APRILE
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Diario dal Consiglio del 9 aprile 2021

La strage al Tribunale di Milano
A Fernando Ciampi, Lorenzo Claris Appiani e Giorgio Erba

Dedichiamo il Diario alle vittime della terribile giornata che visse il Tribunale di Milano 6 anni fa con le belle parole di Ilio Mannucci Pacini, che ringraziamo per aver ricordato questo drammatico evento, che richiama anche l’esigenza di garantire negli uffici la sicurezza dei lavoratori e degli utenti della giustizia, soprattutto in periodo di pandemia, a fronte dell’inadeguatezza dell’edilizia giudiziaria.

Il 9 aprile 2015, in un’aula dove si celebrava un processo penale e nella stanza di un giudice civile del palazzo di Giustizia di Milano, l’imputato Giorgio Erba, l’avvocato Lorenzo Claris Appiani e il giudice Fernando Ciampi furono uccisi mentre partecipavano, ognuno nel loro ruolo, all’esercizio della giurisdizione.

Quell’evento, quella strage, ha rappresentato per noi tutti, avvocati e magistrati milanesi della Rete per i diritti, uno shock che non dimenticheremo.

Ma da quel tragico evento abbiamo anche rinsaldato la consapevolezza del ruolo indispensabile di ciascuno di noi nella giurisdizione.

Insieme nella giurisdizione è il modo in cui abbiamo voluto ricordare quegli uomini uccisi solo perché avevano con coscienza svolto il proprio lavoro o che, coinvolti nel processo, avevano deciso di fare valere personalmente le proprie ragioni in aula. L’imputato Giorgio Erba era in aula a difendersi; l’avvocato Lorenzo Claris Appiani era in aula per testimoniare sul lavoro svolto nella sua professione di avvocato; Fernando Ciampi era nel suo ufficio a svolgere il suo lavoro di giudice civile.

In quegli atti tipici della giurisdizione sono stati uccisi.

Oggi li vogliamo ricordare con la nostra ultima tappa della virtuale biciclettata dei diritti, Alberta Brambilla Pisoni, la madre dell’avvocato Claris Appiani, anche lei avvocato, ricorda quelle vittime e il significato che quella tragedia ha rappresentato per chi nel Palazzo lavora insieme”.

 

Il Plenum

Nomina della commissione per il concorso in magistratura

Nel plenum di giovedì sono stati approvati gli interpelli per la composizione della commissione del concorso in magistratura bandito con DM 29 ottobre 2019.

Si tratta di un concorso le cui prove sono state rinviate – da tempo e più volte – per la pandemia e la cui celebrazione è importante per coprire le piante organiche degli uffici. Segnaliamo che le scoperture negli organici di primo grado sono circa 640, destinate a crescere in cagione dei tramutamenti verso le funzioni di legittimità (la commissione tecnica sta esaminando le tante domande) e verso le funzioni di secondo grado (si prevede il bando entro l’estate).

A fronte di tali vacanze, vi sono 251 colleghi in tirocinio mirato, ai quali le sedi sono già assegnate (e che dunque non faranno scendere le vacanze), e altrettanti colleghi che hanno appena cominciato il tirocinio generico (e che dunque prenderanno possesso fra circa un anno e mezzo). I prossimi rinforzi sono quelli del concorso bandito con DM 29 ottobre 2019 (che arriveranno negli uffici ragionevolmente dopo circa 3 anni dalla celebrazione degli scritti e dunque, se gli scritti si tenessero entro l’estate, non prima dell’estate 2024).

Il Governo ha emanato un decreto-legge sul regime transitorio della celebrazione di questo concorso al fine di consentirne lo svolgimento nel rispetto delle prescrizioni sanitarie. Abbiamo chiesto l’apertura di una pratica perché il CSM esprima un parere in materia (che non c’è stato chiesto dal Ministro nemmeno in vista della conversione del decreto-legge).

