Diario dal Consiglio del 25 aprile 2022
È morto Sergio Malgeri.
Abbiamo perso un dolce, carissimo amico. Un dolore lancinante, come non avremmo immaginato, ci ha percorso tutti.
Ci siamo sentiti per telefono, sparsi come siamo per il Paese; nessuno è riuscito a trattenere la commozione.
La grandezza di Sergio sta anche in questo: l’affetto per lui, il dolore grande di averlo perso, ha ravvivato antichi, resistenti legami, ha reso naturale il bisogno di parlarci e di parlare di lui, di condividere lo sgomento per la sua perdita, il desiderio di dircelo, ancora una volta, che Sergio era un uomo buono e giusto, colto e perciò sempre curioso, un magistrato di grande spessore e per questo sempre umile e cordiale.
Ma soprattutto di ricordare che Sergio era .. “il nostro Sergio”.
Sergio, che preso dal discorso sulla Costituzione indossava il cappotto sbagliato, che dimenticava il cappello sul treno per Marzabotto dove andava, da solo, a ricordare.
Perché Sergio, lui sì, sapeva davvero coltivare la memoria “…di sangue, di fuoco, di martirio…” e non solo sulla collina di Miana.
I deboli, gli indifesi, gli ultimi, hanno perso un appassionato difensore.
Lo Stato ha perso un grande Giudice.
La sua grandezza stava nella semplicità con cui sapeva fare cose difficili e importanti.
Il nostro Sergio era “innocente”, perciò per lui era naturale fare la cosa giusta senza curarsi della convenienza.Con naturalezza sapeva assolvere l’innocente con inattaccabile sentenza, deludendo infide attese e procurandosi non poche grane.
Con la semplicità di chi veramente sa fare il suo dovere, Sergio sapeva cogliere lo spunto offerto dal giovane pubblico ministero, che aveva visto ciò che era naturale ma problematico vedere, e creare, così, i presupposti per punire la condotta dei mafiosi già sicuri di averla fatta franca ancora una volta.
Anche qui sfidando, con impareggiabile semplicità, ire e stizzite reazioni.
Sergio era così.
Come ogni grande uomo faceva cose importanti, senza mai darsi importanza.
Ci mancherà Sergio, ci mancherà tanto.
Cercheremo di ricordare sempre la sua lezione di uomo e di magistrato.
Plenum
1. Applicazioni extradistrettuali in materia di protezione internazionale: uno strumento inadeguato alla dimensione dei flussi
Nel Plenum di mercoledì sono state adottate tre delibere di applicazione extradistrettuale c.d. “straordinaria” in attuazione dell’art. 11 dalla legge n. 46/2017 (“Applicazioni straordinarie di magistrati per l'emergenza connessa con i procedimenti di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell'immigrazione”), per i distretti di Catanzaro, Venezia e Milano.
E’ notorio che i flussi delle sezioni specializzate che si occupano della materia della protezione internazionale e dell’immigrazione sono di enorme impatto sugli uffici distrettuali, e che la loro dimensione quasi ovunque si traduce in un grave arretrato e in tempi di definizione del tutto inidonei rispetto a quelli che sono imposti dalla normativa nazionale e sovranazionale. Basti in proposito ricordare che, alla luce della citata normativa, da un punto di vista organizzativo un procedimento di protezione internazionale deve essere considerato “arretrato” quando è pendente da oltre quattro mesi davanti al Tribunale e da oltre sei mesi davanti alla Corte di cassazione.
La breve durata dei procedimenti, peraltro, corrisponde ad un obbligo assunto dallo Stato nell’ambito del Sistema Comune Europeo dell’asilo (Direttiva 2013/32/UE, c.d. “Direttiva Procedure”).
Si tratta, dunque, di una materia delicatissima e molto spesso complessa per la necessità di ricostruire la vicenda individuale ed il contesto geopolitico di provenienza della persona che chiede protezione, cui il Consiglio ha dedicato sin dal 2017 specifici interventi.
Già nella “Risoluzione sulle linee guida in tema di organizzazione e buone prassi per la trattazione dei procedimenti relativi alla protezione internazionale”, adottata con delibera del 15 marzo 2017, è stato affermato un principio sempre ribadito nei successivi interventi (si trattasse di linee guida o di applicazione di norme ordinamentali in materia di organizzazione degli uffici) ed in particolare nella “Risoluzione sulle linee guida in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione europea” adottata con delibera 13.10.2021:
Il Consiglio ribadisce che la priorità ex lege nella trattazione dei procedimenti da protezione internazionale impone da subito, ed ancor più nell’ambito delle sezioni specializzate, l’individuazione di un numero di giudici e di risorse adeguato alla qualità e alla necessaria celerità della risposta giurisdizionale.
Le scelte di allocazione delle risorse, da parte dei dirigenti, potranno implicare un inevitabile rallentamento nella trattazione degli altri procedimenti, almeno finché non troverà soluzione l’arretrato da protezione internazionale.
Occorre, di conseguenza, che, accanto al dimensionamento adeguato per numero di giudici della sezione o del gruppo di magistrati addetti alla protezione internazionale, per far fronte nei tempi previsti dal legislatore alla definizione della sopravvenienze, vengano anche predisposte misure straordinarie per lo smaltimento dell’arretrato.
Nell’ambito di queste misure straordinarie si colloca per l’appunto l’applicazione extradistrettuale, rispetto alla quale il Consiglio deve muoversi nei limiti stabiliti dalla legge che consente l’applicazione di un numero massimo di 20 magistrati (in contemporanea) per un periodo massimo di 24 mesi (18 mesi oltre a 6 mesi di possibile rinnovo, tema sul quale si rimanda alla delibera concernente il Tribunale di Milano per un approfondimento circa l’interpretazione sistematica della normativa derogatoria di cui all’art.11 predetto, e, dunque all’impossibilità di provvedere ad una immediata “nuova” applicazione del medesimo magistrato).
Stante la ristrettezza delle risorse il Consiglio, ha provveduto (con delibera del 18 marzo 2021) ad individuare e rendere noti i criteri per individuare, come prevede la legge, gli “uffici giudiziari presso i quali si è verificato il maggiore incremento dei suddetti procedimenti” al fine di individuare le sedi meritevoli di un’applicazione extradistrettuale, e provvede, con tempestività, alla concreta destinazione delle risorse. Ma – come già affermato nella Risoluzione dell’ottobre scorso citata – deve ribadirsi che l’istituto, per la sua stessa natura, non è strutturalmente idoneo a risolvere le gravi criticità degli uffici (come reso evidente anche dai dati statistici esaminati), producendo spesso, invece, disfunzioni negli uffici di provenienza, quasi sempre con organici di minori dimensioni rispetto a quelli degli uffici di destinazione.
Nel dibattito che ha accompagnato queste delibere, quindi, si è sottolineato come, al netto di una carenza strutturale di risorse umane con cui fronteggiare la domanda di giustizia dei cittadini (mancando circa 1500 magistrati rispetto alla previsione di pianta organica), l’emergenza dell’arretrato e dei tempi di definizione in questa materia (così rilevanti da condizionare necessariamente anche gli ambiziosi obiettivi imposti dal PNRR) dovrà anzitutto essere affrontata all’interno dei distretti e soprattutto degli uffici, che, rispettando la prescrizione introdotta dalla nuova circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti relativa alla destinazione in via stabile alle sezioni specializzate di un numero sufficiente di giudici per far fronte alle sopravvenienze, dovranno incrementare il numero dei giudici addetti in via stabile alla materia, dando dettagliatamente conto dell’analisi dei flussi posta a fondamento del congruo dimensionamento della sezione specializzata, ovviamente avuto anche riguardo alla situazione dell’intero ufficio.
Ed in tal senso è stato condiviso l’impegno da noi espresso affinché, nel valutare i nuovi progetti tabellari 2020/2022 degli uffici distrettuali, la Settima Commissione consideri con attenzione il rispetto delle specifiche norme suddette.
2. Ancora una delibera di Prima sulle distorsioni del rapporto con il governo autonomo esplorate e valutate (solo) in sede amministrativa
È stata discussa in Plenum la pratica di Prima Commissione relativa alla dott.ssa Anna Canepa. Si tratta di un’altra delle numerose pratiche, già esaminate dalla Commissione, originate dalla trasmissione al Consiglio, da parte della Procura di Perugia, degli atti relativi al procedimento penale a carico del dott. Luca Palamara (ricordiamo che sono state in tutto circa 50 le posizioni valutate più approfonditamente dalla Commissione, di cui circa 25 già archiviate con delibera motivata di Plenum, alcune con procedura sospesa per coincidenza con il disciplinare, 4 conclusesi con trasferimento dei magistrati, di ufficio o in prevenzione, altre ancora al vaglio della Commissione).
Esaminati i messaggi intercorsi nel periodo dal 23.12.2017 al 22.4.2019 tra il dott. Palamara (fino al 25.9.2018 componente del CSM, poi rientrato in ruolo) e la dott.ssa Canepa (sostituto procuratore presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, allora ed oggi), sono risultati oggetto dell’attenzione della Commissione due episodi: il 25.7.2018 la dott.ssa Canepa ha inviato un messaggio a Palamara (allora componente del CSM) interloquendo sulla nomina, da discutersi in Quinta commissione, del Procuratore di Savona, scrivendo “Scusa se ti disturbo, domani dovreste discutere Procuratore Savona. Savona è uno snodo fondamentale. Sono in corsa Arena e Landolfi, uno di MI è l'altro di AI, ma non è questo il problema. Sono 2 banditi incapaci il migliore è Ubaldo Pelosi. Un collega veramente valido. Attuale reggente. Grazie e Buon lavoro”; il 24.1.2019, allorché il Consiglio doveva procedere alla riedizione del potere in relazione alla nomina dell’aggiunto presso la DNA, la dott.ssa Canepa scriveva a Palamara: “Con la votazione di oggi il CSM abdica alla sua funzione e la DNA chiude. Un piccolo barlume… Fuzio al plenum… in questo sbando generale… ti chiedo di provarci” .. “e su quelle pecore che stanno al CSM, .. almeno Mancinetti”.. “grazie, Luca … il primo a rimetterci la faccia sarà Cafiero, rimarrà scoperto sulla parte più innovativa della DNA, l’antiterrorismo”. La dott.ssa Canepa, sentita dalla Commissione, ha riferito che, avendo un rapporto molto confidenziale con Luca Palamara, con il quale aveva condiviso per quattro anni l’esperienza in giunta ANM, si era permessa di segnalargli, seppure con modo “sintetico e sbrigativo”: nel primo caso la sua opinione sui candidati alla Procura di Savona, alla luce di alcune specifiche circostanze di fatto, che ha descritto nel corso dell’audizione, che le facevano ritenere che due dei candidati non fossero sufficientemente “specchiati moralmente”, ed al di fuori di qualsiasi interesse correntizio; nel secondo caso la sua opinione circa la necessità che il Consiglio procedesse all’audizione dei candidati al posto di aggiunto DNA e la sua richiesta a Palamara di intercedere in proposito presso i consiglieri del suo gruppo, dove il termine “abdicare” si riferiva alla rimessione delle decisioni al giudice amministrativo.
