Comunicato

Consulenze al Governo: non serve andare fuori ruolo

Ancora una volta il CSM interpreta restrittivamente la legge Severino. Votano contro i soli consiglieri di AreaDG e il consigliere laico Michele Cerabona

Il Plenum del Consiglio Superiore della magistratura del 30 aprile scorso ha autorizzato un magistrato di tribunale in ruolo destinato alla Cassazione, Rosaria Giordano, a svolgere, come "incarico extragiudiziario", una collaborazione "quale componente del Comitato di esperti" presso la Presidenza del Consiglio. L’incarico è stato autorizzato "nei limiti delle 70 ore residue per l'anno 2019 e di 80 ore per il 2020 e il 2021" per 3 anni, con un compenso di 40 mila euro annuali.

La delibera, proposta dalla Prima Commissione, ha avuto 13 voti favorevoli (i 5 togati di Magistratura Indipendente, i tre laici eletti in quota M5s, tre togati di Unicost, Grillo, Morlini e Spina, il Presidente e il Pg di Cassazione ), mentre si sono astenuti i togati di Unicost, Ciambellini e Mancinetti, i  togati di A&I, Davigo e Ardita, e i due componenti laici indicati dalla Lega. Unici voti contrari quelli dei quattro consiglieri togati di AreaDG e del laico indicato da Forza Italia, Michele Cerabona.

Condividiamo appieno le ragioni di contrarietà all'autorizzazione espressa dai consiglieri di AreaDG in quanto, alla stregua delle disposizioni dettate dalla legge Severino in materia di conferimento di incarichi ai magistrati ordinari presso “istituzioni, organi ed enti pubblici nazionali ed internazionali”, proprio al fine di assicurare una chiara separazione tra l’ esecutivo ed il giudiziario, è previsto che detti incarichi possano essere svolti solo “con il contestuale collocamento in posizione fuori ruolo, che deve permanere per tutta la durata dell’incarico”.

L’incarico in questione, al di là del non discusso valore dell’interessata, quale componente del Comitato di esperti presso la Presidenza del Consiglio, per la committenza di esso, la durata, l’impegno e la remunerazione, oltre ai profili di opportunità, pone seri problemi di compatibilità con la permanenza in ruolo del magistrato, in quanto determina una commistione che rischia di incidere negativamente sia sullo svolgimento delle funzioni giudiziarie del magistrato, sia, quantomeno,  sulla apparenza della sua indipendenza e terzietà.

Prendiamo atto con rammarico che il Consiglio Superiore, come già è avvenuto nella vicenda Rustichelli, conferma una linea interpretativa che appare contrastare con il chiaro dettato normativo della legge 6 novembre del 2012 n.190, che ha inteso segnare in modo rigido la demarcazione tra i poteri dello Stato, per evitare pericolose commistioni ed assicurare l’efficace svolgimento della funzione giudiziaria.

2 maggio 2019