Il CSM, comunque, si è attivato tempestivamente con gli interpelli per la composizione della commissione di esame.

Segnaliamo, a tale proposito, alcune novità introdotte.

Si è proceduto ad un interpello espresso per la designazione del Presidente della commissione, che sarà scelto in ragione delle attitudini organizzative e delle esperienze professionali indicate nell’autorelazione che ciascun aspirante dovrà presentare.

Fino ad oggi la prassi era che l’indicazione del presidente della commissione di esame fosse riservata al presidente della terza Commissione consiliare (e quindi questa volta a Ciccio Zaccaro). Ci sembra una modifica necessaria di una prassi che creava un incomprensibile “privilegio” ed un modo per ampliare la platea dei soggetti fra i quali scegliere il presidente della commissione di esame, il quale, ancor di più in questa occasione, dovrà avere ampia esperienza e capacità organizzative, viste le difficoltà logistiche dovute alla pandemia e alla probabile celebrazione delle prove scritte in più sedi diverse.

Anche con riferimento alla scelta dei componenti, si è deciso di innovare rispetto alla prassi vigente.

In proposito va ricordato che nel 2005, a seguito di un grave scandalo che aveva coinvolto un componente della commissione di concorso, il CSM decise di introdurre il sorteggio come criterio di scelta dei componenti.

Esclusi i candidati per i quali sussistevano cause ostative stabilite nell’interpello (precedente nomina analoga, attività di docenza a corsi di preparazione al concorso, funzioni direttive o semidirettive, provenienza da uffici con indice di scopertura superiore al 25%, formatori decentrati, referenti per l’informatica; componenti del direttivo delle SSPL o docenti presso le medesime scuole; pendenza di procedimenti penali, disciplinari o ex art.2) la procedura prevedeva il raggruppamento per aree territoriali, settore di lavoro e genere e quindi il sorteggio dei componenti titolari e dei supplenti.

Nella consiliatura successiva si decise di mantenere il sistema di sorteggio, prevedendo però anche una preselezione dei sorteggiandi sulla base di criteri attitudinali (indicati nell’interpello con particolare riferimento alle esperienze professionali maturate nei settori di specifica competenza, alle pregresse esperienze didattiche, al possesso di titoli scientifici, all’esistenza di provvedimenti giurisdizionali pubblicati), così da selezionare un numero di candidati pari al triplo (60) dei componenti titolari, tra i quali estrarre i 20 titolari e i 20 supplenti.

Tale sistema, rimasto immutato fino ad oggi, presentava, a nostro avviso, serie criticità. L’elevato numero di candidati, i tempi ristretti di valutazione, la genericità dei criteri indicati (alcuni dei quali anche opinabili) hanno di fatto impedito una effettiva selezione e hanno offerto l’immagine di una cooptazione dettata da logiche poco trasparenti. Di ciò è prova l’assenza, in tutte le delibere relative, di qualsiasi riferimento ai criteri selettivi adottati e alle ragioni della scelta, potendo rinvenirsi come unica motivazione la seguente frase, praticamente identica in tutti i provvedimenti succedutisi negli anni: “considerato che, la Commissione ha individuato l’allegato elenco dei magistrati componenti titolari ed idonei alla designazione (all. A e B), tenendo conto dei requisiti attitudinali richiesti dall’interpello”. Con l’aggiunta, ma solo in alcune delibere, dopo il considerato, delle parole “dopo ampia discussione”.

