OTTOBRE
16

Diario dal Consiglio del 16 ottobre 2020

“Questo si chiama pizzo…”

- imprenditore: “cosa mi sta chiedendo”

- Guarino: “io non gli sto domandando niente prendi una carta di cinquecento euro e me la fai avere, per la festa tu stai bello tranquillo”;

- imprenditore: “cioè questo si chiama pizzo”;

- Guarino: “no no”;

- imprenditore: “no! Non si chiama pizzo!”;

- imprenditore: “…io ce l’ho uno che mi dà i soldi per pagare però... glielo faccio vedere... vede, vede questo si chiama Falcone e Borsellino”;

- Guarino: “e cosa cambia perché”;

- imprenditore: “chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una sola volta”.

Libero Grassi fu assassinato a Palermo il 29 agosto del 1991 mentre si recava al lavoro per aver pubblicamente rifiutato di pagare il “pizzo”.

Nel gennaio di quell’anno il Giornale di Sicilia aveva pubblicato una sua lettera sul rifiuto di cedere ai ricatti della mafia:

«Volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere. Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui».

Dedichiamo il Diario a chi, rifiutando di pagare il “pizzo”, continua la lotta alla mafia e onora la memoria di quanti in questa lotta hanno perso la vita per restare liberi.

 

Il Plenum

Nel Plenum di mercoledì abbiamo trattato, con una lunga discussione, tre pratiche che riteniamo avessero molto a che vedere con il tema della salvaguardia dell’immagine esterna della magistratura e con quella della funzionalità degli uffici giudiziari; temi assai attuali, di cui è fin troppo facile parlare e dirsi paladini, ma non altrettanto facile farsi carico in concreto quando in gioco c’è anche la questione di limitare le aspirazioni dei nostri colleghi. L’attenzione a questi temi a nostro parere attiene al rispetto delle norme che presidiano i beni della funzionalità del sistema giudiziario e dell’immagine di imparzialità e indipendenza della magistratura, alla cui tutela concorre il CSM.

1. La prima pratica riguardava l’autorizzazione della dott.ssa Raffaella Pezzuto (Consigliere della Corte d’Appello di Firenze) allo svolgimento dell’incarico conferito dall’Avvocatura Generale dello Stato – di esperto del nucleo di supporto dell’Agente del Governo a difesa dello Stato italiano innanzi alla Cedu. Tale incarico ha durata triennale e consiste nell’attività di redazione degli atti processuali e di monitoraggio del contenzioso Cedu che interessa gli altri Paesi, al fine di potenziare il numero di interventi del Governo italiano nei giudizi che investono questioni suscettibili di impattare sull’ordinamento italiano. La proposta di autorizzare detto incarico era stata formulata dalla Prima commissione, con il voto contrario del consigliere Zaccaro e l’astensione dei consiglieri Ardita e Basile. La proposta della maggioranza autorizzava l’incarico nei limiti delle 80 ore annue.

Solo dopo l’intenso dibattito in plenum, incentrato anche sul peso di tale incarico sul lavoro giudiziario – particolarmente oneroso presso la Corte d’Appello di Firenze ove la dott.ssa Pezzuto presta servizio – si è espressamente escluso qualsiasi esonero per la collega, che pure era stato richiesto al dirigente dell’ufficio nella misura del 40%.

Ciccio Zaccaro, nel motivare il suo voto contrario, ha poi evidenziato che, consentire ad un magistrato in ruolo di svolgere contemporaneamente le funzioni giudiziarie, con i dovuti connotati di terzietà, e quelle di esperto al servizio dell’Avvocato Generale dello Stato (quale agente che difende lo Stato italiano presso la Cedu), rischia di compromettere l’immagine di indipendenza del magistrato stesso. Si arriverebbe, infatti, al paradosso che la stessa persona fisica celebra processi e scrive sentenze in cui lo Stato e l’Avvocatura sono parti e, contemporaneamente, redige atti processuali “di parte” per conto dello Stato e dell’Avvocatura qualora questi siano convenuti presso la Cedu da un cittadino italiano.

