Relazione introduttiva del segretario generale
Maria Cristina Ornano

Anche a nome del Coordinamento nazionale saluto e do il benvenuto a tutti i partecipanti e ringrazio tutti coloro che si sono resi disponibili ad animare i tavoli che si alterneranno in queste due giornate. Tra questi particolare gratitudine vorrei esprimere ai nostri ospiti esterni, l’avvocato Andrea Mascherin, presidente del CNF, il dottor Felipe Marques Presidente di Medel e l’avvocato Barbara Spinelli dell’associazione Giuristi Democratici qui in veste di Osservatore ELDH per i diritti umani in Turchia, i quali hanno accettato l’invito a partecipare e contribuire ai nostri lavori.

Un ringraziamento particolare va poi a Francesco Menditto che presiederà i lavori dell’assemblea nella giornata di domani ed ai colleghi di AreaDG Roma che ci hanno validamente coadiuvato nell’organizzazione dell’assemblea.

Vogliamo rivolgere un augurio speciale alla rivista “Giustizia Insieme”, storica rivista del Movimento per la Giustizia-Art.3 che ha di recente ripreso la pubblicazione on-line; si tratta di una notizia molto positiva e che ci conforta, perché aumenta e arricchisce l’offerta culturale del gruppo di AreaDG e contribuisce a promuoverne lo spirito, i valori, i contenuti.

Cercherò di prendere lo spazio indispensabile per introdurre i lavori di queste due giornate che, già alla stregua del programma, si presentano molto intense.

Mai come oggi nel nostro Paese e nel mondo occidentale, il tema della sicurezza e della paura è stato così prepotentemente al centro dell’agenda politica ed il suo precipitato mai così presente sul terreno dei diritti e della giurisdizione.

È stato efficacemente detto che i temi della sicurezza, del crimine e della prevenzione sono divenuti paradigmatici della contemporaneità, perché la sicurezza è un manufatto simbolico complesso, composto da temi differenti, ciascuno dei quali viene enfatizzato a seconda del momento storico. I dati statistici attestano, così a livello globale, come nel nostro Paese, che vanno decrescendo i reati violenti e in Italia sono in costante decrescita anche i reati contro il patrimonio e la persona. Ma, paradossalmente, negli ultimi trenta anni, abbiamo assistito ad una progressiva sopravalutazione dei temi del crimine e della sicurezza divenuti ormai centrali nell’offerta politica, nella quale, invece, sono sempre più assenti quei temi che costituiscono le vere emergenze sociali, quali sono lo sviluppo, il sostegno alle famiglie ed alle persone in difficoltà, il lavoro e la sicurezza sul lavoro, il precariato diffuso, la salute delle persone, la sicurezza ambientale, la qualità della vita, la politica della casa, la scuola, etc…

Se ci riflettiamo, fino a qualche decennio fa, la parola “sicurezza” evocava il tema della sicurezza sociale, mentre oggi essa evoca sentimenti di paura e bisogno di protezione cui si risponde non con politiche sociali, ma con nuovi illeciti, nuovi reati, inasprimento delle pene e con la carcerizzazione, cosicchè lo Stato sociale lascia il posto allo Stato penale, che, come la Storia ci insegna, facilmente trasmoda nello Stato etico.

Ora, questa sopravalutazione è l’esito di processi macroeconomici che sono da tempo in atto e che sono la causa di una insicurezza sociale che è reale e diffusa. Nel mondo occidentale, la fine del modello keynesiano e l’affermarsi a partire dagli anni ’80 del Novecento di un modello economico neoliberista ha portato con sé non solo l’erosione del sistema del welfare, ma un diverso progetto di società che ammette e legittima le diseguaglianze e le disparità. Il processo di globalizzazione è intervenuto ad aumentare le diseguaglianze, marcando le disparità, creando nuove povertà e aggravando quelle già esistenti.

Su questa insicurezza reale e diffusa si è strumentalmente alimentato un lavoro culturale che, specie grazie ai suoi portati simbolici fortemente evocativi – lo straniero, il diverso, il deviante, il clandestino, il povero, cui fanno riscontro risposte in termini di riaffermazione della concezione dello stato come “stato nazione”, di sovranismo e del “padroni in casa nostra”, della difesa dei confini e delle frontiere, di una visione di cittadinanza tutta declinata sulla nazionalità - ha prodotto la cosiddetta “insicurezza percepita”, un sentimento assai più pervasivo di quello generato dall’insicurezza reale.

Una “insicurezza percepita” che trova linfa nel sempre più diffuso “hate speach”, in un linguaggio di odio che permea sempre di più le relazioni pubbliche a tutti i livelli, e nel contempo, lo alimenta.

In ciò si riflette una crisi profonda della democrazia rappresentativa, della quale in Italia l’esito del voto del 4 marzo è stato solo l’epilogo. Da tempo è in atto una campagna di delegittimazione dei corpi intermedi - partiti, sindacati, gruppi associati - additati alla opinione pubblica come centri di potere dediti alla cura di interessi particolari contro l’interesse generale.

Noi non siamo esenti. Anzi, stiamo vivendo una nuova stagione di attacco all’associazionismo giudiziario; le gravissime parole pronunciate dal sottosegretario Morrone, in un contesto istituzionale e mentre rivestiva un ruolo istituzionale, non sono che l’ultimo esempio di una mai sopita ed oggi rivitalizzata ostilità verso la magistratura associata e le sue componenti e, in particolare, contro quelle appartenenti all’area progressista.
Anche per questo abbiamo voluto aprire le sessioni di questo pomeriggio con una riflessione sul ruolo che nel contesto attuale devono e possono svolgere associazioni, quali quella dei magistrati e degli avvocati, che non si esauriscono nell’impegno sindacale e corporativo, ma hanno l’ambizione di svolgere un ruolo politico culturale e di essere perciò protagonisti del dibattito pubblico sui temi della giustizia.

Questo processo di disintermediazione investe direttamente il Parlamento, che appare essere sempre meno quel luogo, disegnato dalla Costituzione repubblicana, di confronto e di sintesi tra le diverse opzioni politico-culturali, per assumere sempre più spesso un ruolo notarile di ratifica di decisioni già prese dal Governo o, peggio, in taluni casi, altrove.

La democrazia rappresentativa è sempre più erosa dalla democrazia digitale. Piattaforme, algoritmi e social consentono un contatto diretto tra la persona ed il leader, creando così l’illusione di un nuovo e più autentico circuito democratico. L’illusione, perché l’assenza di intermediazione e, quindi, di luoghi di autentico confronto, unito alla diffusa incultura generale e politica, alla delegittimazione delle Istituzioni, financo delle più alte Istituzioni dello Stato, delle competenze e dei saperi, finisce per alimentare una “politica circolare”, nella quale la sollecitazione a determinate scelte politiche proviene da un’indistinta base, cui si risponde con la demagogia, il populismo, la propaganda, che sono la scorciatoia per ottenere consenso, evitando risposte complesse, e perciò impopolari, a problemi complessi, quali sono quelli che la società contemporanea vive e deve affrontare.
Assistiamo ad una progressiva erosione dei presidi democratici attuata in forme subdole e, proprio perché meno dirette e meno riconoscibili, più pervasive e per questo più pericolose.

L’opzione securitaria porta con sé un progetto ed una visione di società in cui noi magistrati progressisti non possiamo riconoscerci, perché è un progetto che postula una società chiusa, culturalmente monolitica che non accetta il confronto e la relazione con la diversità, che legittima le disparità e penalizza, e criminalizza, la condizione delle persone.

Viviamo una stagione nella quale assistiamo ad un continuo attacco ai diritti fondamentali della persona, alla legittimazione delle diseguaglianze e delle disparità, al tentativo di ribaltare il sistema della gerarchia dei principi e dei valori segnato dalla nostra Costituzione, messo in atto da una politica che fatica a riconoscere l’universalità dei diritti fondamentali e del principio di eguaglianza tra le persone, vive con fastidio la cogenza degli obblighi che derivano dagli impegni e dai vincoli sovranazionali ed internazionali.

La vicenda della nave Diciotti costituisce un caso emblematico, che speriamo resti un unicum nella storia del nostro Paese. L’eventuale insussistenza di reato, quando così fosse, nulla toglie alla grave violazione dei diritti umani che in essa si è consumata.

Essa, però, è stata anche la spia di un modo inedito di concepire i rapporti tra lo Stato e la persona, nel quale la salute e la sicurezza del persone divengono un bene negoziabile fino ad essere messe a rischio in funzione di un certo risultato politico che il governo persegue. E perciò rappresenta un segnale che ci turba e ci preoccupa fortemente.

Come ci preoccupano: il disegno di legge Pillon con la sua impostazione adultocentrica, le annunciate riforme sulle unioni civili, gli attacchi alla legge 194, il persistente silenzio sul fine vita, gli interventi nel diritto minorile (annunciati nel cosiddetto “contratto di governo”) che prevedono addirittura l’abbassamento dell’età imputabile e l’abolizione dello statuto del giovane-adulto, la spinta sempre più marcata verso la carcerizzazione.

E non appare casuale, proprio perché espressione dell’impostazione securitaria, che i primi atti dell’Esecutivo siano stati l’intervento di riforma della legittima difesa e l’approvazione del decreto legge sicurezza. La riforma della legittima difesa, in collegamento con le recenti aperture in materia di commercio e acquisto di armi, non solo costituisce una tipica legge “manifesto” che risponde all’esigenza demagogica di dare una risposta all’insicurezza percepita, ma finisce col creare insicurezza reale.

Quanto al decreto sicurezza, si tratta di un autentico vaso di Pandora in cui è confluito di tutto, ma che suona principalmente come una “legge manifesto” contro i poveri, gli emarginati e gli immigrati. Con esso, infatti, tra le altre cose: si reintroduce il reato di accattonaggio, nonostante la declaratoria nel 1999 di incostituzionalità dell’analoga norma contenuta nel codice Rocco; si indica come priorità lo sgombero degli immobili occupati, pur in assenza di una reale urgenza e di piani di collocamento abitativo; si raddoppiano i tempi di permanenza dei migranti nei centri per il rimpatrio, si riduce drasticamente l’intero sistema di accoglienza e integrazione: l’eliminazione della protezione umanitaria prevista dal decreto ha l’effetto di ridurre drasticamente la platea dei migranti ammessi al sistema di accoglienza e di integrazione, con la conseguente marginalizzazione di fasce crescenti di migranti che vengono così sospinti verso l’illegalità.

In questo modo si dà una risposta ideologica all’insicurezza percepita, mentre si aggrava l’insicurezza reale che è quella delle persone migranti prive di protezione e degli stessi cittadini, giacchè la marginalità è il terreno su cui più facilmente matura l’illegalità e la devianza sociale.

Di fronte al fenomeno delle migrazioni e delle mobilitazioni di massa (che è sistemico e globale – basta pensare che in questo momento un numero enorme di persone è in movimento nel mondo: una persona su ogni 122 delle persone che compongono la popolazione mondiale è un migrante – e non destinato ad esaurirsi né nel breve, né nel lungo periodo perché è una caratteristica della storia umana) si attivano i sistemi penali, si chiudono le frontiere, si alzano i muri e si limita il soccorso in mare. In una: si mettono in campo misure che alla disumanità sommano l’inefficacia, perché nulla risolvono.