Noi abbiamo ritenuto che non necessariamente le esperienze formative e le pubblicazioni (la cui qualità sarebbe, peraltro, stata tutta da vagliare) fossero indici di preparazione professionale, onestà ed equilibrio, ovvero quelle doti necessarie (e sufficienti) per un compito tecnico come quello che consiste nel correggere i compiti ed interrogare gli aspiranti magistrati. Anzi, un’eccessiva propensione scientifica, ci è parso, esporrebbe la commissione al rischio di avere standard valutativi tarati più per una selezione accademica, oppure troppo “teorici”. Del resto, la qualità “scientifica” della commissione d’esame è garantita dalla componente proposta dal CUN. Abbiamo ritenuto, infine, che l’attività di insegnamento nelle SSPL, finora valorizzata come titolo attitudinale, avrebbe esposto i commissari al rischio di dover valutare quei concorrenti che i medesimi avevano avuto come alunni nelle Scuole.

Per questo abbiamo proposto di ritornare ad un sistema di sorteggio puro simile a quello introdotto nel 2005. L’unica novità è rappresentata dalla possibilità di preselezione negativa, e conseguente esclusione dal sorteggio, con adeguata motivazione, dei candidati per i quali siano emerse criticità in occasione delle valutazioni di professionalità.

Sul punto vi è stata discussione in Plenum e anche una proposta di emendamento soppressivo avanzata dai consiglieri Braggion, D’Amato e Miccichè, i quali hanno criticato l’eccessiva discrezionalità di questa clausola di esclusione.

Abbiamo votato contro questo emendamento (che non è stato approvato) in quanto riteniamo che scopo della procedura introdotta sia quello di garantire la trasparenza della selezione, ma anche la credibilità e l’autorevolezza della commissione esaminatrice, per le quali è necessario riservare al Consiglio la possibilità di escludere, con adeguata motivazione, candidati che presentino criticità, in un’ottica che, come è stato osservato nel corso del dibattito, deve privilegiare l’interesse pubblico.

La delibera conferma, inoltre, le cause ostative già in precedenza previste cui sono stati aggiunti gli incarichi di coordinamento equipollenti a ruoli semidirettivi (già da sempre esclusi), i docenti o i componenti del direttivo delle SSPL nei cinque anni anteriori al concorso, i magistrati applicati anche in ragione di applicazioni infradistrettuali (con termine di scadenza superiore a tre mesi rispetto alla data del concorso) per salvaguardare il preminente interesse della continuità del servizio in uffici in difficoltà.

È stata inoltre innalzata alla quarta valutazione l’anzianità richiesta per l’incarico.

All’esito di ampia discussione, la delibera è stata approvata con 11 voti a favore (Basile, Benedetti, Cascini, Cavanna, Dal Moro, Di Matteo, Donati, Gigliotti, Pepe, Suriano, Zaccaro), 4 voti contrari (Celentano, Ciambellini, D’Amato, Grillo) e 2 astenuti (Braggion Miccichè).

La scelta adottata ci pare un attestato di fiducia nei confronti della magistratura e un ulteriore suggello di trasparenza ed onorabilità per il nostro concorso.

Spiace che a taluno tale ragionamento sia sembrato l’avallo al metodo del sorteggio o una rinuncia alla discrezionalità consiliare.

Le cronache sui lavori consiliari dimostrano che non la pensiamo così e la nostra opinione sul punto è palese (basti pensare alla precisa presa di posizione sulle parti della riforma Bonafede che riducono la discrezionalità consiliare).

Ma proprio la difesa della discrezionalità del Consiglio ne richiede un esercizio trasparente e responsabile, che trovi nella leggibilità e congruità della motivazione la sua forza di persuasione. Altrimenti diventa una pericolosa clausola di stile, che serve a giustificare prassi deteriori.

A noi pare evidente che una cosa è esercitare la doverosa e responsabile discrezionalità per scegliere coloro che devono dirigere un ufficio o svolgere compiti che prevedono attitudini particolari o anche (come abbiamo fatto questa volta) per individuare – a monte, già nell’interpello – le cause di esclusione dalla platea dei sorteggiabili per la designazione quali commissari di esame; cosa ben diversa è prevedere un sorteggio trasparente tra magistrati che abbiano conseguito la quarta valutazione di professionalità e che non abbiano mai avuto incidenti di percorso, per comporre la commissione di concorso.