La Commissione, con 4 voti favorevoli (la relatrice Braggion ed i componenti Chinaglia, Celentano, Benedetti), 1 astenuto (Cerabona) e 1 non partecipante al voto (Di Matteo), aveva proposto al Plenum l’archiviazione della pratica. Nella delibera erano menzionati gli esiti dell’attività istruttoria svolta, sia presso la DNA sia presso la Procura di Genova (ufficio con il quale la dott.ssa Canepa cura il collegamento), dai quali emergeva che i fatti sopra citati (in parte resi pubblici dalla stampa) non avevano deteriorato i rapporti con i colleghi né alterato la funzionalità degli uffici, con particolare riferimento alla funzione di coordinamento svolta dalla dott.ssa Canepa con la DDA di Genova (della quale non fanno più parte né il dott. Landolfi, fuori ruolo, né il dott. Arena, tuttora alla Procura di Genova, ma in altro gruppo). Pur affermata la rilevanza deontologica delle condotte, la loro inopportunità e la loro potenziale rilevanza in altre sedi (consiliari e disciplinari), attesi i contenuti evidentemente denigratori rivolti verso i due candidati, ma anche verso i componenti del CSM, si osservava che le interlocuzioni da un lato non risultavano qualificate da logiche spartitorie o correntizie, dall’altro non avevano avuto ripercussioni sull’ufficio di appartenenza e su quello con il quale il magistrato cura il coordinamento. Di talché, in linea con l’orientamento sinora seguito dal Consiglio anche in molte altre pratiche, si riteneva non sussistessero i presupposti per un trasferimento di ufficio.
Nel corso del dibattito di Plenum i consiglieri D’Amato e Miccichè hanno chiesto il ritorno in Commissione della pratica, al fine di rivalutare, come già avvenuto la settimana precedente per la pratica Forciniti, il profilo di incompatibilità esclusivamente “funzionale” con riferimento alle funzioni di coordinamento insite nell’ufficio attualmente ricoperto; richiesta che è stata respinta. In esito alla discussione, la proposta di archiviazione è stata respinta, con 9 voti contrari (Ardita, Basile, Balduini, D’Amato, Cavanna, Marra, Micciché, Gigliotti, Pepe), 8 voti favorevoli (Benedetti, Cascini, Celentano, Chinaglia, Dal Moro, Lanzi, Suriano, Zaccaro), 6 astenuti (Braggion, Cerabona, Ciambellini, Curzio, Grillo, Salvi), mentre il cons. Di Matteo, pur intervenuto nel dibattito, non ha partecipato al voto. La pratica è quindi tornata in Commissione.
Vogliamo ricordare, come già riferito in precedenti occasioni con riferimento ad altre analoghe pratiche, che abbiamo sempre sostenuto, traendone le concrete conseguenze nelle diverse Commissioni ed in Plenum, l’idea che il Consiglio abbia il dovere di esaminare tutta la documentazione pervenuta da Perugia e di utilizzarla nell’ambito delle diverse valutazioni di propria competenza; ma che, tuttavia, il Consiglio non può sovrapporsi alle competenze che spettano alla Procura generale o al Ministro sul piano disciplinare o sopperire ad eventuali carenze nella iniziativa disciplinare, sicché, anche in presenza di condotte gravi o riprovevoli, il trasferimento di ufficio può essere disposto solo in presenza dei presupposti rigorosamente previsti dalla legge e dalla circolare, con particolare riferimento all’effettiva incidenza dei fatti sulla sede e sulle funzioni espletate in concreto, tali da richiedere lo spostamento del magistrato, in deroga al principio costituzionale dell’inamovibilità. Diversamente agendo, si corre il rischio di piegare un istituto molto delicato ad una logica sanzionatoria che non gli pertiene.
Questo orientamento è del resto quello che è stato sinora seguito dal Consiglio, che (in tema di chat e intercettazioni Palamara) ha, ad oggi, archiviato (sempre con i voti favorevoli di molti che oggi hanno votato contro l’archiviazione) almeno 25 procedimenti relativi a fatti, più o meno gravi, ma comunque non ritenuti in grado di costituire presupposto per il trasferimento di ufficio[1], assumendo un orientamento, ormai consolidato, di rigore sulla valutazione dei presupposti dell’articolo 2 LG, con riferimento a questa specifica tipologia di procedure; non a caso, infatti, i casi in cui il trasferimento (di ufficio o in prevenzione) è avvenuto presentavano, oltre alle chat, anche altri elementi che hanno pesato sulla decisione finale.