La pretesa di gestire il fenomeno migratorio con politiche nazionali di controllo delle frontiere è velleitaria e fallimentare. Perché ad un problema strutturale occorre dare risposte sistemiche e globali, quali dovrebbe dare l’Europa e quali, ad esempio, da ultimo, sta tentando di dare l’ONU con il Compact Global; dal quale, invece, secondo notizie di stampa, vorrebbe sfilarsi il nostro governo.

Sotto altro profilo, dobbiamo sempre più confrontarci con una politica fatta di continui lanci di nuove e risolutive leggi, di comunicati stampa in cui si annuncia l’imminente approvazione di riforme epocali sul processo, nonché di leggi “spot” e di “leggi manifesto” che hanno caratterizzato questo avvio di legislatura.

A questi temi - persona, famiglia, immigrazione, lavoro, sicurezza sociale, ambiente, carcere - che sono solo alcune delle urgenze su cui il nostro tempo ci chiama a lavorare, abbiamo voluto dedicare la terza sessione dei lavori di questo pomeriggio. Abbiamo chiesto ai nostri relatori, tutti scelti per le loro specifiche competenze, di individuare i nodi centrali ed indicare i temi e le questioni sui quali il gruppo nei prossimi mesi dovrà impegnarsi.

Ora, è chiaro a tutti che per la magistratura costituzionale il quadro di riferimento è e resta, al di là di ogni contingenza, quello costituzionale e sovranazionale e che il ruolo cui il magistrato è chiamato è quello di inverare, nel concreto esercizio della giurisdizione come nella società civile, tali valori e attuare la funzione promozionale dei diritti. Noi sappiamo che il compito del magistrato è stare dalla parte dei diritti e dei sottoprotetti. Ma declinando tale ruolo nella contemporaneità, di fronte ad un contesto politico generale che pone continue sollecitazioni all’intervento pubblico, occorre affrontare con molta serietà la questione su quale debba essere la linea di una magistratura costituzionale vocata al dibattito pubblico ed al confronto con la politica e la società civile su tutti i temi che riguardano i diritti e la giustizia.

Ci pare che la risposta all’interrogativo risieda nel fondamento costituzionale della nostra legittimazione, la quale è nella nostra indipendenza, autonomia ed imparzialità. Nell’essere, cioè, parte di un potere separato dagli altri poteri dello Stato, un corpo dotato di alte competenze tecniche che vengono poste al servizio della società, dell’interesse generale e del bene comune.

Posizione che va salvaguardata non solo nel concreto esercizio della giurisdizione, ma anche nella nostra presenza e partecipazione nel dibattito pubblico, nel quale dobbiamo far attenzione a non agire come soggetto politico generale, come contraddittori o controparte politica, pena la perdita di credibilità ed autorevolezza, ma essere ed agire come gruppo di magistrati che, latori ed espressione di un chiaro orientamento politico-culturale, forniscono alla società ed al dibattito pubblico un qualificato contributo tecnico giuridico di conoscenza e informazione; attraverso il quale il giudizio espresso, anche quando critico, proprio perché tecnicamente argomentato, finisce con l’essere sovente in concreto assai più pregnante e persuasivo, talvolta persino assai più radicale, della mera opinione.

Questa è stata la linea che il coordinamento, in questo particolare contesto, ha scelto di seguire. E lo ha fatto scientemente e attentamente ponderando in chiave strategica di volta in volta non solo i contenuti, ma anche le modalità e i tempi del proprio intervento e gli obiettivi da perseguire, avendo ben presente che AreaDG è parte dell’ANM e sostiene convintamente l’unità associativa, che AreaDG ha i suoi rappresentanti eletti nell’autogoverno centrale e locale, e che noi magistrati di AreaDG facciamo parte del corpo della magistratura, di talchè non possiamo non tener conto e non farci carico della contingenza data dall’eventuale pendenza di un procedimento penale rispetto al quale un intervento pubblico di un gruppo della magistratura associata può porre questioni di opportunità sul piano dei contenuti e della tempistica.