Le vicende del Tribunale di Trento

Nel plenum di mercoledì pomeriggio sono state trattate tre pratiche della Prima Commissione, relative ad altrettante procedure ex art. 2 legge guarentigie concernenti magistrati operanti nel distretto di Trento:

Si tratta di tre procedure aperte a seguito della trasmissione al Consiglio di atti relativi a due distinti procedimenti penali pendenti presso la Procura della Repubblica di Trento. In estrema sintesi, da tali atti emergevano le strette frequentazioni tra alcuni magistrati e due importanti imprenditori operanti nel territorio trentino, entrambi coinvolti in due separati e diversi procedimenti relativi a reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso ed entrambi attinti da misura cautelare: in un caso reale e nell’altro caso personale.

Più nel dettaglio.

Un primo procedimento penale, del 2020, a carico di un imprenditore, Rigotti Luca, presidente della nota azienda vinicola cooperativa “Mezzocorona”, con sede in trentino, ed altri soggetti, indagati per riciclaggio aggravato ai sensi dell’art. 416 bis cp, in relazione all’acquisto di terreni già appartenenti ai noti cugini Antonino ed Ignazio Salvo (e poi a loro prossimi congiunti e/o prestanomi), i quali in vita erano stati esponenti di spicco della criminalità organizzata di stampo mafioso. In tale procedimento era stato emesso dal GIP di Trento un decreto di sequestro preventivo avente ad oggetto i predetti terreni e contro di esso gli indagati avevano proposto riesame.

La gestione da parte del presidente del Tribunale di tale procedimento di riesame, risalente all’aprile 2020, ha avuto risvolti anomali, tanto da aver condotto all’apertura di un procedimento penale, ex art. 11 cpp, a carico del dott. Avolio e di altri, per il reato di cui all’art. 323 cp (poi archiviato).

Il dott. Avolio ben conosceva l’indagato Rigotti, che egli frequentava. Il dott. Avolio, tabellarmente addetto a presiedere il collegio che doveva trattare il ricorso, si asteneva “di fatto” dal comporre il collegio, senza tuttavia attivare il meccanismo della richiesta di astensione presso il presidente della Corte d’Appello (con scelta rivendicata come “prassi abituale” nell’ufficio da lui diretto), ma delegando, di fatto, altro magistrato (suo sostituto tabellare) come presidente e designandolo anche come relatore. Nonostante l’astensione, seppur di fatto, il dott. Avolio ha personalmente trattato la richiesta di rinvio dell’udienza depositata dal difensore, istanza che, singolarmente, già conteneva la data alla quale avrebbe dovuto essere trattato il ricorso. Il deposito dell’istanza era stato preceduto da colloqui con il difensore; il giorno precedente al deposito dell’istanza di rinvio, come da conversazioni intercettate, il difensore era già a conoscenza del rinvio, della data di esso, della “astensione” del dott. Avolio e della composizione del collegio; il collegio, peraltro, veniva composto in modo non corrispondente alle regole tabellari. A seguito dell’udienza di riesame (in esito alla quale il decreto era stato annullato), l’autista (e uomo di fiducia) del dott. Avolio aveva telefonato all’indagato commentando il buon esito dell’udienza e affermando che il presidente aveva costituito un collegio ad hoc. lo stesso dott. Avolio aveva personalmente inviato un messaggio con la notizia dell’annullamento del sequestro su una chat alla quale era iscritto anche lo stesso indagato Rigotti. Lo stesso dott. Avolio, pur conoscendo sicuramente la posizione di indagato del Rigotti, si era, successivamente, ancora recato personalmente ad acquistare dei beni presso l’azienda vinicola predetta.

Altro giudice del Tribunale, il dott. Beghini, dopo il sequestro e prima dell’udienza di riesame, aveva telefonato direttamente all’indagato Rigotti, offrendogli la sua vicinanza e disponibilità, anche per “un consiglio”.

