MAGGIO
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Diario dal Consiglio del 22 maggio 2020

Il Plenum di giovedì si è aperto con un intervento del Vicepresidente in ricordo della figura di Giovanni Falcone. Riproponiamo le parole sobrie di Ciccio Zaccaro che ci sembrano cogliere che è la testimonianza di ognuno il senso dell’impegno della memoria.

“Dobbiamo ricordare Giovanni Falcone facendo ogni giorno il nostro dovere, rispettando la legge e lavorando sine spe e sine metu. Lo dobbiamo fare quando facciamo i giudici, quando siamo fuori ruolo, quando dirigiamo gli uffici giudiziari e quando abbiamo l’onore di sedere fra i banchi del governo autonomo. Lo hanno ricordato anche i giovani colleghi, che facendo il loro dovere, non hanno avuto remore nel denunciare episodi di cattiva gestione se non addirittura di malaffare. Penso ai colleghi degli uffici di Trani di cui alla recentissima cronaca ed ai colleghi della Procura di Siracusa di qualche anno fa. Nessuno di loro ha avuto timore di fare il proprio dovere e nessuno si è fatto tentare dalla deferenza o dalla paura nei confronti del dirigente. Sono la prova che la magistratura è nella sua grande maggioranza un corpo sano”.

 

 

Il Plenum

Le adunanze di mercoledì e giovedì sono state dedicate, oltre che a poche questioni urgenti, alla pratica relativa al procedimento per incompatibilità ex art. 2 legge guarentigie del dott. Sirignano, sostituto Procuratore presso la Direzione Nazionale Antimafia, pratica aperta in Prima commissione a luglio 2019 a seguito della trasmissione al Consiglio degli atti del procedimento penale n. 6652/2018 della Procura della Repubblica di Perugia, relativa alle posizioni dei “magistrati in ruolo Luca Palamara, Luigi Spina, Stefano Fava e Cesare Sirignano”. A quelle risultanze si è aggiunto un esposto a firma del dott. Giuseppe Borrelli, all’epoca Procuratore aggiunto di Napoli con delega per la DDA e attualmente Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, al quale era allegato un cd audio contenente le registrazioni, effettuate dal dott. Borrelli, di dialoghi intervenuti tra lui ed il dott. Sirignano.

In esito ad istruttoria compiuta, la Commissione ha formulato due distinte proposte, con l’astensione dei consiglieri D’Amato e Donati:

Nel corso del Plenum:

Abbiamo convintamente sostenuto la proposta A

Il trasferimento ex art. 2 opera quando i magistrati “per qualsiasi causa indipendente da loro colpa non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità”.

Nel nostro caso:

A noi è sembrato evidente che le condotte sopra indicate e la loro pubblicità abbiano provocato la concreta impossibilità, per il dott. Sirignano, di svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità nella sede da lui occupata: la Direzione Nazionale Antimafia, ufficio di rilevanza e con competenze nazionali, in cui l’attività dei sostituti è intrinsecamente basata sul coordinamento tra i sostituti stessi e sul coordinamento con le Procure distrettuali di tutta Italia, laddove è evidente che tale coordinamento deve avvenire su basi di serenità, trasparenza e fiducia.

Per effetto della pubblicazione delle conversazioni intercettate, la collettività intera, e sicuramente i magistrati dell’ufficio e i magistrati coinvolti nel coordinamento nazionale antimafia, hanno avuto contezza di un magistrato addetto alla Direzione Nazionale Antimafia il quale:

Un magistrato, infine, che, nel corso della sua audizione al Consiglio, ha rivendicato la legittimità di quelle parole, affermando che si trattava di un fatto “normale” e che “funziona così”.

Riteniamo non sia compatibile con l’immagine di imparzialità e indipendenza di un ufficio che un suo magistrato, deputato al coordinamento investigativo in tutta Italia, affermi che i magistrati non debbano essere valutati per come lavorano, ma debbano essere valutati per la loro tessera associativa e che l’equilibrio di un ufficio sia legato alla diversa composizione per appartenenze.

Del tutto inutile ci è parsa la ricerca di ulteriori testimonianze interne all’ufficio – come proposto da alcuni consiglieri – posto che già le risultanze in atti (verbale riunione DNA, dichiarazioni assunte) confermano che i fatti indicati hanno generato “senso di smarrimento” ed hanno “profondamente ferito l’ufficio”.

Né tanto meno occorre indagare “sull’intenzionalità o sulla colpevolezza”, posto che il procedimento di cui all’art. 2 è procedimento amministrativo a tutela dell’imparzialità e indipendenza dell’esercizio della funzione giurisdizionale, che si estende anche all’apparenza di tali prerequisiti essenziali e richiede semplicemente l’analisi e la ricognizione di un fatto e della sua ricaduta sul bene protetto.

La pratica trattata necessariamente ci porta però ad una riflessione più ampia, trattata da Giuseppe nel suo intervento in Plenum, e sulla quale vogliamo ora soffermarci.

