COMUNICATO

Il “contratto” di Governo in materia di giustizia: preoccupazioni, perplessità e speranze

Confidiamo che ai proclami segua una seria analisi dei problemi e che le scelte concrete dell'esecutivo si muovano davvero nella direzione di una giustizia più rapida ed efficiente

Il testo del “contratto” di Governo nelle parti relative alla giustizia suscita perplessità e preoccupazione. Il serio rischio è che si giunga a risultati opposti a quelli – astrattamente condivisibili – che il contratto si propone: una giustizia più rapida ed efficiente e una più diffusa sicurezza dei cittadini.

Come insegna l’esperienza del nostro e di altri paesi, questi obiettivi si possono raggiungere solo puntando su un forte investimento di risorse umane e finanziarie; sull’organizzazione e l’innovazione; sul contenimento dei comportamenti penalmente rilevanti; sulla rieducazione e sul recupero dei condannati.

Seguendo questa strada è stato raggiunto qualche risultato, ancorché parziale e insoddisfacente. A livello organizzativo – dopo anni di inerzia – si è iniziata l’immissione in ruolo di personale amministrativo e incrementato il numero dei concorsi per l’accesso in magistratura. Nel settore penale è stato lievemente ridotto il numero dei reati e, conseguentemente, il carico giudiziario. 

Il “contratto” di Governo si muove su questa linea quando afferma la necessità di completare le piante organiche della magistratura e del personale amministrativo; non considera tuttavia che, data l’età media avanzata del personale dell’amministrazione giudiziaria, il proposito di rendere più agevole il raggiungimento dell’età pensionabile desertificherebbe gli uffici giudiziari in tempi brevissimi e ne impedirebbe di fatto il funzionamento rendendo impossibile un ricambio effettivo e il necessario passaggio di consegne.

La proposta di rivisitare la geografia giudiziaria puntando sull’istituzione di nuovi tribunali, procure e uffici del giudice di pace, muove da una prospettiva che non è solo antistorica è anche estremamente costosa. Questa proposta sembra ignorare che la revisione delle circoscrizioni giudiziarie (ancora solo parzialmente attuata), non è stata ispirata soltanto da esigenze di economie di scala, ma è stata imposta dalla constatazione che gli uffici possono essere efficienti solo se composti da un adeguato numero di magistrati e, per quanto riguarda gli uffici dei giudici di pace, solo se il numero di affari ad essi assegnati non è irrisorio. La corretta esigenza di garantire la vicinanza della giustizia ai cittadini e alle imprese può essere raggiunta in altro modo, più moderno ed efficace, attraverso la digitalizzazione, l’istituzione di sportelli di prossimità diffusi sul territorio e con la previsione di audizioni in video presenza.

Il prospettato abbandono della strada della deflazione penale (solo parzialmente realizzata con l’abrogazione e la depenalizzazione di reati, la non punibilità per particolare tenuità del fatto e l’estinzione del reato per condotte riparatorie) porta semplicemente ad una più ampia impunità. La scelta di ridurre al minimo necessario i comportamenti sanzionati penalmente, infatti, deriva non solo da un approccio liberale al diritto penale, ma dalla consapevolezza che soltanto una repressione limitata e mirata può essere efficace e reale. La pretesa di sanzionare e perseguire tutto porta semplicemente a non perseguire nulla. Le enormi difficoltà determinate dall’eccessivo carico penale ostacolano una seria politica criminale e sarebbero moltiplicate se la persecuzione penale di fatti gravi fosse ancor più soffocata dalla necessità di perseguire un numero eccessivo di illeciti penali. 

La scelta di limitare l’accesso ai riti alternativi per fatti di particolare gravità porterebbe ad un formidabile appesantimento del sistema allungando enormemente i tempi del giudizio.

Rendere la difesa sempre legittima rischia di introdurre forme di giustizia privata al di là di ogni proporzionalità e ragionevolezza.

La prospettata revisione delle norme sull’età imputabile e sul trattamento dei quasi diciottenni e la conseguente estensione della penalizzazione e della punizione dei minori non porterebbe ad una politica criminale più efficiente. 

Si tratta dunque solo di grida manzoniane: l’inasprimento delle pene – strada già più volte perseguita – non ha mai portato ad una riduzione dei reati. È dimostrato, infatti, che la detenzione, in carceri stracolme e in assenza di qualsiasi trattamento rieducativo, porta ad un aumento della recidiva.

Ci auguriamo che questi punti del “contratto” di Governo, che sembrano richiamare gli slogan della campagna elettorale, più che rispondere ad un’analisi concreta ed effettiva dei problemi, vengano rapidamente rivisti. 

Condividiamo invece altre parti del “contratto”: la chiara separazione tra funzione giudiziaria e parlamentare; l’informatizzazione; il trattamento e le coperture previdenziali e assistenziali per la magistratura onoraria; l’intervento sulla prescrizione; la semplificazione dei riti. Apprezziamo che si prevedano forti investimenti nel settore giustizia e che si preveda la copertura degli organici del  personale e dei magistrati. Valutiamo positivamente: l’aumento degli stanziamenti per il fondo delle vittime dei reati intenzionali violenti; la soppressione dell’aumento del contributo unificato; la previsione di un vasto piano di edilizia penitenziaria; l’istituzione di giudici di ruolo specializzati nella giustizia tributaria. Non possiamo ignorare, però, che tali misure hanno un costo complessivo di svariati miliardi, sicché sarebbe necessaria la previsione di coperture finanziarie o, quanto meno, un’indicazione di priorità.

Ci auguriamo che le scelte concrete siano nella direzione da tutti auspicata: quella di una giustizia rapida ed efficiente.

10 giugno 2018