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Discutiamo di carcere senza pregiudizi ideologici

Intervento di Giuseppe Cascini al Plenum del CSM del 9 marzo sulla delibera di collocamento fuori ruolo di Carlo Renoldi per assumere la funzione di Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Tutti siamo d’accordo sul fatto che non spetti a noi fare alcuna valutazione di merito sulla scelta del Ministro della Giustizia e tantomeno esprimere un voto in un senso o nell’altro in ragione della visione culturale della persona proposta o di sue affermazioni estrapolate da un intervento svolto in un dibattito.

Visto, però, che in molti interventi si è parlato di un tema che a me sta particolarmente a cuore e sul quale ho speso molti anni della mia vita vorrei anch’io, nell’annunciare il voto favorevole al collocamento fuori ruolo del dottor Renoldi, dire alcune cose di merito

In particolare vorrei dire che è un errore molto grave, nell’approccio al tema del carcere preoccuparsi di temi molto simbolici, quali quelli dell’art. 41 bis o dell’art. 4 bis.

Io non sottovaluto l’importanza di questi argomenti, sia sotto il profilo delle esigenze di contrasto al fenomeno criminale, sia sotto quello del rispetto della dignità delle persone ristrette in carcere e del principio di umanità della pena.

Ma credo che non giovi a nessuno la costruzione di questo dibattito come contrapposizione tra chi è irrevocabilmente a favore del carcere duro e chi, invece, ha posizioni morbide.

Una discussione seria e serena sul carcere impone la ricerca di un equilibrio giusto e ragionevole tra le inderogabili esigenze di sicurezza e le altrettanto inderogabili esigenze di garanzia della legalità e umanità della pena.

E questo vale per tutti gli aspetti del mondo del carcere, ben oltre il tema del 41bis o dell’ergastolo ostativo.

Certamente c’è, come ha detto il Cons. Ardita, il problema di garantire la sicurezza e la legalità all’interno degli istituti carcerari, ma c’è anche, io direi in un rapporto indissolubilmente biunivoco, il dovere di garantire la civiltà della vita dei reclusi, percorsi seri di trattamento e di socializzazione.

La sicurezza, fuori e dentro il carcere, non si garantisce tenendo i detenuti chiusi nelle celle, separati dal mondo, ma si deve costruire attraverso il difficile percorso di risocializzazione, attraverso la scuola, l’educazione, la socialità dentro e fuori dal carcere, il lavoro.

La vera responsabilità di chi va ad assumere l’incarico di direzione delle carceri, oggi, è fare in modo che la pena assolva alla funzione che la Costituzione le assegna.

Una missione quasi impossibile nella drammatica situazione del sistema carcerario italiano, caratterizzato dalla sostanziale assenza di percorsi rieducativi, dalla assenza di socialità e di lavoro all’interno degli istituti, con i detenuti che passano la gran parte della giornata all’interno delle camere detentive, e dall’uso degli strumenti premiali quasi esclusivamente come strumento di governo del carcere.

È su questo che si misura davvero la sfida dell’organizzazione e del funzionamento del carcere e su questo, secondo me, si dovrebbe, con minore contrapposizione, provare a fare una discussione più seria e meno ideologica.

E invece, ho l’impressione che ogni volta che si parla di queste cose si riduca il dibattito a chi è pro o contro il 41 bis o pro o contro l’ergastolo ostativo.

Come se poi questi strumenti fossero nella responsabilità del capo del DAP e non in quella del Ministro, del Governo e del Parlamento.

Io vorrei che ci concentrassimo di più, quando parliamo del carcere, sui reali problemi della detenzione, su quante ore i detenuti devono stare chiusi nelle celle, sull’esistenza di spazi comuni, di spazi di socialità, sulle possibilità di lavoro all’interno del carcere, sulle possibilità di uscita graduale dal carcere e di riavvicinamento alla vita civile.

Perché questo è l’unico strumento per evitare che chi esce dal carcere riprenda a delinquere. Il vero problema della recidiva è l’assenza di percorsi di accompagnamento dei soggetti che commettono i reati verso l’uscita dal carcere, questo è il problema che noi abbiamo.

E allora, se anche io devo entrare nel merito della scelta del Ministro, visto che ho vissuto da vicino l’esperienza di un capo del D.A.P. che veniva dalla Sorveglianza, e poiché continuo a pensare che Alessandro Margara sia stato il miglior Capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria nella storia di questo Paese, dico che sono contento del fatto che il Ministro della Giustizia abbia scelto come capo del Dipartimento un magistrato che viene dalla Sorveglianza.

Alessandra Dal Moro,
Elisabetta Chinaglia,
Giuseppe Cascini,
Mario Suriano,
Ciccio Zaccaro

9 marzo 2022