancora permane in ordine alle funzioni dei PED e al loro collocamento ordinamentale. D’altro canto, è stata forse poco felice la scelta del legislatore di pretendere – per la nomina a PED – la terza valutazione di professionalità che ha comportato la mancata legittimazione di colleghi che, per motivi anagrafici, hanno una maggiore dimestichezza con le tematiche della Unione Europea oltre che una maggiore disponibilità alla mobilità.

Rimane l’auspicio che la Procura europea possa funzionare bene e presto e che il Ministero della Giustizia fornisca gli strumenti e le risorse perché i PED possano lavorare, senza che, quindi, detti strumenti e risorse siano “reperiti” sottraendoli a quelli, già insufficienti, degli uffici giudiziari nazionali.

* * * 

Cogliamo l’occasione per rappresentare che, nel frattempo, in Terza commissione, si stanno vagliando le domande per i tramutamenti orizzontali: l’auspicio è di sottoporre al plenum la relativa delibera entro il mese di maggio, così da procedere per giugno ai bandi per i trasferimenti di secondo grado.

Vi racconteremo … buon lavoro e buona settimana

Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario