APRILE
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Diario dal Consiglio del 18 aprile 2019

Luca 23:18-25, “…Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù. Ma essi urlavano: «Crocifiggilo, crocifiggilo!». Ed egli, per la terza volta, disse loro: «Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò». Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano. Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita”

“Per la legittimazione della giurisdizione, basata sulla garanzia della verità e delle libertà, mentre non è necessario e può anzi essere dannoso il consenso, è possibile ma non delegittimante il dissenso della maggioranza. Alla maggioranza, si è detto, il giudice si collega solamente per il tramite della sua soggezione alla legge, nella quale la volontà maggioritaria si è espressa prima della commissione dei fatti sottoposti a giudizio. Ciò che invece si richiede, in forza della natura tendenzialmente cognitiva della giurisdizione e del suo ruolo di garanzia dei diritti delle persone, è la fiducia dei cittadini: fiducia nell’imparzialità di giudizio dei giudici, fiducia nella loro onestà e nel loro rigore intellettuale e morale, fiducia nella loro competenza tecnica e nella loro capacità di giudizio.

Per contro, ciò che delegittima la giurisdizione è non tanto il dissenso e la critica, che non solo sono legittimi ma operano come fattori di responsabilizzazione, ma la sfiducia nei giudici e peggio ancora la paura generate soprattutto dalla mancanza di garanzie o, peggio, dalle violazioni di legge proprio da parte di chi è chiamato ad applicare la legge e che dalla soggezione alla legge ricava la sua legittimazione. È questa paura che fa del potere giudiziario quello che Montesquieu chiamò un «terribile potere».

Luigi Ferrajoli, Giurisidizione e Consenso

Vi proponiamo con questi due testi  una  riflessione sulla fonte della legittimazione della giurisdizione, che ci pare molto attuale in ragione di tante questioni che occupano di questi tempi il dibattito sulla giustizia ed anche, per alcuni aspetti, quello che impegna il CSM: dai frequenti impropri commenti sulle decisioni dei giudici, cui si lasciano andare anche personalità con responsabilità istituzionali, con conseguente effetto delegittimante della giurisdizione e della sua indipendenza; alla preoccupazione, che talvolta risuona nel confronto dialettico in Consiglio, di non urtare o dispiacere chi governa, nell’esprimere pareri su disegni di legge,  nel rispondere a richieste di collocamento fuori ruolo o di analoga natura.

Durante il Plenum del 17 aprile 2019, cui ha partecipato il Ministro della Giustizia, è stato espresso parere favorevole all’aumento delle piante organiche degli uffici di legittimità. Immediatamente dopo la votazione, il Ministro ha sottoscritto il relativo decreto.

L’incremento degli organici degli uffici di legittimità si inserisce nel complessivo progetto di aumento degli organici della magistratura di 600 unità previsto dalla c.d. legge di stabilità 2019 (l. n. 145/2018). L’intervento relativo agli uffici di legittimità si sostanzia nell’aumento di 4 posti di presidente di sezione della Cassazione, 1 posto di avvocato generale, 48 posti di consigliere e 17 posti di sostituto procuratore generale.

La ratio di tali aumenti è legata alla necessità di dotare la Cassazione di un organico idoneo a fronteggiare il gravoso carico di lavoro in termini di procedimenti pendenti (che determina una situazione di grave sofferenza, specialmente nel settore civile e tributario, nonostante la registrata diminuzione delle pendenze) e a garantire la funzione nomofilattica che la Costituzione attribuisce alla Corte di legittimità. L’aumento relativo alla Procura generale è funzionale a bilanciare l’incremento nel “corrispondente” ufficio giudicante e a dotare tale organo di un numero di magistrati sufficiente a gestire la mole di lavoro derivante dall’obbligatorietà dell’azione disciplinare e dalle accresciute attività internazionali e di coordinamento e vigilanza sugli uffici requirenti.

Sulla base di tali considerazioni, sia il Consiglio direttivo della Cassazione, sia la relativa commissione flussi hanno espresso parere favorevole.

Abbiamo commentato questo intervento dando atto al Ministro dell’importante risultato ottenuto con l’aumento dell’organico della magistratura, che è una grande opportunità per il funzionamento della giustizia, sottolineando, però, da un lato, che l’intervento sugli organici della magistratura da solo non basta, dall’altro, che sarà decisivo, per la buona riuscita dell’intervento, il come avverrà la distribuzione della restante, ingente, quota di aumento nei diversi uffici giudicanti e requirenti di merito.

Rimandiamo alla lettura dell’ intervento svolto da Alessandra in plenum per conto di tutti noi.

Il Ministro della Giustizia ha ascoltato con attenzione tutti gli interventi e al termine ha rivendicato lo sforzo compiuto dal suo dicastero nel dotare gli uffici giudiziari delle risorse necessarie al loro funzionamento, sia con investimenti nel settore del personale amministrativo (attraverso un piano straordinario di assunzioni), sia attraverso l’aumento della pianta organica della magistratura ordinaria, sia infine rispetto all’aspetto infrastrutturale.

 

Segnaliamo che il Comitato paritetico CSM-Ministero – cui partecipa la Settima Commissione – si sta dedicando con impegno, e in uno spirito di leale collaborazione, proprio per individuare presupposti, criteri e modalità di distribuzione delle risorse più congrui.

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Sempre nel corso del Plenum, su proposta della Settima commissione - resa in risposta ad alcuni quesiti di cui era stata investita da diversi Presidenti di Tribunale e da una collega - è stata chiarita la portata applicativa dell’incompatibilità introdotta dall’art. 35 comma 4-bis d.lgs. 159/2011, a norma del quale tale incompatibilità riguarda amministratori giudiziari, coadiutori, curatori fallimentari che abbiano un rapporto di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo grado, oltre che di convivenza, coniugio o unione civile con magistrati “addetti all’ufficio giudiziario al quale appartiene il magistrato che conferisce l’incarico”.

Il nodo più critico di questa norma riguardava la portata di questa incompatibilità, che, per la sua ampiezza, produce un impatto importante sull’efficienza degli uffici e certamente penalizzante sulla vita di molti colleghi. Si è cercato quindi di approfondire la nozione di ufficio giudiziario e la possibilità di effettuare, anche in tali casi, una verifica in concreto dei presupposti di interferenza nell’attività giudiziaria, analogamente a quanto avviene per l’incompatibilità ex artt. 18 e 19  O.G. con magistrati o esercenti la professione forense.

Come spiegato nell’articolata delibera, una compiuta ricostruzione del citato art. 35 e dei lavori preparatori dello stesso, ha condotto a concludere che non è praticabile un percorso esegetico modellato su una applicazione analogica del regime previsto dagli art. 18 e 19, poiché le suddette norme, che disciplinano la potenziale incompatibilità del magistrato, fanno riferimento ad un accertamento in concreto, che tenga conto del concreto esercizio della professione forense, delle dimensioni dell’ufficio cui il magistrato in condizioni di potenziale incompatibilità appartiene, della sua organizzazione tabellare, della materia trattata dal magistrato stesso; il che manca completamente nel testo del citato art. 35 c.4-bis che, viceversa, non disciplina un’incompatibilità del magistrato, ma un divieto di assumere incarichi per il congiunto, e nel quale si fa riferimento al solo “ufficio giudiziario”, senza alcuna distinzione, così riferendosi a tutti i magistrati appartenenti all’ufficio medesimo.

D’altro canto l’interpretazione letterale della norma trova conforto nei lavori parlamentari durante i quali il comma 4-bis citato era seguito da un originario comma 4-ter che si riferiva alle sezioni dell’ufficio e che prevedeva che, nel caso in cui l’ufficio fosse diviso in più sezioni, per ufficio giudiziario si intendesse la sola sezione “alla quale appartengono i componenti del collegio”. Tale comma è stato però soppresso, restando solo il precedente comma 4-bis; a conferma della volontà del legislatore di non fare alcuna distinzione fra magistrati appartenenti allo stesso ufficio.

Dunque, per “ufficio giudiziario” deve intendersi l’intero ufficio giudiziario, a prescindere dalle sue dimensioni, dal fatto che sia o meno diviso in sezioni e, più in generale, dalla sua organizzazione tabellare.

In conseguenza di ciò deve ritenersi che l’incompatibilità non si estenda ai magistrati addetti alla Procura della Repubblica, trattandosi di ufficio giudiziario diverso dal Tribunale.

Si è poi precisato che l’incompatibilità non sussiste (e viene meno) per effetto del venir meno dell’appartenenza del magistrato all’ufficio giudiziario, come ad esempio nel caso di collocamento fuori ruolo. Non cessa, invece, in caso di mero esonero dalle funzioni giudiziarie del magistrato che resta incardinato nella pianta organica dell’ufficio.

Infine, si specifica che il regime di cui all’art. 35 si applica alle sole nomine successive all’entrata in vigore della nuova disposizione.

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Nel corso del Plenum è stato poi deciso su proposta di Terza Commissione il collocamento fuori ruolo del collega Rustichelli nominato Presidente dell’Antitrust dal Presidente della Camera e dal Presidente del Senato. Come già avevamo anticipato la settimana scorsa, dopo una lunga ed approfondita discussione, abbiamo votato contro la proposta della maggioranza ritenendo che il collocamento fuori ruolo non fosse consentito dalla legge Severino, in quanto il collega aveva già trascorso un periodo fuori ruolo superiore ai dieci anni.

I colleghi che hanno sostenuto la proposta favorevole hanno valorizzato l’art. 7-vicies-quinquies del dl n.7/05 convertito nella legge n.43/05 che disciplina in generale il collocamento fuori ruolo dei dipendenti pubblici, indicando deroghe espresse per i componenti delle autorità indipendenti.

Noi abbiamo ritenuto, invece, che dovesse prevalere la norma speciale sul fuori ruolo dei magistrati, contenuta nella legge Severino, peraltro emanata successivamente, che prevede il tetto decennale ed anche le eccezioni, che riguardano gli incarichi elettivi, di governo e presso le Corti internazionali, ma non le Autorità indipendenti.

Per espressa previsione di legge (art.276 del R.D.'41) le norme sui
dipendenti pubblici si applicano ai magistrati solo se non confliggono con le norme di ordinamento giudiziario, quale è appunto la legge Severino che riguarda solo i magistrati e che è stata finalizzata proprio a calmierare l’eccessiva durata di alcuni fuori ruolo.

Dunque, il richiamo alla eccezione contenuta nell’art.7-vicies-quinquies rispetto alla regola contenuta nella legge Severino ci è parso non sostenibile sul piano tecnico, così come infondati ci sono apparsi i richiami al criterio di specialità (secondo alcuni reciproca) per individuare la norma applicabile. D’altronde in questi termini, in maniera netta ed inequivocabile, si era espresso l’Ufficio Studi nel suo parere.

Si è trattato, a nostro avviso, di una scelta politica, in alcuni interventi anche esplicitata come tale: in presenza di un dubbio interpretativo, anche se debole, si privilegia la soluzione che evita uno sgarbo nei confronti delle alte cariche da cui la nomina proviene.

Noi abbiamo sempre rivendicato il ruolo politico del CSM e affermato la ineludibile politicità dell’attività di interpretazione della legge. Riteniamo, però: da un lato, che le opzioni politiche non possano mai consentire forzature contro il chiaro disposto della legge; dall’altro, che la politicità del percorso interpretativo passi attraverso una analisi dei valori e dei principi sottesi alla scelta, non certo attraverso valutazioni di bon ton nei confronti di altri poteri.

 

Vi è stato, infine, un interessante dibattito su due pratiche relative a valutazioni di professionalità, entrambe segretate per la presenza di riferimenti a procedimenti disciplinari. Vi abbiamo già riferito della nostra opposizione alla scelta della IV Commissione di segretare le pratiche che contengono riferimenti al disciplinare, in quanto riteniamo che le vicende disciplinari, peraltro pubbliche dopo l’inizio del dibattimento, non possono considerarsi dati sensibili o attinenti alla vita privata, e che debba prevalere il principio della pubblicità delle sedute del Consiglio, quale garanzia di trasparenza della sua azione. La questione è stata rimessa alla Commissione regolamento, ma nell’attesa la prassi della IV Commissione non è mutata. Possiamo pertanto riferire solo in termini generali delle due vicende.