Fermo il fatto che riconosciamo l’importanza che lo Stato italiano si difenda innanzi alla Cedu anche avvalendosi di magistrati, che meglio di tutti conoscono gli snodi critici della legislazione e della giurisprudenza nazionale nelle sue implicazioni processuali e sostanziali – riconosciamo, dunque, l’importanza di un incarico siffatto – riteniamo, tuttavia, che tale attività andrebbe svolta (come suggerito in via prioritaria dalla legge che costituisce questa categoria di esperti) ponendo il magistrato fuori ruolo, così da evitare dubbi sulla sua imparzialità anche rispetto alla parte processuale “Stato” o rispetto al contenzioso dell’Avvocatura dello Stato.

Accanto a queste considerazioni di principio, nei nostri interventi, abbiamo, inoltre, evidenziato la difficoltà di “misurare” in termini di ore il lavoro assegnato alla dott.ssa Pezzuto (redazione di atti processuali e studio della giurisprudenza convenzionale) e dunque di verificare il rispetto del massimale di ore autorizzabile (80), soprattutto ove raffrontato al quantum di esonero richiesto.

La proposta è stata approvata a maggioranza, con i voti favorevoli dei consiglieri Braggion, D’Amato, Miccicchè, Ciambellini, Grillo, Salvi, Curzio, Gigliotti, Benedetti, Donati, Basile, Lanzi, Cerabona; hanno votato contro i consiglieri Cascini, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro, Pepe, Marra, Davigo; astenuti i consiglieri Ardita Cavanna e Di Matteo

2. La seconda pratica riguardava la sostituzione del dott. Pasquale Fimiani (sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione) quale componente della Commissione tecnica per il conferimento delle funzioni di legittimità ex art. 12, comma 13 del D.Lg. n. 160/2006 per sopravvenute ragioni di incompatibilità con la prosecuzione dell’incarico.

In Commissione erano state avanzate due proposte: una a favore del dott. Maurizio Fumo (proposta A) e una a favore del dott. Sergio Beltrani (proposta B).

Giuseppe Cascini, relatore della proposta A, ne ha illustrato le ragioni rappresentando che nel bando emanato all’inizio della consiliatura non erano indicati i criteri in base ai quali sarebbe avvenuta la selezione e nemmeno era indicata la documentazione da produrre da parte dei candidati, alcuni dei quali avevano presentato un’autorelazione mentre altri si erano limitati a dichiarare la disponibilità. La mancanza di criteri predeterminati di selezione rendeva impossibile effettuare una valutazione comparativa tra i candidati. Di qui la proposta di ricorrere a criteri “estrinseci” indicando il dott. Fumo, magistrato in quiescenza, in quanto candidato più anziano, con maggiore esperienza presso la Corte di cassazione, in particolare presso le Sezioni Unite, e che aveva svolto anche le funzioni di presidente di sezione. Inoltre, la nomina di un magistrato in pensione (espressamente consentita dalla legge) avrebbe garantito, ad avviso del relatore, anche sul piano dell’immagine, una maggiore distanza rispetto all’ambiente. Sappiamo tutti che i concorsi per gli uffici di legittimità, ai quali partecipano molti aspiranti, sono oggetto di grande attenzione da parte dei magistrati e sono stati spesso oggetto di polemiche legate alla possibilità di procedere a nomine a pacchetto (con ciò riferendosi non tanto alle modalità di voto, ma all’accordo tra i gruppi rappresentati in Consiglio). Non basta, rispetto a queste dinamiche, fare dichiarazioni di buona volontà e promesse di comportamenti virtuosi. È necessaria una profonda e severa autocritica e occorrono gesti concreti, anche sul piano dell’immagine. Con la recente riforma della circolare sull’accesso in Cassazione abbiamo scelto di dare un peso molto rilevante al giudizio della Commissione tecnica; ma, proprio per questo, la selezione dei componenti di quella commissione deve avvenire sulla base di regole chiare e trasparenti e deve dimostrare, anche sul piano dell’immagine, l’effettiva volontà di cambiamento.

All’esito della discussione è prevalsa la proposta B a favore del dott. Beltrani. A favore della proposta A hanno votato i consiglieri Cascini, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro, Curzio, Cerabona.

3. La terza pratica riguardava il collocamento fuori ruolo presso la Commissione di garanzia per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici del dott. Cosimo D’Arrigo, attualmente consigliere presso la Corte di cassazione.

In Commissione erano state avanzate due proposte: una contraria al collocamento fuori ruolo del collega per l’espletamento di detto incarico (proposta A) e una favorevole (proposta B).

