AGOSTO
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Diario dal Consiglio del 2 agosto 2021

A che serve ricordare?

Vent’anni fa. Genova, la notte del 21 luglio2001, l’ingresso della polizia alla scuola Diaz, le violenze e la menzogna di stato, la sospensione della Costituzione.

La Corte conclude per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione -a causa dei maltrattamenti subiti dal ricorrente che devono essere qualificati “tortura” ai sensi di questa disposizione-sia sotto il profilo sostanziale che procedurale (…) Mancando un trattamento appropriato per tutti i maltrattamenti vietati dall’art. 3 nell’ambito della legislazione penale italiana, la prescrizione come pure l’indulto, possono in pratica impedire non soltanto la punizione dei responsabili degli atti di “tortura” ma anche degli autori dei “trattamenti inumani” e “degradanti” in virtù di questa stessa disposizione, nonostante tutti gli sforzi dispiegati dall’autorità procedente e giudicanti (…) La Corte invita, dunque, lo Stato italiano a dotarsi degli strumenti giuridici atti a sanzionare in maniera adeguata il responsabile degli atti di “tortura” o di altri maltrattamenti rispetto all’art. 3 e ad impedire che questi ultimi possono beneficiare di misure che contrastano con la giurisprudenza della Corte. (Corte Europea dei Diritti Umani. Cestaro c. Italia, sent. 7 aprile 2015, ric. n. 6884/11)

Solo dopo la nuova condanna della CEDU, con la pronuncia 22 giugno 2017 (Bartesaghi e altri c. Italia), è stata approvata la legge 110/2017, che introduce il reato di tortura all’art. 613 bis c.p. Ma in contrasto con la giurisprudenza della Corte edu, con le raccomandazioni del Comitato europeo per la Prevenzione della tortura (CPT) e con la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura (CAT), sotto il profilo sanzionatorio, la legge non garantisce la possibilità di perseguire gli autori di tortura e la possibilità per le vittime di ottenere il risarcimento, senza che queste aspettative siano frustrate dalla prescrizione o da qualsiasi misura di clemenza, amnistia, perdono o sospensione della pena.

Dopo vent’anni da quella violazione della Costituzione, dobbiamo purtroppo sottolineare che neppure un’operazione di memoria collettiva che ha coinvolto le vittime di quella sospensione inaudita dello Stato di Diritto nel nostro paese, ha fatto sì che il Governo si ricordasse di inserire nella proposta emendativa del 29.7.2021 al D.d.l. sull’efficienza del processo penale all’esame della Camera, la tortura tra i reati per i quali non sussiste alcun limite temporale di procedibilità.

 

* * *

Plenum

1. L’approvazione del parere sul D.d.l. “AC n.2435: Delega al Governo per l’efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d’appello

Abbiamo già riferito, con un POST IT il giorno del voto,  della approvazione, a maggioranza, del parere sulla riforma del processo penale nella parte relativa al nuovo istituto della improcedibilità. Nello stesso Plenum di giovedì 29 luglio, il Consiglio ha approvato, questa volta con una maggioranza più ampia (18 voti a favore: Balduini, Benedetti, Braggion, Cascini, Celentano, Cerabona, Chinaglia, Ciambellini, D’Amato, Di Matteo, Dal Moro, Gigliotti, Grillo, Marra, Miccichè, Pepe, Suriano, Zaccaro; 1 contrario: Basile; e 3 astenuti: Cavanna, Curzio, Salvi) anche il parere sugli altri punti del disegno di legge. Va ricordato che gli emendamenti al disegno di legge cd. Bonafede sono stati approvati dal Consiglio dei Ministri il 14 luglio 2021 e che il Consiglio, in assenza di una richiesta di parere da parte della Ministra della giustizia, aveva deciso di rendere un parere di iniziativa sull’istituto della improcedibilità, parere licenziato dalla VI Commissione il 22 luglio 2021. Dopo il voto della Commissione è pervenuta al Consiglio la richiesta di parere sul complesso degli emendamenti presentati. Anche a seguito di tale richiesta il Presidente della Repubblica ha chiesto al Consiglio di pronunciarsi, anche nel giro di pochi giorni, sul complesso degli emendamenti.

Grazie all’impegno straordinario dei magistrati dell’Ufficio Studi, il Consiglio è riuscito a predisporre il parere in pochissimi giorni e ad approvarlo nella seduta di giovedì 29 luglio.

Rinviando al testo della articolata delibera per una analisi di dettaglio della riforma, richiamiamo qui i punti più importanti sui quali si è soffermato il parere:

  1. indicazione con legge di criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Nel parere si segnala la possibile tensione di tale previsione con il principio di obbligatorietà dell’azione penale.
  2. l’obbligo di discovery degli atti di indagine dopo la scadenza del termine. Nel parere si segnala il rischio che l’indagato possa venire a conoscenza delle indagini in un momento in cui è in corso di redazione una richiesta di misura cautelare ovvero è già stata depositata ed è all’esame del Gip.
  3. controllo del giudice sulla data di iscrizione della notizia di reato. Nel parere si segnala il rischio che una diversa valutazione da parte del giudice, anche in una fase molto avanzata del processo, sul momento di effettiva emersione della notizia di reato possa vanificare mesi di attività di indagine. Una diversa valutazione in realtà del tutto fisiologica, attesa la estrema difficoltà di giungere ad una definizione oggettiva e condivisa della nozione di notitia criminis, ma anche per il diverso momento in cui interviene (quello dinamico e in progress della fase delle indagini da parte del pubblico ministero e quello statico e ex post del giudice chiamato a decidere). Inoltre non è chiaro se il termine debba farsi decorrere dal momento della acquisizione della notizia (ad esempio la data di una conversazione intercettata) o dal momento in cui il pubblico ministero ne viene a conoscenza (nell’esempio richiamato quando la polizia giudiziaria riferisce con annotazione del contenuto della conversazione).  In un’ottica costruttiva, il parere offre anche una soluzione alternativa, proponendo di attribuire al giudice il potere/dovere di ordinare la integrazione delle iscrizioni ogni volta che sia richiesto di un atto dal pubblico ministero, così sostituendo un meccanismo eccessivamente e inutilmente sanzionatorio con una previsione idonea a prevenire fenomeni patologici senza disperdere attività di indagine. Infine il parere si sofferma sulle altre previsioni della riforma, esprimendo apprezzamento per le disposizioni in tema di giustizia riparativa, pene alternative e notifiche telematiche; e un po’ di rammarico per la solo parziale adesione  al progetto della commissione Lattanzi sulla revisione dell’appello.

2. La pratica relativa alla DDA di Bologna

Nel Plenum del 21 luglio, su proposta della Settima commissione, è stata trattata una pratica di particolare interesse, relativa all’esame di un decreto emesso dal procuratore di Bologna per la designazione di un sostituto alla Direzione Distrettuale Antimafia. In particolare, sin dalla fase istruttoria tenutasi in commissione è parsa evidente la peculiarietà della nomina fondata su elementi ulteriori rispetto a quelli individuati nella circolare del 2010 e ciò per addivenire alla prevalenza di un profilo che, seppure di rilievo in relazione ai dati esposti in decreto, risultava in concreto privo di robuste esperienze in tema di attività di contrasto della criminalità organizzata vantate non solo dalla collega che aveva proposto osservazioni ma anche da altri magistrati aspiranti, con conseguente assenza di adeguata comparazione tra i diversi profili.

Con questa delibera, che, peraltro, conferma l’orientamento assunto in relazione a passate nomine di sostituti nella DDA milanese, il Consiglio ha affermato il principio per cui, pur potendo il procuratore fondare la propria decisione anche su “ogni altro elemento dal quale sia possibile desumere la particolare idoneità richiesta” ( così come previsto, tra le specifiche attitudini di cui tenere conto in sede di designazione, a norma dell’articolo 3 della circolare del 2010), tali ulteriori elementi non possono determinare la prevalenza rispetto agli altri elementi attitudinali indicati nella norma citata, ed in concreto risultati sussistenti in capo ad alcuni degli aspiranti.

Quale atto di indirizzo rivolto al procuratore di Bologna ai fini delle proprie determinazioni in punto di designazione si è altresì rappresentato che nella comparazione dei diversi profili, va adeguatamente valorizzata la trattazione di procedimenti penali relativi a reati di criminalità organizzata di competenza della DDA.

3. Verbania: se le regole ordinamentali a presidio del giudice naturale sono freddi, inutili formalismi

Tra le pratiche di rilievo affrontate dal plenum del 29 luglio, segnaliamo quella giunta su proposta della Settima Commissione concernente le vicende relative alle assegnazioni degli affari gip presso il tribunale di Verbania, ed in particolare l’assegnazione (e la successiva revoca) del procedimento relativo all’evento tragico della funivia Mottarone.

Le cronache giudiziarie si sono occupate di questo specifico aspetto allorquando, a fronte della iniziale auto-assegnazione ad opera della presidente di sezione del procedimento in questione quale GIP deputato a decidere in ordine all’istanza di convalida del fermo adottato dalla Procura della Repubblica nei confronti di alcuni indagati ( decisa con ordinanza di rigetto del 29 maggio scorso), il Presidente del tribunale aveva deciso di assegnare l’istanza di incidente probatorio avanzata dalle difese a diverso magistrato. Sostanzialmente revocando l’assegnazione del procedimento al GIP procedente. La settima commissione, acquisiti il parere e gli atti istruttori adottati dal Consiglio Giudiziario di Torino, con una articolata delibera, ha proposto al plenum di non approvare in quanto illegittimi non solo i due provvedimenti anzidetti, ma anche un originario provvedimento dell’1.2.2021, di sgravio dall’attività di Gip/Gup di una componente della sezione affinché la medesima provvedesse allo smaltimento del carico di lavoro arretrato.

Rimandando alla articolata delibera consiliare rinvenibile sul sito del CSM ed approvata con il voto di tutti i consiglieri ad eccezione del consigliere Lanzi, astenutosi, segnaliamo che:

  1. il provvedimento di esonero dell’1.2.2021 è stato ritenuto illegittimo, in quanto non comunicato al CSM e non preceduto dal piano di rientro previsto dalla circolare, nonché in quanto incompleto nella indicazione di criteri di riassegnazione degli affari;
  2. il provvedimento di auto-assegnazione da parte della Presidente di Sezione è stato ritenuto illegittimo, non solo in ragione della illegittimità del precedente provvedimento di esonero, ma anche perché in contrasto con le regole tabellari vigenti, che non assegnavano funzioni Gip, nemmeno in supplenza, alla Presidente di sezione;
  3. il provvedimento di revoca della assegnazione da parte del Presidente del Tribunale è stato ritenuto illegittimo non solo in ragione della illegittimità dei precedenti provvedimenti che ne costituivano presupposto, ma anche perché erroneamente motivato come riassegnazione al Gip titolare e non come revoca dell’assegnazione al magistrato che aveva provveduto (non quale supplente, ma quale assegnataria) sulla convalida del fermo. Inoltre, il provvedimento si poneva in contrasto con il principio di concentrazione che prevede, di regola, che il fascicolo trattato dal gip per atti urgenti resti assegnato a lui fino all’esercizio dell’azione penale.

Il dibattito in Plenum si è sviluppato in larga misura su un aspetto a nostro avviso del tutto eccentrico rispetto al contenuto della delibera di Settima commissione, ovvero sul contrasto creatosi in Tribunale tra la posizione del presidente e quella della presidente di sezione, e sulla maggiore o minore gravità della violazione delle tabelle costituita dal provvedimento dell’una o dell’altro. Infatti, secondo alcuni consiglieri sarebbe stato necessario rimarcare la gravità del provvedimento del presidente del Tribunale in quanto costituiva una revoca illegittima dell’assegnazione di un procedimento, tanto più a valle di una decisone in contrasto con la richiesta della locale Procura della repubblica, oggetto di numerosi commenti anche sulla stampa. E sarebbe stato necessario addirittura sorvolare sulla violazione integrata dall’auto-assegnazione stante una non meglio definita prassi che aveva consentito una soluzione di “buon senso” e prodotto un provvedimento apprezzato. 

A nostro parere, queste sono argomentazioni del tutto inconferenti, che denunciano una scarsa consapevolezza del significato delle regole tabellari; giammai le decisioni in materia tabellare possono essere assunte sulla base del merito delle decisioni adottate dai giudici (va bene la violazione tabellare se mi piace il provvedimento adottato dal giudice, non va bene se non mi piace il provvedimento adottato dal giudice). Le prassi che non si traducono in modifiche delle regole tabellari non legittimano in alcun modo la violazione delle tabelle, perché le regole tabellari non sono diritti disponibili e non c'è accordo fra le parti che possa giustificarne la deroga.

Bene aveva fatto, dunque, la Commissione a limitarsi ad un sindacato preciso e tecnico sul rispetto delle regole primarie e secondarie trasfuse nella circolare sulle tabelle e nella stessa tabella del tribunale di Verbania, senza sconfinare in valutazioni e giudizi che attengono ad altre competenze consiliari (in particolare al sindacato in sede di conferma delle funzioni semidirettive e direttive). Il Consiglio doveva – e così correttamente ha fatto - unicamente valutare la conformità dei tre provvedimenti citati alla normativa primaria e secondaria.

Il dibattito molto interessante è servito a mettere in luce ancora una volta il senso delle regole che sovrintendono all’assegnazione degli affari, ed il valore della cultura tabellare: non mero orpello formalistico di organizzazione degli uffici, ma strumento per l’attuazione del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge, di cui evidentemente non c’è ancora sufficiente consapevolezza. 

4. La vicenda della procura di Nola: se il CSM abdica al compito in un caso di scuola di applicazione dell’art. 2 L.G.

Della vicenda della Procura di Nola abbiamo riferito in un POST IT dedicato a questa pratica. Ci limitiamo ad aggiungere alcune notazioni tecniche sul tema della sospensione del procedimento ex art.2 in caso di pendenza di un procedimento disciplinare. In ordine ai rapporti tra disciplinare e procedura ex articolo 2 legge guarentigie, la norma di circolare prevede la sospensione della procedura quando la condotta del magistrato sia interamente riconducibile in un’ipotesi di rilievo disciplinare (art. 3 circolare n. 14430/2017). Il Consiglio peraltro si è in più occasioni, con delibere di trasferimento, orientato nel senso che la procedura amministrativa prosegue quando, insieme a fatti di astratto rilievo disciplinare, emergano anche ulteriori fatti, circostanze, condotte, rilevanti ai fini dell’incompatibilità ambientale. Questa interpretazione è fatta propria anche dalla giurisprudenza amministrativa (si vedano, in proposito, T.a.r. Lazio, sentenze nn. 6103/2018 e 281/2019, e Consiglio di Stato nn. 5783/2019 e 1657/2020) che, infatti, ha confermato quelle delibere, addirittura giungendo ad affermare che il procedimento ex art. 2 possa non essere sospeso neppure in caso di coincidenza del “medesimo nucleo di fatti” tra le due procedure, e specificando comunque che “non si può pregiudizialmente escludere la considerazione, sull’uno e sull’altro versante, del medesimo nucleo di fatti. Ciò che deve restare ben distinto è che – nei rispettivi procedimenti – siano autonomamente apprezzati nella loro obiettiva rilevanza e, in quello amministrativo senza improprie commistioni o sovrapposizioni con la materia disciplinare, la quale è volta a garantire non già la funzionalità e l’affidabilità oggettiva dell’ufficio rivestito, ma che la condotta individuale del magistrato non devi dal minimo deontologico–professionale richiesto dalla legge alla sua figura di magistrato–funzionario”.

È bene precisare che la ricostruzione giuridica dell’istituto qui fatta propria, oltre ad essere in sintonia con la giurisprudenza amministrativa sul tema, è pacifica nella recente prassi consiliare, tant’è che è stata posta a fondamento delle recenti e seguenti delibere: n. 8456/2017, adottata nella seduta del 10 maggio 2017 (confermata dal Tar e dal Consiglio di Stato, con la citata sentenza 5783/2019); n. 4788/2018, adottata nella seduta del 15 marzo 2018 (confermata dal Tar del Lazio con la citata sentenza n. 281/2019); n. 12576/2018, adottata nella seduta del 18 luglio 2018 e che non risulta impugnata; n. 4849/2019, adottata nella seduta del 21 marzo 2019 e la cui impugnativa è sub iudice; n. 348/2019 adottata nella seduta del 21 maggio 2020 ; n. 3439/2021, adottata nella seduta del 24 febbraio 2021. A tali delibere si devono aggiungere due proposte di delibere, approvate dalla Prima Commissione, messe all’ordine del giorno del Plenum e non discusse o per sopraggiunto pensionamento anticipato del magistrato interessato (pratica n. 29/RS/2016) o per trasferimento dello stesso ad altra sede e funzione (pratica n. 463/RE/2016). Alle suddette delibere e proposte di delibere devono aggiungersi i numerosi procedimenti aperti negli ultimi anni ai sensi dell’art. 2 e conclusisi per effetto della scelta del magistrato interessato di trasferirsi “in prevenzione” ad altra sede e/o funzione. Non si comprende dunque perché questo orientamento consolidato del CSM e del giudice amministrativo non avrebbe dovuto essere applicato anche in questo caso. Un caso nel quale, infatti, da un lato i fatti e le condotte prese in esame dalla procedura erano più ampie di quelle oggetto di contestazione disciplinare, e dall’altro oggetto di interesse per la procedura di articolo 2 erano non già le condotte disciplinarmente rilevanti, quanto il fatto inequivocabile del venir meno del rapporto di fiducia tra il procuratore e tutto l’ufficio giudiziario.

