Ricordo di Vittorio Bachelet

Intervento di Alessandra Dal Moro, in apertura del plenum del CSM del 13 febbraio 2019

Vittorio Bachelet venne ucciso il 12 febbraio 1980 dalle Brigate Rosse.

Era professore di diritto amministrativo nella facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, impegnato nel sociale e nella politica, nell’Azione cattolica prima e nella Democrazia Cristiana successivamente.

All’epoca dell’omicidio era stato eletto al CSM e ne era Vice Presidente.

Ricordare quest’uomo, come ha vissuto, ma anche come ne è stata accompagnata la morte è, per tante ragioni, ancora oggi motivo di importanti riflessioni.

In quella stagione di follia rivoluzionaria Bachelet venne ucciso in quanto Vicepresidente del CSM, autorità di riferimento dell’intero sistema giudiziario, che le BR colpivano proprio nei suoi uomini più capaci di legittimare, attraverso la lealtà e l’efficacia del loro lavoro, quell’assetto democratico costituzionale che volevano scardinare: di quegli anni 77, 78,79 prima di Bachelet gli omicidi dei giudici Coco e Occorsio, Croce, Palma, Tartaglione, Calvosa, Alessandrini.

In un’epoca difficile e complessa, che rifletteva drammatiche contraddizioni e tensioni sociali, Bachelet, cristiano autentico, mite e coraggioso e nel contempo cittadino laico con un profondo senso della comunità e dello Stato, era convinto che per battere il terrorismo occorresse difendere il normale corso della vita del Paese, respingendo la tentazione di misure eccezionali e di derive autoritarie, perchè la democrazia per essere salvata doveva restare se stessa, e smentire, così, il modo di pensare ed agire dei terroristi.

Ad onorare la normalità dei doveri civili della vita quotidiana - accettandone i rischi e pagando costi angosciosi - furono tanti in quegli anni: insieme a Bachelet caddero vittime tra i magistrati, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato.

Ho riletto il ricordo che Virginio Rognoni allora Vice Presidente del CSM, fece di Bachelet in occasione del 25° anniversario della sua scomparsa.

Scrive Rognoni “Il suo profondo senso dello Stato lo porta al rispetto assoluto dell’altro, al dialogo paziente, con l’aggiunta che la sua fede religiosa, intensamente vissuta, gli consente di presentarsi a tutti sempre con grande serenità quasi per un costante atto di naturale amicizia…, doti che gli permettono, in un momento drammatico per il paese e più direttamente per la magistratura di operare con successo per l’unità sostanziale del Consiglio, pur nella dialettica anche agguerrita che si viveva”, per il contesto esterno, ma anche “perchè il nuovo sistema elettorale proporzionale aveva esaltato l’articolazione associativa dei magistrati e la pluralità delle varie posizioni, pluralità che era vista come ricchezza e non come intralcio, ricchezza che forse rendeva più faticosa la ricerca di utili convergenze ma certamente più appagante e persuasiva la sintesi”.

Nel discorso che Bachelet pronunciò nella seduta consiliare del 17 luglio 1978 per salutare l’elezione di Sandro Pertini Presidente della Repubblica parlò del CSM, definendolo “uno di quei delicati strumenti costituzionali di autonomia e collegamento che sono essenziali per un equilibrato e libero sviluppo delle istituzioni democratiche … un’autonomia che garantisca sempre meglio l’indipendenza e quindi l’imparzialità dei giudici… un collegamento con la società e con altre istituzioni dello Stato che consenta all’ordine giudiziario di rispondere meglio all’antica e nuova domanda di giustizia”.

Un giudizio che risulta ancora attuale in quanto esprime l’attenzione ed insieme la preoccupazione di Bachelet per la salvaguardia della funzione della magistratura stante la sua centralità nel circuito istituzionale quale garanzia di tutela dei diritti e di affermazione della legalità.

La testimonianza di una vita autenticamente cristiana calata nell’esperienza di una cittadinanza laica, fedele al senso della comunità e dello Stato, si riflette anche al momento delle esequie, che colpirono fortemente tutti per la compostezza, pacatezza e la serenità con cui si espresse il dolore certamente straziante della famiglia. Soprattutto colpirono le parole del figlio Giovanni, che volle pregare “anche per quelli che hanno colpito il mio papà perchè, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.

Parole che risuonarono tre anni dopo in una lettera che 18 terroristi, detenuti, scrissero al fratello maggiore di Vittorio, padre Adolfo Bachelet: “ ….Ricordiamo bene le parole di suo nipote durante i funerali del padre. Oggi quelle parole tornano a noi, e ci riportano là a quella cerimonia dove la vita ha trionfato sulla morte e dove noi siamo stati davvero sconfitti nel modo più fermo ed irrevocabile”

A testimonianza del fatto che la morte di un uomo può essere davvero una resurrezione, si sia o non si sia credenti, nel senso di un’affermazione irrevocabile dei valori per cui una vita è stata vissuta.

13 febbraio 2019