Di queste situazioni il coordinamento e le altre dirigenze del gruppo, conformemente alla vocazione di AreaDG ad essere gruppo di governo della magistratura, si sono sempre fatti carico, specie in questi ultimi non facili mesi. Nei quali abbiamo lavorato tutti per far sentire e apprezzare la nostra voce all’interno ed all’esterno della magistratura su tutti i temi politicamente sensibili che si sono via via presentati, anche variando l’offerta comunicativa, affiancando ai tradizionali comunicati politici sulle liste, comunicati stampa, documenti di approfondimento, interviste, interventi e contributi di vario genere, che da un lato, hanno arricchito l’offerta politico culturale resa dal gruppo, dall’altra hanno teso a rafforzare la soggettività politica e l’immagine esterna di esso. Immagine esterna, sulla quale, ne siamo consapevoli, c’è ancora molto da lavorare. Nella consapevolezza della necessità di un forte impegno per costruire l’immagine esterna del gruppo e del ruolo strategico della comunicazione, da diversi mesi abbiamo costituito l’ufficio comunicazione di cui sono parte Lucia Vignale, Giuseppe De Gregorio e Giorgio Falcone, ma di recente abbiamo acquisito la stabile collaborazione della dottoressa Marzia Bonacci, giornalista nostra addetta stampa, che ci ha accompagnato nella campagna elettorale ed ora prosegue la sua collaborazione con noi. Abbiamo un gruppo di lavoro generoso ed affiatato che costituisce una risorsa preziosa per AreaDG, che può contare sulla grande professionalità del nostro webmaster Paolo Sparaci che ha costruito il nostro bellissimo sito web e lo cura; a lui voglio esprimere, a nome del gruppo, l’apprezzamento per tutto quanto ha fatto e fa per noi e la nostra profonda gratitudine.

Ma appare evidente che prima ancora del nostro approccio nella comunicazione, si pone il problema dei contenuti e della elaborazione di una linea politica condivisa all’interno del gruppo.

Il recente passaggio sulla prescrizione ha fatto emergere due dati, uno di segno positivo per il gruppo, uno negativo.

Un segno positivo è che il dibattito interno ha evidenziato una grande vivacità ed una diffusa partecipazione; riflesso di quel patrimonio di risorse umane ed intellettuali su cui il nostro gruppo può contare. Questo ha consentito al coordinamento di elaborare, anticipandola pubblicamente, una posizione di equilibrio sulla quale si è poi compattata la GEC dell’ANM e di risolvere così, con un saldo positivo per il nostro gruppo, un passaggio difficile.

Ma è anche emerso un dato negativo e cioè che sulla prescrizione non esiste una linea comune e condivisa. E non è solo un problema di AreaDG, perché la stessa situazione la registriamo anche nel dibattito interno ai gruppi fondatori.

La realtà è che su questo tema, come sul processo penale, sul processo civile e tanti altri temi che attengono alla giurisdizione, è deficitaria la nostra capacità di elaborazione collettiva.

Ed allora è da essa che dobbiamo ripartire, sul versante della giurisdizione e su quello ordinamentale.

A questo fine il Coordinamento nazionale ritiene ineludibile l’avvio dei gruppi di lavoro; gruppi che auspichiamo non solo partecipati, ma comuni: riteniamo che sarebbe assai poco produttivo costituire separati tavoli di lavoro in AreaDG e all’interno dei gruppi fondatori e che sarebbe, invece, assai più vantaggioso per i risultati complessivi lavorare tutti insieme. Anche perché l’esperienza ci ha insegnato che laddove questo è avvenuto, dalle dirigenze alle rappresentanze associative, lavorare insieme è stata la maniera migliore per costruire e rafforzare AreaDG, perché questo ha consentito di stabilire relazioni, creare fiducia e spesso amicizia tra le persone.

Abbiamo già avviato due gruppi di lavoro:

1) Gruppo Riforma legge elettorale e rappresentanza di genere;

2) Carichi esigibili e condizioni di lavoro.

Abbiamo promosso la costituzione di due ulteriori gruppi, uno penale e l’altro civile, da organizzare secondo sottogruppi. Nei prossimi giorni passeremo alla fase operativa raccogliendo le adesioni e stilando un calendario di lavoro.

L’obiettivo è quello, ad esito del confronto, di elaborare delle proposte da sottoporre alla discussione nell’ambito di iniziative seminariali nazionali, per arrivare pronti, con un pacchetto di proposte condivise all’interno del gruppo e quindi con una nostra linea, -all’appuntamento sugli Stati Generali del processo penale e civile che l’ANM ha chiesto.

A questo affianchiamo un lavoro sull’ordinamento giudiziario che ha in concreto preso avvio, con la prima riunione tenutasi qualche giorno fa, tra la nostra componente in CSM ed il Consiglieri giudiziari eletti nelle liste di AreaDG o da noi sostenute. È stato un momento partecipato, che ha registrato la presenza di quasi tutti i distretti, ad esito del quale si è varato l’avvio di gruppi di lavoro. Anche in questo caso con l’obiettivo di organizzare, ad ormai oltre dieci anni, in verità dodici, un confronto collettivo sui temi ordinamentali, dalle valutazioni di professionalità, alle conferme, alla dirigenza, alla mobilità, all’accesso.

Intendiamo poi proseguire con l’offerta culturale, sia attraverso il sostegno alle molte e interessanti iniziative locali (da AreaDG Roma, alla Calabria, alle Marche, alla Sicilia, sono molte e tutte di livello, sia attraverso alcune iniziative del Coordinamento). Una di queste si terrà a Milano il 14 dicembre p.v., si tratta di un convegno organizzato in collaborazione con AreaDG Milano, che pubblicizzeremo all’inizio della settimana prossima, dal titolo: “Dalle leggi razziali all’aggravante dell’odio razziale”.

Seguirà poi l’organizzazione di alcune altre iniziative sul tema della crisi della democrazia rappresentativa che intendiamo portare al prossimo congresso: il secondo di AreaDG.

L’anno decorso dalla precedente assemblea generale ci ha visto tutti fortemente impegnati nella campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio Superiore. All’esito del voto abbiamo dedicato diversi momenti di riflessione: nella discussione interna al Coordinamento, che ha elaborato un proprio documento, nel partecipato dibattito che ha animato l’Assemblea dei referenti allargata agli eletti al CSM ed al CDC del settembre scorso e, ora, a questo passaggio, abbiamo ritenuto doveroso dedicare spazio nel dibattito assembleare della giornata di domani. Io non intendo soffermarmi, rinviando a quanto dirà in apertura del dibattito assembleare Claudio Castelli .

Siamo certi che anche da questo momento di confronto collettivo il gruppo saprà trarre costrutto con sguardo prospettico, per ripartire dagli errori (per emendarli ove possibile e comunque per non reiterarli), ma anche da quel che di buono e positivo abbiamo in vista, dal molto che ancora dobbiamo fare.

La nostra componente eletta al CSM, pur numericamente ridotta rispetto alla scorsa tornata, sta trovando forza nella sua coesione interna ed in un forte senso di appartenenza al gruppo; questo ha consentito ai nostri consiglieri di agire come una squadra e di impegnarsi, fin dall’avvio della consiliatura, a dare attuazione al quel programma che tutto il gruppo di AreaDG ha condiviso e nel quale tutti ci siamo riconosciuti. Ad iniziare da quella richiesta di informazione e di trasparenza così largamente condivisa nella magistratura. La vicenda del “Diario dal Consiglio “ è stata emblematica, perché non solo con essa abbiamo dato avvio all’attuazione di un preciso impegno del programma, ma abbiamo innescato un processo virtuoso che ha in qualche modo costretto anche gli altri gruppi a svolgere analoga attività.

Ma se il gruppo consiliare è compatto e agisce come un sol uomo in sintonia con le altre dirigenze, esso deve fare i conti con l’essere gruppo di minoranza, con tutto ciò che questo comporta nell’autogoverno. Ci è sembrato perciò necessario aprire su questo terreno un confronto con il gruppo, affinchè le strategie che verranno messe a punto siano conosciute e, soprattutto, comprese e a ciò abbiamo voluto dedicare la seconda sessione dei lavori.

Si sono tenuti di recente due eventi importanti per il nostro gruppo.

Di uno si è già detto, è stato l’incontro tra CSM e Consiglieri giudiziari.

L’altro è stato l’Assemblea dei referenti locali allargata agli eletti al CDC ed al CSM tenutasi qui a Roma nello scorso settembre; anche in questo caso la partecipazione è stata ampia, erano presenti i rappresentanti di diciotto distretti.

Si è trattato di un momento molto bello e partecipato di confronto e di discussione che ha fatto emergere l’esistenza, anche a livello territoriale, di una rete vitale e vivace, della quale fanno ormai parte molti giovani, che rappresentano per noi la parte più preziosa, perché sono il futuro di AreaDG e della magistratura costituzionale. E proprio con i giovani abbiamo avviato una interlocuzione per la costituzione del gruppo AreaGiovaniMagistrati, con l’obiettivo di guardare alla magistratura giovane per comprenderne i bisogni, le esigenze,le difficoltà e nel contempo per realizzare un loro diretto coinvolgimento in una serie di iniziative che avvieremo nei prossimi mesi anche in preparazione del Congresso.

Costante è la collaborazione tra il Coordinamento e la componente eletta in CDC, attraverso una interlocuzione continua che consente la condivisione dei processi decisionali all’interno dell’ANM e della GEC. La recente approvazione da parte dell’ANM delle proposte di riforma del processo penale rende necessario uno sforzo di tutto il gruppo: da un lato, per elaborare collettivamente proposte condivise; dall’altro per articolare meglio la nostra posizione nel dibattito interno ed esterno alla magistratura e far emergere così il nostro specifico anche su questi temi.

Dunque, nelle istituzioni e nella realtà associativa, a livello locale e centrale, siamo e restituiamo l’immagine di un gruppo che ha acquisito una sua propria soggettività politica, ha ormai una sua consolidata struttura organizzativa ed una stabile ed efficiente articolazione territoriale. E AreaDG si è confermata anche in queste elezioni, pur con la dolorosa e bruciante perdita del seggio di legittimità, ancora come il secondo gruppo della magistratura associata che rappresenta ed è punto di riferimento di un terzo della magistratura e aspira ad essere forza di governo nella magistratura per dare attuazione ai principi espressi nella Carta dei valori. E v’è un dato emerso dalle elezioni sul quale occorre portare uno sguardo lungimirante, che è nella mancata affermazione del gruppo di A&I come gruppo politico; questo dato ci apre prospettive rispetto al governo dell’associazione e del Consiglio, a condizione di saper cogliere le opportunità che gli scenari futuri potrebbero offrire;

a condizione di saper agire, tutti, per fare di AreaDG ciò che vorremmo che fosse, con la responsabilità che il momento e gli obiettivi che ci siamo dati ci impongono

Ci pare che le tensioni nei rapporti tra i gruppi fondatori che hanno preceduto questa assemblea vadano invece nella direzione opposta.

Siamo consapevoli che questi passaggi non vanno certo drammatizzati, ma ci legittimano a rappresentare con chiarezza quello che è il punto di vista, lo specifico di AreaDG.

Ora noi non poniamo steccati, non facciamo controlli alle frontiere, perché siamo nati come un gruppo plurale e pluralista, come un soggetto inclusivo e questa natura vogliamo conservare. AreaDG, infatti, non accetta chiusure e settarismi, non crede alla purezza del DNA, perché il DNA migliore è quello che nasce dalle commistioni, crede invece che solo attraverso il confronto, la discussione ed il lavoro comune si possa costruire una magistratura costituzionale forte. Che è ciò di cui la magistratura ed il Paese hanno sommamente bisogno.

Ma se AreaDG è un soggetto inclusivo, questo non vuol dire che sia un porto di mare, un pullman che si prende per collocarsi in posizioni di vantaggio per poi abbandonarla al suo destino quando non serve più. Nessuno può sentirsi legittimato a considerare AreaDG la Bad Company della magistratura progressista, per cui quando le cose vanno bene è merito di tutti, quando vanno male è colpa di AreaDG.

AreaDG ha ormai percorso una strada che non consente più a nessuno di tornare indietro, se non a pena di pagare un costo altissimo. E di pagarlo tutti. L’alternativa è quella di riprodurre quelle pratiche divisive che la sinistra italiana ha ormai fatto sue, che conducono prima a dividersi e non sui principi e sulle politiche, ma sulla gestione del potere, poi a fare l’opposizione dell’opposizione, fino a scomparire perfino come opposizione.

L’unità in un gruppo come AreaDG si costruisce con la consapevolezza della propria natura plurale e con il rispetto del pluralismo e di ciò che esso comporta; accettando quindi anche l’idea che possano esservi voci dissonanti o critiche.

Ma il rispetto della pluralità e del pluralismo non possono andare disgiunte dalla assunzione piena, da parte di tutti, della responsabilità rispetto alle scelte che il gruppo fa ed alle linee che il gruppo si dà, così nell’autogoverno, come nell’associazione e nell’intervento pubblico. La assunzione di responsabilità ci richiede un lavoro più oneroso, che è quello della partecipazione ai luoghi della discussione e del confronto, la condivisione delle rispettive strategie e programmi, richiede lo sforzo e la fatica della ricerca di una sintesi che ci consenta ogni qualvolta sia possibile, di essere una voce sola.

Crediamo fermamente nella crescita di AreaDG, sia come peso politico all’interno della magistratura sia come proposta culturale, e questo del resto è nel segno di quel progetto lungimirante che i nostri gruppi fondatori hanno cominciato diversi anni fa mettendo in gioco rendite di posizione e identità consolidate. Un progetto lungimirante che puntava sull’aggregazione, sulla contaminazione, sull’arricchimento culturale come conquista che viene dal confronto di posizioni ed esperienze diverse. Progetto che oggi dobbiamo continuare e che ci fa vedere le fibrillazioni che ci sono state nell’ultimo periodo come secondarie e parte del processo di crescita che AreaDG continua ad avere. Solo se saremo capaci con la nostra iniziativa politica di soddisfare le esigenze dei nostri molto variegati aderenti e di coprire uno spazio culturale politico enorme che la soluzione difficilissima che viviamo, in cui conquiste che ritenevamo scontate vengono rimesse in discussione, ci apre, le attuali difficoltà verranno facilmente superate.

Abbiamo enormi spazi ed un grande futuro, ma per guadagnarcelo abbiamo bisogno dell’apporto di tutti. Dipende solo da noi.

Prima di chiudere consentitemi di ringraziare il mio coordinamento, il Presidente Maurizio Carbone e i componenti Claudio Castelli, Donatella Salari, Marco Gianoglio, Morena Plazzi, Stefania Starace per l’impegnativo lavoro svolto in questo anno a favore del gruppo e per il sostegno dato alla mia Segreteria.

Dichiaro aperta la assemblea generale di AreaDG 2018 e auguro un buon lavoro a tutti noi.

 

Approvato all’unanimità
Roma, 24 novembre 2018