Abbiamo quindi votato a favore della delibera di archiviazione, perché anche questo caso presentava le medesime caratteristiche di altri già oggetto di archiviazione: dei singoli specifici episodi, riprovevoli e meritevoli sicuramente di valutazione, ma non tali da incidere sulla immagine di imparzialità e indipendenza del magistrato e non risultati, in esito all’istruttoria svolta, tali da impedire l’esercizio delle funzioni, anche di coordinamento (poiché proprio su questo si è incentrata l’istruttoria), svolte dal magistrato.
Riteniamo, invece, che il caso del dottor Forciniti, evocato nel dibattito come motivo del cambio di orientamento di alcuni consiglieri, fosse un caso del tutto diverso da questo, ed assolutamente peculiare: come abbiamo già spiegato nello scorso Diario, le risultanze acquisite dimostravano la continuativa, reiterata e attiva interferenza, durata per i primi otto mesi di questa consiliatura e culminata con l’incontro all’Hotel Champagne, nelle decisioni attinenti al funzionamento del CSM e nelle decisioni di competenza del CSM, e ciò in accordo con magistrati che, per almeno una parte di quei fatti, hanno subito sanzioni disciplinari anche severe o che tuttora sono sotto procedimento disciplinare. Un caso, quindi, talmente grave e particolare, direttamente collegato alle vicende che hanno scosso la magistratura e l’intera opinione pubblica, che, come già abbiamo detto, ci ha portati, dopo un orientamento in Commissione favorevole all’archiviazione, a non opporci alla volontà, manifestata da altra parte del Plenum, di interrogarsi sulla compatibilità di questi fatti con il perdurante esercizio di funzioni semidirettive.
Ci pare quindi singolare che chi aveva votato a favore dell’archiviazione per il dottor Forciniti (Braggion, D’Amato, Balduini, Miccichè) oggi abbia invece sostenuto con forza, con riferimento ad un caso decisamente differente, ed assimilabile ad altri già archiviati, la contrarietà all’archiviazione.
3. PNRR: la Risoluzione sul rafforzamento degli obblighi di formazione e aggiornamento dei giudici delegati alle procedure concorsuali e sugli incentivi in caso di trasferimento ad altro ufficio
La necessità di incrementare in maniera adeguata la specializzazione dei magistrati che si occupano della crisi di impresa e dell’insolvenza, anche in relazione alle significative novità che deriveranno dall’entrata in vigore del c.d. Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, prevista, allo stato, per il prossimo maggio 2022, è nota, ed è da tempo oggetto di attenzione da parte del Consiglio, nella piena consapevolezza degli effetti “sistemici” di un’efficace organizzazione dell’attività giurisdizionale nei settori della crisi d’impresa e dell’esecuzione. In particolare il Consiglio – da tempo intervenuto con diverse delibere aventi ad oggetto linee guida organizzative e raccolte di buone prassi – recentemente, ha deliberato la costituzione di un apposito gruppo di lavoro interdisciplinare allo scopo di delineare e diffondere, sia per gli uffici giudicanti sia per gli uffici requirenti, dette linee guida, anche in vista della prossima entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; con la delibera del 7 dicembre 2021, ha, inoltre, apportato significative modifiche alla circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2020/2022, allo scopo di favorire la formazione, la specializzazione e la stabilizzazione dei magistrati che si occupano della materia concorsuale (v. art. 104 e 128 circ. tab.); infine nelle linee programmatiche sulla formazione e l’aggiornamento professionale dei magistrati per l’anno 2022 (adottate con delibera del 18 novembre 2021) ha particolarmente sottolineato che la formazione dei giudici dell’insolvenza e della crisi di impresa, dovrà essere oggetto di particolare attenzione da parte della SSM.
In questo quadro è intervenuto l’art. 35-ter della legge 29 dicembre 2021, n. 233, che ha introdotto – direttamente in sede di conversione del d.l. recante “Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle infiltrazioni mafiose” – norme finalizzate al “rafforzamento degli obblighi di formazione e aggiornamento dei giudici delegati alle procedure concorsuali e incentivi in caso di trasferimento ad altro ufficio per assicurare gli impegni assunti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza in relazione alla specializzazione dei magistrati che svolgono funzioni in materia concorsuale”.
Si tratta di intervento normativo in linea di principio condivisibile, che, tuttavia, lascia emergere alcune criticità (per la cui analisi specifica rimandiamo alla delibera):
- in punto individuazione dei giudici destinatari degli obblighi di formazione;
- in punto incidenza dei corsi di formazione nelle valutazioni di professionalità per il tramite del parametro della “capacità” e non, invece, per il tramite del parametro dell’ “impegno”, con un effetto di irragionevole discriminazione rispetto al rilievo che la formazione ha nelle altre materie, pur specializzate;
- in punto valorizzazione della specializzazione nei concorsi interni (già operata dalla normativa secondaria, v. art. 128-bis circ. tab.), che oltre a delle ambiguità interpretative circa il rilievo “concorrente” o meno della formazione agli effetti della prevalenza, contiene delle rigidità che potrebbero condurre a irragionevoli disparità nella valorizzazione della pregressa esperienza ai fini della maturazione del criterio di prevalenza tra più aspiranti;
- in punto assegnazione di punteggio aggiuntivo per il trasferimento ad altri uffici, riconosciuto a prescindere dalle funzioni che il magistrato andrà a svolgere nell’ufficio di destinazione, quindi per incentivare la permanenza prolungata sul ruolo fallimentare nello stesso ufficio: un unicum ordinamentale, visto che i punteggi aggiuntivi attualmente previsti per lo svolgimento di funzioni specialistiche sono riconosciuti – per evidente coerenza con la stessa finalità di specializzazione – solo se anche nell’ufficio di destinazione saranno svolte le medesime funzioni specialistiche (si pensi alla materia del lavoro, alle funzioni di sorveglianza, al settore minorile), e che quelli connessi alle condizioni di maggiori criticità dei ruoli non prevedono limitazioni rispetto alle singole materie trattate (si pensi alla normativa in materia di sedi disagiate e di applicazioni); peraltro introdotto senza che risulti una preventiva analisi conoscitiva sulla criticità del livello di stabile copertura dei ruoli fallimentari nei diversi uffici.
L’apprezzabile intento di valorizzare la specializzazione e la stabilità dei magistrati che si occupano della materia fallimentare, presenta criticità enfatizzate dalla rigidità dello strumento prescelto per disciplinare con normativa di dettaglio la materia dell’ordinamento giudiziario, essendo preferibile in questo campo una normativa di principio che, previa interlocuzione con l’Organo di governo autonomo, lasci al Consiglio il dovere di integrazione con previsioni di dettaglio.
Per questa ragione la Risoluzione è stata trasmessa al Ministero della Giustizia con l’auspicio di avviare un proficuo confronto sugli esiti dell’indagine conoscitiva che è stata avviata dal Consiglio in via preliminare rispetto all’attuazione della normativa primaria.
4. Commissione per il concorso notarile ed esonero dal lavoro giudiziario
Nel corso del Plenum sono state discusse le 7 delibere relative alla concessione dell’esonero totale dal lavoro giudiziario per altrettanti magistrati nominati dal Ministro componenti della Commissione per il concorso notarile.
La presenza dei magistrati ordinari nelle commissioni per il concorso notarile è prevista dalla legge (d. lgs. 166/2006) che stabilisce anche che i magistrati, con delibera del CSM, “sono esonerati, in tutto o in parte, dal rispettivo carico di lavoro” per la durata dei lavori.
Con risoluzione consiliare del 26 settembre 2007 il Consiglio ha regolato il proprio potere discrezionale nella determinazione del quantum di esonero. Essa prevede che debbano acquisirsi i pareri dei Consigli giudiziari e le informazioni necessarie per valutare l’entità dell'impegno richiesto, dovendosi tenere conto sia della specifica funzione assolta dal magistrato in seno alla commissione esaminatrice (presidente, vicepresidente, componente) sia delle funzioni giudiziarie svolte dal magistrato. Lo scopo è giungere a una soluzione che, salvaguardando la funzionalità della commissione esaminatrice, tuteli però anche funzionalità ed efficienza degli uffici giudiziari, nel rispetto del canone del buon andamento e dell'imparzialità dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. .
Sulla scorta di tali previsioni, e come da prassi, il Consiglio aveva autorizzato, in via provvisoria, con delibere del 7 dicembre 2021, l’esonero totale dal lavoro giudiziario per tutti i componenti di questa Commissione, riservando la quantificazione definitiva dell’esonero in esito all’acquisizione dei pareri dei Consigli giudiziari e del calendario dei lavori della Commissione.
Acquisiti tali pareri – almeno tre dei quali negativi o favorevoli al solo esonero parziale, con specificazione delle situazioni di criticità degli uffici “cedenti” – ed acquisito il calendario dei lavori, però, la Prima Commissione aveva comunque deliberato, con un voto contrario (Chinaglia), di proporre al Plenum la conferma, per tutti i magistrati interessati, dell’esonero totale per la durata della correzione delle prove scritte, senza verifica in concreto delle singole situazioni.
Come già fatto in Commissione, anche in Plenum non abbiamo votato favorevolmente all’approvazione delle delibere (Cascini, Chinaglia, Dal Moro Zaccaro voto contrario; Suriano astenuto) perché ritenevamo che, pur tenendosi conto delle esigenze di celerità dei lavori della Commissione esaminatrice, dovessero essere esaminate e valutate le situazioni di grande difficoltà degli uffici di provenienza dei magistrati.
La scelta dei magistrati componenti di queste Commissioni è fatta non dal Consiglio, ma dal Ministero, che, per l’individuazione dei magistrati, non prevede dei filtri relativi alle situazioni di scopertura degli uffici da cui attingere, come invece il CSM fa quando nomina i componenti della commissione per il concorso in magistratura. Accade così che vengano nominati magistrati anche provenienti da uffici con gravi scoperture dell’organico (in uno dei casi in questione, il 29% e prossimo a giungere al 34%).
In tale contesto, ritenevamo che un approfondimento delle singole situazioni (tenuto conto di: ruolo assunto nella commissione esaminatrice, situazione degli uffici di provenienza, pareri dei CG, esigenze anche logistiche di avvicinamento a Roma) avrebbe forse potuto consentire di prevedere (senza modifiche al calendario dei lavori), almeno nei casi più critici, un esonero parziale e non totale, con previsione di una minima parte – ad es. il 20% – di lavoro giudiziario, onde mantenere un minimo di aiuto per gli uffici in grave difficoltà, pur senza incidere sulla funzionalità dei lavori della commissione esaminatrice (ormai avviati con oltre 4 mesi di lavoro in situazione di esonero totale e, quindi, con una certa stabilizzazione, e con lavori strutturati su tre giorni la settimana e con alcune settimane “bianche”).
In esito al dibattito di Plenum, tuttavia, le delibere di esonero totale, in assenza di qualsiasi approfondimento sulle specifiche situazioni evidenziate dai dirigenti degli uffici e dai Consigli giudiziari, sono state approvate con 17 voti favorevoli, 4 contrari, 3 astenuti.
Vi racconteremo...
Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario
[1] Nicola Clivio, Francesco Greco, Alberto Liguori, Angelo Renna, Concettina Epifanio, Federico Cafiero de Raho, Francesco Saverio Mannino, Mariano Sciacca, Alessandra Camassa (per la quale, però, la motivazione rende conto della insussistenza di fatti rilevanti), Cristina Tedeschini, Marina Orsini, Fabio Pilato, Bruno Fasciana, Annamaria Picozzi, Alessandra Salvadori, Silvia Corinaldesi, Silvia Badas, Irene Lilliu, Silvio Cinque, Bruno Cherchi, Maria Teresa Cameli. A questi si aggiungono i casi, più dibattuti stante la pluralità ed il contenuto delle interlocuzioni, dei dottori Giovannella Scaminaci, Antonello Racanelli, Valerio Fracassi, per i quali, dopo proposte di delibera di archiviazione respinte dal Plenum con ritorno delle pratiche in Commissione, il Plenum ha poi definitivamente archiviato.