La vicenda del sequestro e del successivo dissequestro dei beni ha avuto ampia risonanza mediatica, considerando la notorietà dell’azienda, la gravità delle contestazioni (inusuali in quel territorio) e la delicatezza della vicenda processuale.

Un secondo procedimento penale, nato nel 2017, riguarda la costituzione, nella provincia di Trento, di una propaggine organizzativa locale della cosca ‘ndranghetistica Serraino, con conseguente contestazione, a carico degli indagati, del reato di cui all’art. 416 bis cp e di vari reati fine. A seguito di indagini, consistite anche in numerose operazioni di intercettazione telefonica e ambientale, il 29 luglio 2020 veniva emessa dal GIP di Trento ordinanza applicativa di misure cautelari nei confronti di più indagati, eseguita il 15 ottobre 2020.

Dagli atti di quel procedimento è emerso che il dott. Avolio aveva rapporti di commensalità e stretta frequentazione con Giulio Carini, imprenditore calabrese, ma operante in trentino e molto noto in quel territorio, destinatario della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria in quanto ritenuto partecipe dell’associazione, definito “faccendiere in grado di mantenere contatti con soggetti istituzionali”. Anche un altro degli indagati, Domenico Morello, “imprenditore nel settore logistico, molto legato al capo dell’associazione locale Macheda Innocenzio”, destinatario della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, aveva riferito a terze persone, ivi compresa la moglie, di avere “una buona conoscenza” con il dott. Avolio. La figura dell’imprenditore Carini appariva quella di colui che si occupava di interfacciarsi con personaggi delle istituzioni, tra i quali anche magistrati, e pertanto sono riportate, nell’ordinanza, le numerose conversazioni telefoniche intercettate dalle quali si evince che alcuni magistrati del distretto di Trento, tra i quali i dottori Avolio, De Benedetto, Beghini, erano da tempo frequentatori di costui, in occasione di “cene a base di capra” o di altri eventi conviviali organizzati dal Carini. Particolarmente frequenti erano le cene con i dottori Avolio e De Benedetto. Soprattutto, dal tenore delle conversazioni emergeva come alcuni degli indagati considerassero il dott. Avolio, ed in misura minore anche il dott. De Benedetto, come soggetti da cui poter trarre dei benefici. Particolare attenzione destava poi una cena, avvenuta a febbraio 2020, ossia in una data in cui, per erronea notificazione di un avviso nei suoi confronti, Carini era venuto a conoscenza della propria situazione di indagato: perché dalle conversazioni pareva che l’invito dei magistrati fosse dovuto alla volontà di carpirne dei vantaggi in relazione alla propria posizione di indagato; perché nel corso della serata una conversazione ambientale rendeva conto di un dialogo intercorso tra Carini e De Benedetto in cui si faceva cenno esplicito, ancorché in tono scherzoso, alla possibilità che Carini fosse sottoposto a carcerazione.

All’atto dell’esecuzione della misura cautelare, le suddette conversazioni, e frequentazioni, sono divenute di dominio pubblico, e sono state oggetto di numerose pubblicazioni, anche su quotidiani locali, che hanno esplicitamente dato atto di “cene tra personaggi della ‘ndrangheta e magistrati”, anche nominativamente indicati, nonché hanno riportato anche stralci di conversazioni da cui emergeva la confidenza tra Carini ed il dott. Avolio.

Con riferimento alla proposta di trasferimento d’ufficio nei confronti del dott. Avolio, le predette vicende, indipendentemente da qualsiasi giudizio in ordine alla possibile sussistenza di profili disciplinari delle condotte, hanno generato obiettivamente un concreto e grave appannamento dell’immagine di imparzialità e indipendenza del magistrato e la conseguente perdita del rapporto fiduciario tra il dott. Avolio e l’ambiente giudiziario e sociale dell’intero distretto di Trento, in termini di gravità ed attualità. Ciò soprattutto considerando il rilievo sociale e giuridico dei due procedimenti, la diffusione mediatica delle vicende e la funzione del dott. Avolio, Presidente del Tribunale che deve trattare entrambi i procedimenti penali.

Nel corso del Plenum sono state inizialmente respinte: una richiesta di rinvio ad altra seduta presentata dal relatore, consigliere Lanzi (6 voti a favore, 13 contrari, 5 astenuti) e una richiesta di sospensione della procedura presentata dallo stesso dott. Avolio (1 voto a favore, 20 contrari, 2 astenuti). Richieste formulate, entrambe, sulla base dell’istanza di pensionamento presentata pochi giorni addietro dal dott. Avolio e dell’ulteriore e successiva istanza con la quale l’interessato ha genericamente richiesto il trasferimento ad altra sede, non individuata, e la conseguente sospensione della procedura ex art. 2.

Abbiamo votato contro la proposta di rinvio e contro quella di sospensione, considerando che nessuna delle due richieste assicurava quel tempestivo allontanamento del magistrato dal distretto, che era imposto dal clamore generato dalla vicenda e dal ruolo estremamente esposto e delicato del dott. Avolio. D’altro canto, non vi erano i presupposti previsti dalla circolare per la possibile sospensione della procedura. Invero: l’iter del pensionamento anticipato richiede tempi lunghi e non ne è neppure prevedibile con certezza l’accoglimento, e la domanda di trasferimento senza indicazione di sede non avrebbe potuto essere trattata dalla commissione competente, mancando appunto l’indicazione della sede richiesta. Inoltre, non essendovi indicazione della sede, non si poteva valutare l’idoneità del trasferimento a rimuovere l’incompatibilità. Al contrario, sussisteva l’urgenza della trattazione, considerando, come detto, la particolare pregnanza delle circostanze emerse e la funzione svolta dal dott. Avolio: dirigente dell’ufficio giudiziario presso il quale sono pendenti i due suindicati procedimenti e all’interno del quale si sono sviluppate le due vicende.

La proposta di delibera è stata quindi approvata all’unanimità, con 3 astensioni (Lanzi, Grillo, Ciambellini).

Quanto alla proposta di archiviazione nei confronti del dott. Beghini, la stessa è stata approvata all’unanimità, con 3 astensioni (Ardita, Ciambellini, Grillo). Il medesimo, infatti, aveva tempestivamente e correttamente attivato la richiesta di trasferimento in prevenzione ad altra sede, ove già è stato trasferito.

È stata, poi, trattata la proposta di delibera relativa al dott. De Benedetto. La maggioranza della Commissione (a favore Braggion, Lanzi, Basile, Di Matteo; contrarie Chinaglia, Pepe) aveva formulato una proposta di archiviazione della procedura, che è stata poi respinta dal Plenum, con 12 voti contrari (Benedetti, Cascini, Cavanna, Cerabona, Chinaglia, Dal Moro, Gigliotti, Marra, Pepe, Salvi, Suriano, Zaccaro), 6 voti a favore (Basile, Braggion, D’Amato, Di Matteo, Lanzi, Miccichè) e 5 astenuti (Ardita, Celentano, Ciambellini, Donati, Grillo). La pratica è quindi tornata in Commissione per un nuovo esame.

In questo caso vi è stata un’ampia discussione sui presupposti dell’istituto del trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale.

Il trasferimento ex art. 2 opera quando i magistrati “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.