La prima riguardava una valutazione di settima per un magistrato che nel periodo immediatamente successivo a quello in valutazione aveva assunto comportamenti dai quali erano scaturiti procedimenti penali e disciplinari. La chiara lettera della legge e i principi di diritto amministrativo non consentivano in alcun modo di valutare questi fatti nel giudizio di professionalità. Trattandosi dell’ultima valutazione è emersa però chiara una lacuna di sistema, cioè la mancanza di strumenti di intervento in presenza di situazioni di caduta di professionalità successive all’ultima valutazione (che come è noto interviene al 28 anno di anzianità). Né vale il richiamo alla possibilità di intervenire con il disciplinare o con la procedura di incompatibilità ambientale, in quanto non tutte le condotte suscettibili di un giudizio negativo di professionalità sono riconducibili a tali istituti, per i quali vigono i principi di legalità e di tassatività che, per ovvie ragioni di garanzia, è bene sottrarre a tentazioni estensive. Il dibattito sul tema è stato ricco, interessante e soprattutto aperto alla possibilità di individuare soluzioni.

La seconda pratica riguardava un magistrato per il quale era già intervenuta una condanna disciplinare. Ad alcuni di noi è parso che i fatti accertati in sede disciplinare (consulenze date a persona non iscritta all’albo, legata da rapporti di lavoro privato con il magistrato, e liquidate in misura eccedente quanto previsto dalla legge) fossero tali da influire anche sul giudizio sui prerequisiti di indipendenza e imparzialità oggetto di verifica in sede di valutazione di professionalità. Alla fine di un dibattito molto interessante, e a tratti anche acceso, è prevalsa la tesi favorevole al superamento della valutazione. Il punto di divisione è stato proprio quello della rilevanza dei fatti accertati in sede disciplinare. Siamo tutti d’accordo, in linea di principio, sulla affermazione di escludere ogni automatismo tra giudizio disciplinare e valutazione di professionalità. Alcuni, però, sembrano intendere tale principio come esclusione, sempre e comunque, di ogni rilevanza dei fatti accertati in sede disciplinare nel giudizio di professionalità. Più o meno esplicitamente si afferma, in sostanza, che se il magistrato è stato già sanzionato in sede disciplinare una nuova sanzione in sede di valutazione di professionalità non sarebbe consentita e sarebbe in violazione del principio del ne bis in idem. Ciò conduce a non fare alcuna distinzione sui fatti oggetto di accertamento disciplinare, mettendo sullo stesso piano vicende disciplinari ordinarie (i cd. incidenti di percorso: ritardi et similia), sui quali tutti siamo d’accordo, laddove possibile, a non infierire, e vicende, come ci è sembrata quella all’attenzione del Csm, che attengono alla correttezza, anche sul piano deontologico,dell’operato del magistrato.

 

Sempre in Plenum è stata approvata all’unanimità la nomina del collega Marco Salvatori, giudice in servizio presso il Tribunale di Agrigento, a Presidente di Sezione civile del medesimo ufficio giudiziario.

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In Quinta Commissione, all’unanimità è stata deliberata la proposta del dott. Giuseppe De Falco a Procuratore del Tribunale di Latina (relatore Suriano). Una nomina scontata per l’indiscusso valore del collega, ma che comunque ci ha fatto molto piacere condividere con tutti i componenti della Commissione.

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In Terza Commissione abbiamo già individuato i fuori ruolo ultradecennali e ci riserviamo di verificare bene alcune posizioni (in particolare l’applicabilità del regime transitorio per gli addetti alla Corte Costituzionale ed al CSM). Abbiamo anche individuato le sedi che hanno i requisiti per essere bandite come disagiate (scopertura oltre 20% e senza aspiranti per un bando). Evidenziamo che i criteri di legge ci appaiono irrazionali perché non sarebbero beneficiate sedi che erano coperte e, quindi, nell’ultimo bando non sono state messe a concorso; ma - proprio per effetto dell’ultimo bando - sono state desertificate (per esempio la procura di Barcellona Pozzo di Gotto o il Tribunale di Vallo della Lucania).

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Abbiamo bisogno di un po’ di riposo come tutti voi…anche qui il lavoro è intenso, e le vacanze pasquali sono davvero state un miraggio questa settimana.

Vi salutiamo augurando Buona Pasqua a tutti … e, a ciascuno, di interpretare secondo la sua sensibilità, laica o cristiana, il concetto della resurrezione che, comunque, ci induce a guardare con grande amore ed impegno la vita e la traccia viva che della nostra vita lasciamo.

 

Buon lavoro e buona settimana... Vi racconteremo…!

Ale, Ciccio, Giuseppe, Mario