È consolidato orientamento consiliare in tema di collocamento fuori ruolo che la valutazione discrezionale, di esclusiva spettanza del CSM, è diretta a verificare che l’attività da svolgersi fuori ruolo sia attinente “all’interesse dell’amministrazione che lo dispone”, ovvero rientri “nei compiti istituzionali dell’amministrazione stessa”. Inoltre, il Consiglio è chiamato a svolgere “una valutazione complessiva del profilo del magistrato” che tenga conto “di tutti gli elementi di conoscenza desumibili dal fascicolo personale e, in particolare, di eventuali procedimenti disciplinari definiti o in corso (…) sotto il profilo della loro ricaduta sull’immagine di imparzialità e di indipendenza del magistrato o del pregiudizio derivante al prestigio della magistratura” (art. 113 comma 2 della circolare n. 13778).

Il relatore della proposta contraria, Giuseppe Cascini, ha illustrato le ragioni per cui, in questo caso, assume decisivo rilievo il precedente disciplinare da cui è gravato il magistrato: invero, il dott. D’Arrigo è stato sottoposto a procedimento disciplinare e con sentenza del 10 settembre 2015 (definitiva nel 2017) gli è stata irrogata la sanzione disciplinare della censura, con riguardo alla contestazione per cui, quale giudice civile del Tribunale di Messina, non ha rispettato i termini di deposito di sentenze e ordinanze, con ritardi di estrema rilevanza sia quantitativa che qualitativa, anche superiori ai tre anni. I fatti sono stati accertati all’esito dell’ispezione ordinaria presso il Tribunale di Messina eseguita dall’8 al 31 gennaio 2013. Nella sentenza della Sezione disciplinare, le cui motivazioni sono in parte riportate nella proposta di delibera, viene sottolineato come l’accumulo di ritardi così imponenti per numero e consistenza non trovi sufficiente giustificazione, né negli esoneri parziali riconosciuti al dott. D’Arrigo per essere stato destinato al Comitato scientifico del CSM e per aver svolto l’attività di componente del Consiglio Giudiziario, né nella scarsa organizzazione del Tribunale di Messina: “I ritardi in questione violano, in effetti, ogni soglia di ragionevolezza, pur nell’ambito delle condizioni soggettive ed oggettive nelle quali il magistrato si è trovato ad operare (…) l’incolpato ha svolto una intensa attività pubblicistica, didattica e convegnistica, accanto a quella presso il CSM. Un’attività che è stata certamente di arricchimento culturale per il magistrato, e tale da consentirgli di affinare sempre più le sue doti di giurista, con indubbio vantaggio anche per il servizio Giustizia, ma, come poi emerso, a detrimento della esigenza di una tempestiva definizione dei procedimenti a lui assegnati (…). Tuttavia, ove siffatti incarichi impediscano, sia pure per ragioni oggettive ed ambientali che prescindono dalla disponibilità del magistrato interessato, di compiere con puntualità gli atti dovuti dell’ufficio, fino al punto di determinare un accumulo di ritardi oltre ogni soglia di ragionevolezza, essi non vanno assunti o, se assunti, ad essi occorre rinunciare. Allo stesso modo, nel bilanciamento tra l’interesse culturale del magistrato ai più attenti approfondimenti tecnico-giuridici e il diritto di ciascun cittadino, costituzionalmente tutelato, ad ottenere risposta in tempi ragionevoli alla propria domanda di giustizia, occorre trovare una sintesi che, non sacrificando oltre misura il primo (avuto anche riguardo ai potenziali effetti benefici sulla qualità della giurisdizione nell’interesse della collettività), garantisca l’effettività del principio del giusto processo, del quale la ragionevole durata costituisce una delle declinazioni. E tale sintesi non può essere in nessun caso rinvenuta in una soluzione che sacrifichi l’adempimento dei propri doveri per un arco temporale non tollerabile”.

Abbiamo ritenuto che, per effetto di questo precedente disciplinare, ricorresse nel caso di specie quel pregiudizio derivante al prestigio della magistratura, che, secondo la richiamata disposizione dell’art. 113 della circolare n. 13778, impone al Consiglio di negare l’autorizzazione all’incarico fuori ruolo, per le potenziali ricadute sul piano dell’immagine e del prestigio della magistratura derivanti dall’attribuzione di un incarico così delicato, anche sotto il profilo dell’esposizione politico-istituzionale, ad un magistrato che abbia riportato una condanna disciplinare per ritardi così consistenti e significativi.

All’esito della discussione, la proposta di autorizzazione al collocamento fuori ruolo è stata approvata con nove voti a favore (Braggion, D’Amato, Ciambellini, Grillo, Marra, Lanzi, Gigliotti, Cerabona, Curzio), otto contrari (Cascini, Chinaglia, Dal Moro, Suriano, Zaccaro, Di Matteo, Cavanna, Benedetti) e quattro astenuti (Ardita, Pepe, Basile, Donati).

Le commissioni

Da Lunedì 12 ottobre le Commissioni non permanenti, scaduto l’anno, sono state rinnovate tenuto conto delle richieste espresse dai consiglieri e del regolamento interno, secondo il quale non è possibile rimanere nella medesima commissione per più di due anni, né assumere la presidenza di una commissione da parte di chi l’abbia assunta l’anno precedente (ma, di regola, neppure nei due anni precedenti).

La nuova composizione prevede, per quanto ci riguarda:

Prima Commissione – Elisabetta Chinaglia, Presidente;

Terza Commissione – Ciccio Zaccaro, Presidente;

Quarta Commissione – Alessandra Dal Moro, componente;

Quinta Commissione – Giuseppe Cascini, componente;

Sesta Commissione – Elisabetta Chinglia e Ciccio Zaccaro, componenti;

Settima Commissione – Mario Suriano, componente;

Ottava Commissione – Mario Suriano, componente;

Nona Commissione – Alessandra Dal Moro, componente.

Post-Scriptum

La prossima settimana ci apprestiamo ad affrontare la discussione e la votazione della pratica relativa alla permanenza nella carica di componente del CSM, dopo il collocamento al riposo per raggiunti limiti di età, del consigliere Piercamillo Davigo.

Si tratta di una pratica che va valutata esclusivamente sul piano tecnico-giuridico. Per questa ragione, riteniamo utile offrire una ricognizione della normativa e dei precedenti consiliari e giudiziari di riferimento, che consente a ciascuno, se crede, di comprendere con cognizione di causa i termini della questione.

Riferimenti normativi

1. Art. 104 Costituzione

La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica.
Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.
Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.
Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento.
I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.
Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale.

2. Legge 24 marzo 1958 n.195

Art.4 (Composizione della sezione disciplinare)

La cognizione dei procedimenti disciplinari a carico dei magistrati è attribuita ad una sezione disciplinare, composta di sei componenti effettivi e di quattro supplenti.
I componenti effettivi sono:
il vicepresidente del Consiglio superiore, che presiede la sezione;
un componente eletto dal Parlamento, che presiede la sezione in sostituzione del Vicepresidente del Consiglio superiore;
un magistrato di Corte di cassazione con esercizio effettivo delle funzioni di legittimità;
due magistrati che esercitano le funzioni di cui all’articolo 23, comma 2, lettera c);
un magistrato che esercita le funzioni di cui all’articolo 23, comma 2, lettera b);
I componenti supplenti sono: (omissis)

Art. 23 (Componenti eletti dai magistrati)

(omissis)
L’elezione si effettua:
a) in un collegio unico nazionale, per due magistrati che esercitano le funzioni di legittimità presso la Corte suprema di cassazione e la Procura generale presso la stessa Corte;
b) in un collegio unico nazionale, per quattro magistrati che esercitano le funzioni di pubblico ministero presso gli uffici di merito (omissis);
c) in un collegio unico nazionale, per dieci magistrati che esercitano le funzioni di giudice presso gli uffici di merito (omissis).

Art.24 (Elettorato attivo e passivo)

(omissis)Non sono eleggibili:
a) i magistrati che al momento della convocazione delle elezioni non esercitino funzioni giudiziarie o siano sospesi dalle medesime ai sensi degli articoli 30 e 31 del citato regio decreto legislativo n. 511 del 1946, e successive modificazioni. 
(omissis)

Art. 32 (Durata della carica)

I componenti elettivi del Consiglio superiore durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.

Art. 33 (Incompatibilità).