Nel costante orientamento del Consiglio, confortato da plurime pronunzie del giudice amministrativo, la norma è stata interpretata come orientata a limitare l’accertamento solo ed esclusivamente all’esistenza o meno delle condizioni necessarie perché il magistrato possa svolgere le proprie funzioni “con piena indipendenza e imparzialità”, a prescindere dalla valutazione sulla sussistenza di condotte colpevoli del magistrato, atteso che tale accertamento è rimesso, eventualmente ma esclusivamente, al giudice disciplinare o a quello penale. Nelle parole del Consiglio di Stato (Sent. n. 5783/2019), nel procedimento ex art. 2 “la norma prevede la trasferibilità sulla sufficiente base di una realtà situazionale oggettiva, generata da fatti solo eventualmente riconducibili a condotte del magistrato interessato e comunque indipendentemente da un giudizio di riprovevolezza”; il fuoco dell’accertamento nel procedimento ex art. 2 è “la situazione oggettiva ingenerata nell’ufficio o nell’ambiente”, che “può essere causata anche da una condotta volontaria del magistrato”.

La situazione oggettiva può essere causata anche da fatti estranei alle condotte del magistrato, con la precisazione che, in tal caso, occorre verificare che non siano avvenute ricostruzioni, da parte di terzi, di situazioni di presunta incompatibilità del magistrato, casi nei quali lo stesso non va certo trasferito, ma, invece, tutelato.

Quanto, poi, alle condotte del magistrato, non occorre indagare “sull’intenzionalità o sulla colpevolezza”, posto che il procedimento ex art. 2 è procedimento amministrativo a tutela dell’imparzialità e indipendenza dell’esercizio della funzione giurisdizionale, che si estende anche all’apparenza di detti prerequisiti essenziali e che richiede semplicemente l’analisi, la ricognizione di un fatto e della sua ricaduta sul bene protetto.

Nel caso del dott. De Benedetto, coloro che hanno sostenuto la proposta di archiviazione hanno fatto riferimento, nei loro interventi, alla mancanza di prova della consapevolezza da parte del magistrato della condizione di indagato del soggetto da lui frequentato. In tal modo l’attenzione si è incentrata sul magistrato e sulla sua eventuale “colpevolezza”, connotando l’istituto di un carattere sanzionatorio di una condotta colpevole, che invece gli è estraneo.

Il focus, invece, va spostato sulla ratio e sul fine della norma: garantire che i magistrati siano, ed appaiano, imparziali e indipendenti nell’ambiente in cui operano, sì da mantenere la fiducia nella funzione esercitata. Sull’evento, quindi, e non sulla condotta.

Sotto questo profilo, è irrilevante approfondire la consapevolezza o il grado di consapevolezza in capo al dott. Di Benedetto circa la posizione di indagato del Carini. Ciò che rileva è la proiezione esterna e l’analisi della “situazione oggettiva ingenerata nell’ufficio e nell’ambiente”: la collettività, i magistrati, i colleghi, il personale amministrativo, la polizia giudiziaria, hanno avuto contezza che quel magistrato ha frequentato in più occasioni, nel corso degli anni, e che era in rapporti di amicizia e convivialità, con un soggetto indagato e sottoposto a misura cautelare personale per gravissimo reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, nell’ambito di una derivazione della ‘ndrangheta in territorio trentino. Hanno avuto contezza che tale frequentazione è avvenuta anche in un momento in cui lo stesso indagato era a conoscenza di tale sua condizione e pareva cercare l’appoggio tra le proprie conoscenze, anche tra i magistrati; hanno avuto contezza di conversazioni in cui l’indagato affermava di aver dialogato con quel magistrato circa la propria possibile condizione di soggetto sottoposto a misura restrittiva, e di conversazioni da cui emergeva che gli indagati avevano speranze di trarre vantaggi dalla frequentazione dei magistrati.

La vicenda ha avuto grande risonanza, per la gravità delle contestazioni e la notorietà dei soggetti coinvolti, ed anche per la frequenza dei rapporti.

Tali circostanze, a nostro avviso, impedivano un’archiviazione, tanto più con una motivazione fondata su un aspetto (la suitas della condotta) del tutto inconferente con l’istituto in discorso.

Vi racconteremo … buon lavoro e buona settimana

Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario