In ricordo di Salvatore Senese

Intervento di Giuseppe Cascini nel plenum del CSM del 18 giugno 2019

Da ieri Salvatore Senese non è più tra noi.

Entrato in magistratura nel 1961 fu tra i fondatori di Magistratura Democratica, di cui fu anche Segretario generale.

Fu Segretario generale della Associazione Nazionale Magistrati alla fine degli anni Settanta, nel periodo più drammatico della violenza terroristica, e in quel ruolo contribuì ad affermare quella linea di fermezza e rigore, ma nel pieno rispetto della legalità e dei diritti fondamentali, che ha positivamente caratterizzato la risposta italiana al terrore.

Dal 1981 al 1985 fu componente del Consiglio Superiore della Magistratura, una consiliatura, ne ho parlato qualche giorno fa, che affrontò, anche grazie a lui, con esemplare rigore la vicenda del coinvolgimento di magistrati nella loggia massonica P2.

Dal 1992 al 2001 fu prima deputato poi senatore, eletto come indipendente nelle liste del Partito Democratico di Sinistra.

Erano altri tempi e ben  altri erano i criteri di selezione.

Terminò la sua carriera di magistrato nel 2010 come Presidente di Sezione della Corte di Cassazione.

Da sempre impegnato sul tema della tutela dei diritti umani fu tra i fondatori del Tribunale Permanente dei Popoli, del quale fu per anni Presidente.

Uomo di vastissima cultura, giurista raffinato e profondo,  Salvatore ha contribuito con i suoi scritti, i suoi interventi, le sue riflessioni, i suoi provvedimenti a formare la cultura giuridica costituzionale del secondo dopo-guerra.

In particolare, sui temi a lui più cari: il ruolo costituzionale del giudice e  il rapporto tra il giudice, la legge e i principi costituzionali nella teoria dell’interpretazione; il garantismo penale; il carattere universale dei diritti fondamentali; il ruolo dell’associazionismo della magistratura.

La sua acutissima intelligenza, la sua tagliente ironia, la sua sobrietà, il suo rigore morale hanno fatto di lui un modello per generazioni di magistrati.

Salvatore Senese è stato la testimonianza vivente della possibilità di un rapporto sano, proficuo, fecondo tra magistratura e politica.

Come magistrato non ha mai fatto mistero della sua dimensione pienamente politica, con la quale si è sempre confrontato in quel bisogno estremo di razionalizzazione che tanto lo caratterizzava.

In Parlamento ha portato con sé il profondo senso delle istituzioni, la cultura della legalità e delle garanzie. La sua relazione al Senato al disegno di legge per l’abolizione della pena dell’ergastolo, per fare solo un esempio, è una delle pagine più alte della storia del parlamento italiano.

Se solo confronto le tante serate passate con lui e con gli altri amici a…parlare di nubi, a discutere di massimi sistemi, di diritti universali, di principi, di valori, con i conciliaboli triviali di cui leggo sui giornali in questi giorni, mi prende una grande amarezza e un grande sconforto.

È andato via un gigante, tanto più grande in questa epoca di nani.

Al mio rapporto con lui io devo moltissimo. Ma l’insegnamento più grande che porterò sempre con me mi viene dall'esempio del suo rigore morale, della sua intransigenza, della sua estrema coerenza.

La sua scomparsa oggi, in un momento così buio per l’Istituzione alla quale egli ha dedicato tutta la sua vita professionale, assume un significato simbolico. Ma, come lui stesso amava dire citando Brecht, gli indispensabili sono solo quelli che non si arrendono mai e dunque anche per lui abbiamo il dovere di non arrenderci.

18 giugno 2019