I componenti del Consiglio superiore non possono far parte del Parlamento, dei consigli regionali, provinciali e comunali, della Corte costituzionale e del Governo.
I componenti eletti dal Parlamento, finché sono in carica, non possono essere iscritti negli albi professionali. Non possono neanche essere titolari di imprese commerciali, né far parte di consigli di amministrazione di società commerciali. Non possono altresì far parte di organi di gestione di unità sanitarie locali, di comunità montane o di consorzi, nonché di consigli di amministrazione o di collegi sindacali di enti pubblici, di società commerciali e di banche.
Del Consiglio superiore non possono far parte parenti o affini entro il quarto grado. Se l’incompatibilità si verifica tra due componenti magistrati, resta in carica colui che appartiene alla categoria più elevata, o, nella stessa categoria, il più anziano; se si verifica tra un magistrato e un componente designato dal Parlamento, resta in carica il componente designato dal Parlamento; se si verifica tra due componenti designati dal Parlamento, resta in carica colui che ha ottenuto il maggior numero dei voti e in caso di parità il più anziano di età.
Del Consiglio superiore non possono far parte magistrati addetti al Ministero di grazia e giustizia.
I componenti del Consiglio superiore non possono svolgere attività proprie degli iscritti ad un partito politico.

Art. 37 (Sospensione e decadenza)

I componenti del Consiglio superiore possono essere sospesi dalla carica se sottoposti a procedimento penale per delitto non colposo.
I componenti del Consiglio superiore sono sospesi di diritto dalla carica quando contro di essi sia emesso ordine o mandato di cattura ovvero quando ne sia convalidato l’arresto per qualsiasi reato.
I magistrati componenti il Consiglio superiore sono sospesi di diritto dalla carica se, sottoposti a procedimento disciplinare, sono stati sospesi a norma dell’articolo 30 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511.
I componenti del Consiglio superiore decadono di diritto dalla carica se sono condannati con sentenza irrevocabile per delitto non colposo.
I magistrati componenti il Consiglio superiore incorrono di diritto nella decadenza dalla carica se riportano una sanzione disciplinare più grave dell’ammonimento.
La sospensione e la decadenza sono deliberate dal Consiglio superiore. La sospensione facoltativa è deliberata a scrutinio segreto con la maggioranza dei due terzi dei componenti.
(omissis)

Art.39 (Sostituzione dei componenti eletti dai magistrati)

Il componente eletto dai magistrati che cessa dalla carica per qualsiasi ragione prima della scadenza del Consiglio superiore della magistratura è sostituito dal magistrato che lo segue per numero di preferenze nell’àmbito dello stesso collegio. In mancanza, entro un mese vengono indette elezioni suppletive, con le modalità previste dall’articolo 27, comma 3, per l’assegnazione del seggio o dei seggi divenuti vacanti [1].

[1] Articolo così sostituito dall’art. 6 della legge n. 74 del 1990.
Il testo previgente era il seguente: “I magistrati che per il numero di preferenze ottenute nell’ambito di ciascuna lista seguono gli eletti al Consiglio superiore nella rispettiva categoria vengono chiamati a sostituire i componenti della stessa categoria che cessino dalla carica per la perdita dei requisiti di eleggibilità ovvero per qualsiasi altra ragione prima della scadenza del Consiglio”.

3. DPR n. 916 del 1958 recante disposizioni di attuazione e coordinamento della legge 24 marzo 1958 n. 195.

Art.30

I magistrati componenti del Consiglio superiore continuano a esercitare le loro funzioni negli uffici giudiziari ai quali appartengono.
I magistrati componenti elettivi sono collocati fuori del ruolo organico della magistratura. Alla cessazione della carica il Consiglio superiore della magistratura dispone, eventualmente in soprannumero, il rientro in ruolo dei magistrati nella sede di provenienza e nelle funzioni precedentemente esercitate [2].

 [2] Comma sostituito dall’art. 8 della legge 3 gennaio 1981 n. 1.
Il testo previgente era così formulato: Il Consiglio superiore può deliberare che i magistrati componenti elettivi siano collocati fuori del ruolo organico della magistratura, qualora debbano assolvere incarichi inerenti alle attribuzioni del Consiglio medesimo, che richiedano prestazione di attività continuativa.

4. Legge 27.4.1982 n. 186 (Consiglio di Stato)

Art. 7 (Composizione del Consiglio di Presidenza)

(omissis)
I membri eletti che nel corso del quadrienno perdono i requisiti di eleggibilità o si dimettono o cessano per qualsiasi causa dal servizio oppure passano dal Consiglio di Stato ai tribunali amministrativi regionali o viceversa sono sostituiti per il restante periodo dai magistrati appartenenti al corrispondente gruppo elettorale che seguono gli eletti per il numero dei suffragi ottenuti.

5. D.Lg. n. 66 del 15.3.2010 (Codice dell’ordinamento militare)

Art.69 (Elezioni del Consiglio della magistratura militare)

(omissis)
I componenti eletti che nel corso del quadriennio di durata del Consiglio della magistratura militare perdono i requisiti di eleggibilità o cessano dal servizio per qualsiasi causa sono sostituiti per il restante periodo dai magistrati che seguono gli eletti per il maggior numero di suffragi ottenuti.

6. Regolamento del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti

Art.4 (Posizione dei magistrati eletti)

I magistrati componenti eletti del Consiglio che perdono i requisiti di eleggibilità o cessano dalla carica per qualsiasi ragione prima della scadenza del Consiglio sono sostituiti nel Consiglio per il restante periodo dai magistrati che li seguono per numero di suffragi.

* * *

Per quanto riguarda i precedenti consiliari sono da segnalare due casi di componenti laici eletti dal Parlamento tra i professori universitari in materie giuridiche (Prof. Di Federico e Prof. Berlinguer) che hanno raggiunto l’età della pensione nel corso del mandato. In entrambi i casi, i componenti hanno completato il quadriennio in considerazione dell’assenza di una espressa causa di decadenza.

Vi è inoltre il caso del componente eletto dai magistrati Vittorio Borraccetti, il quale ebbe a compiere 70 anni nel corso del mandato. All’epoca però era prevista la possibilità di rimanere in servizio, a domanda, fino al settantacinquesimo anno. Il dott. Borraccetti non aveva presentato la domanda nel termine previsto e dunque la questione principale che si poneva era quella della natura perentoria o ordinatoria del termine per presentare domanda di trattenimento in servizio, questione che fu risolta in senso favorevole all’interessato (cioè nel senso del carattere ordinatorio del termine) dal Consiglio di Stato.

Nell’ambito di quella vicenda, il Consiglio superiore, in una delibera adottata alla unanimità sulla base di un parere dell’Ufficio Studi, affrontò anche la questione della possibile decadenza del componente elettivo magistrato in caso di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite massimo di età. In quella delibera (21 aprile 2011) il Consiglio sostenne la tesi della carenza di interesse del ricorrente dott. Fucci avverso la delibera di trattenimento in servizio del dott. Borraccetti affermando che l’eventuale collocamento a riposo del dott. Borraccetti non avrebbe comportato la decadenza dalla carica di consigliere.

Il sistema, pertanto, impone senza alcun dubbio che i componenti del CSM eletti dai magistrati siano scelti tra componenti della medesima categoria professionale che abbiano il pieno ed effettivo esercizio delle funzioni al momento dell’elezione. Non esiste, tuttavia, alcuna disposizione normativa che imponga la permanenza di tale condizione di eleggibilità per tutta la durata del mandato quadriennale: non è, infatti, espressamente previsto il divieto di elezione del magistrato che non garantisca la permanenza in servizio per tutto il tempo in cui eserciti la carica e non è prevista la decadenza nel nell’ipotesi di cessazione dell’attività professionale. Deve, al proposito ribadirsi che le norme in materia di decadenza da cariche elettive sono soggette a criteri interpretativi più restrittivi di quelle riguardanti l’ineleggibilità, proprio perché esse incidono irreversibilmente sulla volontà che l’elettorato ha già espresso, in quanto possono determinare un’alterazione della fisionomia dell’organo rappresentativo così come è stata scelta dagli elettori. È anche per questo che l’esclusione dell’applicazione o interpretazione analogica vale per le norme in materia di ineleggibilità e, a maggior ragione, per le norme in materia di decadenza” (Delibera CSM 22 aprile 2011 pagg. 7,8,9).

Detta conclusione era argomentata anche alla luce di considerazioni svolte in un parere dell’ufficio studi (Parere ufficio studi del 18.4.2011)

Tale argomento non fu condiviso prima dal TAR e poi dal Consiglio di Stato i quali, pur respingendo il ricorso del dott. Fucci in ragione della natura non perentoria del termine per la richiesta di trattenimento in servizio, negarono fondamento alla tesi della carenza di interesse del ricorrente affermando che la cessazione del rapporto di servizio del componente magistrato eletto ne avrebbe determinato la decadenza.

Così scrisse il Tar nella sentenza n. 02416/2011: “Va in primo luogo esaminata l’eccezione di difetto di interesse sollevata dal contro interessato Dottor Borracetti con riferimento alla posizione giuridica dedotta in giudizio dal ricorrente Dottor Fucci: in proposito assumendosi che in ragione della pluralità di conseguenze indotte dalla determinazione autorizzatoria al mantenimento in servizio di un magistrato (fra le quali, per quanto qui ne occupa, anche la persistente legittimazione dello stesso a svolgere la carica elettiva rivestita in seno all’organo di autogoverno) il medesimo ricorrente potrebbe conseguire, per effetto dell’accoglimento del proposto mezzo di tutela, un utilità solo “mediata”. Tale prospettazione non merita condivisione: dimostrandosi invece, in capo al Dottor Fucci meritevole di tutela l’interesse dedotto in giudizio. Nel rammentare (…) come il ricorrente sia risultato primo dei non eletti in seguito allo svolgimento delle elezioni per la nomina dei componenti del CSM relativamente al collegio unico nazionale (…) va rilevato come, ai sensi dell’articolo 39 della stessa legge 195/1958, “il componente eletto dei magistrati cessa dalla carica per qualsiasi ragione prima della scadenza del Consiglio superiore della magistratura è sostituito dal magistrato che lo segue per il numero di preferenze nell’ambito dello stesso collegio”. Non è invero suscettibile di diverso opinamento il diritto del primo dei non eletti al subingresso nella carica di componente del Consiglio laddove uno dei membri eletti per qualsiasi ragione cessi dal mandato: per l’effetto dovendo, con ogni evidenza, argomentarsi che in ragione della cessazione dal servizio del Dottor Borraccetti – dal ricorrente postulata in ragione della affermata illegittimità del relativo trattenimento – verrebbe a costituirsi in capo al Dottor Fucci una posizione giuridicamente tutelabile alla nomina in seno all’organo di autogoverno”.

Dello stesso avviso il Consiglio di Stato nella sentenza n.06051/2011: “È opinione della sezione che la questione non coinvolga il diritto di elettorato passivo e le sue eventuali limitazioni, ma attenga piuttosto al presupposto stesso che la legge contempla per il conseguimento della qualità di componente elettivo togato del CSM; infatti una lettura formalistica del già citato articolo 24 della legge 195 del 1958 o di altre disposizioni in materia appare decisamente insufficiente ad illuminare sui principi e sulla ratio sottesi alla disciplina tutta in materia di autogoverno della magistratura. Se infatti per autogoverno deve intendersi un sistema in virtù del quale la gestione e l’amministrazione di una determinata istituzione è affidata ai suoi esponenti, nella specie attraverso un organo costituito in base al principio di rappresentatività democratica, ne discende che la qualità di appartenente all’istituzione medesima (nella specie l’ordine giudiziario) costituisce condizione sempre essenziale e imprescindibile per l’esercizio della funzione di autogoverno e non solo per il mero accesso agli organi che la esercitano. In altri termini il fatto che legislatore non abbia espressamente previsto la cessazione dall’ordine giudiziario per quiescenza fra le cause di cessazione della carica di Componente del CSM dipende non già da una ritenuta irrilevanza del collocamento a riposo, ma dall’essere addirittura scontato che la perdita dello status di magistrato in servizio, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, è ostativa alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni in seno all’organo consiliare. Di conseguenza del tutto legittima è una lettura lata del citato articolo 39 legge 195/58 laddove prevede il subentro del primo dei non eletti in caso di cessazione dalla carica “per qualsiasi ragione” ben potendo ricomprendersi in tale ampia formula anche l’ipotesi su indicata senza alcuna indebita estensione analogica di norme eccezionali e senza alcuna violazione di principi di rango superiore”

* * *

Vi racconteremo … buon lavoro e buona settimana

Alessandra, Ciccio, Elisabetta, Giuseppe, Mario