5. Il progetto organizzativo di Milano: gli aspetti critici che il Consiglio ha messo in luce

Nel Plenum del 29 luglio il Consiglio ha valutato il progetto organizzativo della Procura di Milano per il triennio 2017- 2019, pervenuto al Consiglio con notevole ritardo, e sul quale vi erano state osservazioni di alcuni colleghi dell’ufficio e rilievi del Consiglio giudiziario di Milano. Nel rinviare al contenuto della delibera per una analisi compiuta del progetto organizzativo e dei rilievi mossi, segnaliamo in particolare, per il suo rilievo di carattere generale, la parte relativa ai criteri di assegnazione degli affari all’interno dei Dipartimenti. Secondo il progetto organizzativo i criteri di assegnazione degli affari sono stabiliti dal “Procuratore Aggiunto, d’intesa con il Procuratore e sentiti i Sostituti, con proprio provvedimento organizzativo” (da inserire nel “Libro informatico” istituito dal progetto). La delibera rileva che per alcuni Dipartimenti i criteri sono stati trasmessi dopo la formazione del progetto, per altri risultano tuttora mancanti. In definitiva, si è rilevato che i criteri di assegnazione nelle materie specializzate non sono contenuti nel progetto organizzativo e sono rimessi a provvedimenti organizzativi adottati dai singoli Procuratori Aggiunti. Scelta organizzativa che non appare conforme alle previsioni della circolare, in quanto:

  1. i criteri di assegnazione degli affari rientrano nel contenuto obbligatorio del progetto organizzativo e non possono essere rimessi ad atti esterni, difficilmente consultabili e verificabili;
  2. la fissazione dei criteri di assegnazione degli affari spetta al Procuratore della Repubblica e non può essere delegata ai Procuratori Aggiunti.

Peraltro sotto ulteriore profilo, va evidenziato che i criteri contenuti nei provvedimenti organizzativi adottati dai singoli Procuratori Aggiunti differiscono da dipartimento a dipartimento e, sovente, derogano al criterio dell’automaticità in favore di criteri tra loro difformi, e, talora, assolutamente generici.

La delibera sul punto rimarca, pertanto, la necessità che, per assolvere alla relativa funzione, i criteri fissati, anche laddove non rispondano ad un automatismo, devono comunque essere chiari e sufficientemente predeterminati. Peraltro, la genericità dei criteri di assegnazione impedisce di verificare se vi sia, nei singoli Dipartimenti, una distribuzione degli affari effettivamente improntata a criteri di equità e funzionalità, come prescritto dalla circolare. Nel Progetto organizzativo, inoltre, si prevede che il Procuratore Aggiunto può autoassegnarsi ovvero co-assegnarsi singoli procedimenti, informando il Procuratore della Repubblica nei casi di indagini rilevanti. Nella delibera approvata si ribadisce che non è consentito ai titolari di incarichi semidirettivi di autoassegnarsi o coassegnarsi procedimenti. Infine è stato chiarito che la determinazione da parte del dirigente della quantità e qualità dei procedimenti da assegnare ai Procuratori Aggiunti deve avvenire nell’ambito del procedimento di formazione del progetto organizzativo e non può essere differita ad una fase successiva, in sede di verifica delle determinazioni assunte dai Procuratori aggiunti in materia; del resto, proprio l’incompletezza della previsione del progetto organizzativo in ordine alla formazione del “ruolo” dei Procuratori Aggiunti  ha reso condivisibile l’osservazione del Consiglio giudiziario di Milano  secondo cui “non è dato comprendere se gli stessi godano o meno di un esonero parziale”.

 

Con questo ultimo Diario vi lasciamo alla pausa estiva. Vi auguriamo buon riposo e buone vacanze.

Vi racconteremo … dopo l’estate

Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario