Primarie per l’elezione del Csm
Categoria magistrati di Merito

Giovanni (detto Ciccio) Zaccaro

Tribunale di Bari

Sono Giovanni “Ciccio” Zaccaro, giudice quarantacinquenne presso il Tribunale di Bari, dopo essere stato giudice presso il Tribunale di Brindisi ed il Tribunale per i minorenni di Bari.

Ho maturato un’intesa attività associativa ed ordinamentale, come componente della commissione flussi e del consiglio giudiziario. Mi diverto ancora a lavorare per la storica rivista Questione Giustizia, oggi tutta digitale ed on line.

 

Sono candidato alle primarie di Area per il CSM e sono moltro orgoglioso di essere stato scelto per questo compito.

 

Il Csm e tutto il sistema dell’autogoverno sono oggi delegittimati, insultati, denigrati.

Concepiti come il “nemico” o comunque come “altro da sé” dai colleghi.

Si tratta di un palese sintomo del disagio dei magistrati italiani.

Quando ho vinto il concorso, quindici anni fa, c’era il disagio di essere aggrediti e svillaneggiati dal ceto politico. Oramai, dopo che si è completato il percorso di delegittimazione politica e sociale della magistratura, il disagio è tutto interno alla magistratura. Siamo presi, come tutto il paese, da toni demagogici e populisti. Ma noi, che ci vantiamo di essere la parte pensante della magistratura, non possiamo trascurare ilmalessere diffuso verso l’autogoverno. 

Dobbiamo farcene carico.

Il CSM è il presidio dell’indipendenza e della autonomia della magistratura.

Ed allora dobbiamo tenercelo stretto e restituirgli nuova autorevolezza.

Per dare credibilità ed autorevolezza al CSM dobbiamo spiegare cosa fa. Diffondere la cultura ordinamentale fra i colleghi. 

Soprattutto rendere conto delle decisioni consiliari.

Basta con i comunicati trionfalistici per una nomina azzeccata o quelli polemici per quella sbagliata, dagli altri.

Serve, invece, una comunicazione costante, trasparente che restituisca all’esterno del palazzo quello che accade all’interno.

Non solo per trasparenza e per pratica di democrazia ma come metodo di lavoro e di decisione.

Solo sapendo di dovere rendere conto all’esterno, di dover motivare e spiegare i propri voti, adotteremo decisioni, forse sbagliate, forse contestabili, ma delle quali non dobbiamo vergognarci.

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Dobbiamo, poi, ricordare che il CSM non si occupa solo di nomine

Dobbiamo usare la regola della “persona giusta al posto giusto” non solo per i direttivi ma anche per i tramutamenti interni agli uffici, valorizzando le attitudini piuttosto che la anzianità.

Ma dobbiamo essere in grado di capire chi sia la persona giusta. Dobbiamo, allora, riformare e snellire le procedure per la valutazioni di professionalità trasformandole dal luogo dell’ “aggettivazione” del collega in valutazione a quello dell’ “oggettivazione” della carriera del collega. Dobbiamo spiegare cosa ha fatto, per quanto tempo, con quali risultati, in quale contesto. Dobbiamo avere la capacità e gli strumenti per descrivere la carriera del magistrato, le attività professionali svolte ed anche gli incarichi di collaborazione svolti. 

Solo così potremo lottare contro la “caccia alla medaglietta” ed al carrierismo. Solo creando “format” per l’effettiva verifica dei risultati raggiunti nelle varie funzioni non strettamente giurisdizionali, solo evitando gli esoneri non strettamente necessari, si renderanno tali funzioni “servizi” e non “benefici” ed effettive palestre per verificare l’esistenza di attitudini direttive.

 

Dobbiamo poi vigilare sul rispetto delle regole tabellari.

Ancora troppe volte si leggono decreti immotivati, decisioni prese per favorire uno in danno dell’altro, atteggiamenti sessisti (“... questa e’ una funzione da maschi...”) o paternalistici (“... collega porta pazienza, la prossima volta tocca a te...”). Se crediamo in una gestione partecipata degli uffici, dobbiamo favorire la cultura ordinamentale e gli spazi per le osservazioni dei colleghi. 

L’attenzione alle tabelle però non deve essere mero tecnicismo. Insieme a quelli sciatti, ci sono progetti tabellari, o variazioni tabellari, impeccabili ma ridotti a mero esercizio di stile, “senza anima”. Invece, dietro ciascuna decisione organizzativa e tabellare, vi sono opzioni politiche.Il potenziamento di un settore a scapito di un altro risponde ad una (legittima) opzione di valore da parte del dirigente dell’ufficio giudiziario che deve essere oggetto di una (altrettanto legittima)valutazione in sede di conferma o di ulteriore incarico.

Se vogliamo disincentivare la giurisprudenza difensiva (o peggio una giurisprudenza pigra, tutta fondata sull’ansia della definizione dei processi) dobbiamo sottrarre i colleghi dal terrore delle statistiche  (che coglie ora anche i pm, alle prese con le novità che impongono termini stringenti per le indagini). Dobbiamo vigilare sulla perequazione dei ruoli, nell’interesse non solo del singolo ma del migliore funzionamento dell’ufficio. Dobbiamo vigilare sulle pratiche di nonnismo giudiziario, non nell’interesse del singolo ma di quello della collettività,  perché altrimenti si corre il rischio  di scaricare il maggiore peso giudiziario sui colleghi meno esperti  e che inevitabilmente si trincererebbero nel conformismo giudiziario. 

Se vogliamo tenere il pm dentro la giurisdizione dobbiamo insistere sulla strada che la compagine consiliare di Area  ha meritoriamente  aperto con i lavori sulla nuova circolare sulle procure e vigilare sulla sua concreta attuazione.

 

Dobbiamo costruire una mobilità dei magistrati che coniughi le legittime aspettative di vita, affettive, familiari dei singoli con le esigenze del servizio. Dobbiamo tutelare la genitorialità, senza scassare gli uffici.

Dobbiamo evitare che le scoperture di organico, le inadempienze del Ministero, le disorganizzazione degli uffici ricadano sui colleghi più giovani.

Non si tratta di politiche corporative. Anzi! Solo così si sottraggono i colleghi “di prima nomina” alle sirene corporative delle correnti reazionarie. Solo così li sottraiamo alla dittatura dei capi uffici, alla caccia ai benefici della legge 104 o della legge 100, alla fuga verso il fuori ruolo.

Non sono sufficienti le misure assistenziali: i congedi, le aspettative,  i permessi sono palliativi per qualche settimana. Né è possibile incatenare i colleghi alle sedi, come la norma odiosissima che allunga i tempi di permanenza negli uffici.

Sono necessarie misure strutturali perché non si tratta di emergenze ma della quotidianità negli uffici. 

Si deve tornare a parlare di geografia giudiziaria, eliminando i piccoli uffici che creano diseconomie di scala e dove più difficilmente si gestiscono le assenze dei colleghi.

Ma si devono inventare, praticare, diffondere buone pratiche di organizzazione che non penalizzino i colleghi che devono occuparsi dei figli, ma che invece assorbano od attutiscano le assenze per genitorialità.

Dobbiamo promuovere un nuovo modo di lavorare e di organizzare i ruoli dei giudici e delle sezioni, che neutralizzi le difficoltà che discendono dalla mobilità dei magistrati (per esempio le sistematiche rinnovazioni delle istruttorie dibattimentali per chi svolge le funzioni penali). Dobbiamo modulare i criteri di priorità (fra procura e tribunale, procura generale e corte di appello), i programmi di gestione, le tabelle ed i progetti organizzativi -non solo sulla base della realtà criminale, dei flussi, degli obiettivi quantitativi - ma anche tenendo conto delle (legittime) ambizioni alla mobilità dei magistrati e comunque della necessaria tutela della genitorialità.

 

Soprattutto dobbiamo lavorare al CSM ancora “calati” nella giurisdizione, dismettere tendenze autoreferenziali, continuare a visitare gli uffici ed a parlare con i colleghi, non solo con quelli interessati alle singole questioni consiliari ma con tutti, per conoscerne le aspettative, le frustrazioni, le idee sull’autogoverno.  

Ed in questo dobbiamo essere aiutati da tutti i colleghi e che devono ritrovare la voglia di fare politica associativa e innervare le articolazioni nazionali e distrettuali di AREA.