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La scelta del Procuratore di Roma

Il CSM torna ad occuparsi dell’incarico direttivo che più ha agitato questa travagliata stagione. Indipendentemente dalla soluzione che prevarrà, rimane l’amarezza per una decisione quasi imposta dal giudice amministrativo e che meriterebbe una riflessione profonda, oggi quasi preclusa dalla crisi di credibilità che investe la magistratura

La scorsa settimana la Quinta Commissione del CSM ha definito la pratica relativa alla nomina del Procuratore di Roma, in sede di riedizione del potere, dopo gli annullamenti delle delibere di nomina del dott. Prestipino da parte del Consiglio di Stato su ricorso del dott. Viola e del dott. Lo Voi.

Ricordiamo che su questa vicenda erano stati instaurati tre contenziosi, su ricorso rispettivamente del dott. Creazzo, del dott. Lo Voi e del dott. Viola.

Con tre sentenze – tutte del 16.2.2021 – il TAR ha respinto il ricorso del dott. Creazzo (con sentenza divenuta definitiva in mancanza di impugnazione) ed ha accolto quelli dei dott.ri Viola e Lo Voi. Il dott. Prestipino ha proposto impugnazione avverso entrambe le sentenze (così come il CSM che ha difeso le ragioni della decisione anche in secondo grado) ed il Consiglio di Stato, respingendo i motivi d’appello, in data 11.5.2021 ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti del dott. Viola, in data 31.8.2021 ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti del dott. Lo Voi.

Subito dopo il deposito della sentenza “Lo Voi” è stato possibile, quindi,  avviare in Commissione la discussione sulla pratica relativa alla nomina del Procuratore di Roma in sede di riedizione del potere, discussione che, nella prima fase, si è incentrata su alcune complesse questioni procedurali poste dalla necessità di dare ottemperanza in modo coerente a due giudicati con estensione (oggettiva e soggettiva) diversa formatisi però con riguardo alla stessa procedura amministrativa, sulle quali potremo meglio riferire solo in occasione del dibattito in Plenum delle due proposte cui la Commissione è pervenuta, stante la previsione regolamentare sulla riservatezza dei lavori delle commissioni.

Nelle more della discussione, peraltro, è mutata come di regola, la composizione della Quinta Commissione, sicché la discussione è ripresa, con un nuovo relatore, all’inizio di ottobre e si è conclusa la scorsa settimana.

All’esito della discussione procedurale e di merito, Alessandra Dal Moro, componente della Quinta Commissione, ha ritenuto che, alla luce delle statuizioni del giudice amministrativo non vi fosse spazio, in sede di riedizione del potere, per una nuova proposta in favore del dott. Prestipino, ed ha espresso il suo voto in favore del dott. Lo Voi, ritenendolo aspirante prevalente, per diverse ragioni, nella comparazione con il dott. Viola.

In effetti entrambe le decisioni del Consiglio di Stato avevano, a nostro parere, un forte contenuto “conformativo” nel merito, che, tuttavia, se non consentiva di riproporre in sede comparativa argomenti di prevalenza già censurati sul piano della correttezza, logicità e coerenza interna della motivazione, è apparso in alcuni passaggi “censori” eccessivo alla luce dei confini delle rispettive competenze funzionali del G.A. e del CSM. Tanto che il Consiglio ha deciso di aderire al conflitto di giurisdizione sollevato dal dott. Prestipino innanzi alla Sezioni Unite della Cassazione avverso la sentenza “Viola” (che sul punto è replicata da quella “Lo Voi”), ravvisando una lesione delle prerogative del Consiglio Superiore. Prospettiva  che a noi è apparsa convincente in particolare, nella parte in cui il Consiglio di Stato, con riguardo alla valutazione dell’attività di coordinamento, assegna “quasi per sua natura valore dirimente” allo svolgimento di funzioni direttive rispetto a quelle semidirettive, che definisce come “sottordinate” (mentre l’art. 18, lett. a, del T.U., che ha speciale rilievo nella comparazione ai sensi dell’art. 29, le pone sullo stesso piano), e sottolinea che “il sistema di organizzazione della giurisdizione sarebbe caratterizzato da “selettivi passaggi di progressione di funzioni (per “promozione”) dei magistrati, che abilitano allo svolgimento di funzioni superiori…”, valorizzando, così, un sistema necessariamente verticistico della progressione in carriera, che non condividiamo e che ci pare non in linea con il senso dell’art. 107 della Costituzione.  

La definizione di questa tormentata pratica, che è stata al centro della vicenda che ha segnato drammaticamente questa consiliatura, è rimessa ora al dibattito plenario sulle due proposte di Commissione.

Ma una riflessione amara ci sembra, comunque, ineludibile e riguarda il fatto che essa si conclude con una decisione sostanzialmente “imposta” dal giudice amministrativo.

La crisi di credibilità e di autorevolezza dell’organo di governo autonomo della magistratura, e della magistratura tutta,  determinata non solo dalla vicenda “dell’Hotel Champagne”, ma anche da una prassi di gestione del governo autonomo, soprattutto in punto di conferimento incarichi, sviata troppo spesso da logiche clientelari,  rende difficile oggi proporre una riflessione seria sul meccanismo (necessario) di controllo dell’esercizio della discrezionalità dell’attività di alta amministrazione propria del Consiglio.

Eppure a nostro parere sarebbe necessaria una riflessione sulla compatibilità con il disegno costituzionale di un sistema che attribuisce ad un giudice obiettivamente dotato di uno statuto di indipendenza minore, rispetto alla magistratura ordinaria, il sindacato sull’attività di un organo che, nell’esercizio delle sue prerogative, ha, anzitutto, il mandato costituzionale di garantire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura; soprattutto perché quel sindacato finisce per tradursi nei fatti  nel “potere” di designare i vertici degli uffici giudiziari italiani; anche di quello che è competente a condurre le indagini su quel “giudice”.

 

Alessandra Dal Moro
Elisabetta Chinaglia
Giuseppe Cascini
Mario Suriano
Ciccio Zaccaro

25 novembre 2021