Questa vicenda ci consegna una fotografia chiara di quel correntismo deteriore che tutti condanniamo in astratto e dal quale tutti diciamo di volerci affrancare.

Ma se vogliamo davvero liberarci da certe logiche non possiamo limitarci a “sanzionare” il caso singolo, trattandolo come “una mela marcia”, accantonata la quale il sistema sarebbe complessivamente accettabile.

Nella valutazione delle responsabilità individuali è necessario saper distinguere, soppesare i fatti e gli elementi di prova, graduare i livelli di responsabilità.

Ma nel giudizio sul sistema nel suo complesso non è possibile alcuna indulgenza.

Dobbiamo riconoscere con onestà che quanto emerso non è un’eccezione e che questi fatti sono sintomatici di un sistema di malcostume che è entrato nella mentalità di tutti i gruppi associativi e che coinvolge la responsabilità di tutti.

Su questo tutti abbiamo il dovere di fare una severa, profonda, radicale revisione autocritica.

Non possiamo negare che le riforme del 2006 hanno trasformato la magistratura. E questo è un problema che coinvolge tutti, rappresentanti e rappresentati, e chiama in causa da un lato le responsabilità di chi gestisce il potere e dall’altro le aspettative individuali di coloro che si rivolgono a chi gestisce il potere. Si è creata negli anni una perversa distorsione dei meccanismi elettorali e delle logiche di appartenenza alle correnti, per cui gli elettori ritengono di potersi (anzi di doversi) rivolgere agli eletti per ottenere qualcosa che, secondo il pensiero ormai diffuso, si può ottenere solo con l’appoggio di una corrente e gli eletti si sentono in dovere di ricercare nella gestione del sistema di governo autonomo soluzioni che vengano incontro a tali aspettative.

Noi abbiamo il dovere di dimostrare che non è così: di dimostrarlo nei fatti; ma per fare questo abbiamo il dovere di riconoscere che quel sistema è entrato profondamente nel corpo dei magistrati e nel modo di essere dei gruppi associativi, inquinando profondamente le prassi, i metodi e (anche) il linguaggio.

Se noi non capiamo questo, allora ci limiteremo a discutere del singolo caso, dividendoci tra chi non può far finta di non vederlo e chi decide di far finta anche di non vedere questo, ma alla fine non avremo fatto passi avanti.

E allora questa è l’occasione anche per ricordare cosa abbiamo fatto sinora e spiegare cosa intendiamo ancora fare.

Abbiamo reso conto, nel Diario settimanale, delle motivazioni delle scelte effettuate di volta in volta, ritenendo fondamentale, per prima cosa, la trasparenza delle ragioni delle scelte.

Così abbiamo più volte spiegato che abbiamo sempre rifiutato, sin dal primo giorno di consiliatura, qualsiasi logica di accordo, patto, scambio, favore, e qualsiasi incidenza, nella scelta, dell’appartenenza o non appartenenza a correnti.

Abbiamo cercato, per le nomine di direttivi e semidirettivi, di individuare e proporre il candidato migliore e più idoneo per il posto da coprire (come afferma lo stesso testo unico), in assenza di segnalazioni, favori o scambi, ma anche con il rifiuto di logiche sia di compromesso che di “testimonianza” se non ove tale testimonianza si fondi sulla ritenuta maggiore idoneità del concorrente. Scegliere il candidato più idoneo, invero, significa anche confrontarsi all’interno della Commissione, perché questa è l’essenza della natura collegiale della procedura: discutere, confrontarsi, cercare di raggiungere un risultato ove possibile condiviso, mantenere eventualmente una diversa idea nel caso in cui non sia possibile raggiungerlo, ma sempre ed esclusivamente sulla base delle ragioni di merito della scelta, alla luce degli indicatori dettati dal testo unico.

Ciò non toglie che le regole vadano cambiate: abbiamo proposto una riforma del Testo Unico Dirigenza, nella quale si valorizza in via principale l’esperienza professionale nel lavoro giudiziario e confidiamo possa trovare al più presto un confronto e un accordo con gli altri consiglieri.

Abbiamo cercato, per le altre nomine (DNA, Cassazione, ecc.) di giungere all’individuazione dei candidati più idonei senza “pacchetti”, e ciò anche attraverso la valorizzazione del parere della Commissione tecnica e dell’esperienza professionale maturata negli uffici. In questa direzione si muovono anche le proposte di riforma della circolare che abbiamo avanzato e confidiamo di portare presto all’approvazione del plenum.

Ancora, stiamo procedendo ad elaborare proposte di modifica della circolare Tabelle e della circolare Procure, mirate anche a contrastare la possibilità che si creino specifici “percorsi di carriera” all’interno degli uffici, attraverso la rincorsa ad incarichi conferiti al di fuori di regole trasparenti.

Buon lavoro a tutti

Vi racconteremo…

Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario