Questioni interpretative e prospettive di riforma dell’istituto dell’art. 2 legge guarentigie

di Lucio Aschettino
Consigliere CSM

L'istituto dell’incompatibilità ambientale previsto dall'art 2 legge guarentigie  è tornato improvvisamente ad occupare le mail list della ANM.

L'occasione è stata offerta, almeno apparentemente, dell'avvio in sede consiliare di una riflessione più ampia sulla natura e sulla portata dell'istituto con particolare riferimento al rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento amministrativo. 

Attualmente la prima e la sesta commissione sono impegnate in sedute comuni per valutare se e in che termini presentare una proposta di modifica normativa.

Il punto di partenza dell’elaborazione del CSM è risoluzione del 13 settembre 2016 che si esprimeva in maniera sostanzialmente positiva sulla previsione contenuta nel progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario predisposto dalla commissione ministeriale presieduta dall'on. Vietti proponendo un allargamento delle ipotesi di applicabilità del trasferimento di ufficio da parte del CSM.

Del resto si tratta di un orientamento del Consiglio coerente e stabile nel tempo se solo si pensa che già nella risoluzione del 24 gennaio 2007 e dunque nell’immediatezza della entrata in vigore della riforma dell'ordinamento giudiziario si sottolineava come "l'esperienza del primo periodo di applicazione della nuova disciplina ha dimostrato che il ridimensionamento dei poteri di ufficio del consiglio priva di fatto, l'autogoverno di strumenti incisivi proprio nelle situazioni più delicate e nelle zone grigie il cui permanere mina la credibilità della magistratura tenuto anche conto che tale esigenza non è perseguita dalle nuove disposizioni relative alle misure cautelari in sede disciplinare....".

In effetti questa affermazione può ritenersi riscontrata dalla circostanza che poche e troppo spesso tardive sono state le iniziative assunte in sede disciplinare orientate a richiedere in via di urgenza l’adozione della misura cautelare del trasferimento di ufficio creando grave sconcerto nell’opinione pubblica.

In definitiva il Consiglio ha sempre, o almeno da quando la sua composizione è divenuta davvero pluralista ed espressione di tutta la magistratura, tentato di recuperare spazi d’intervento a tutela della effettiva indipendenza e della piena legittimazione della funzione giurisdizionale opponendosi al tentativo, strisciante ma costante del tempo, di sottrarre all’organo di autogoverno tale potere per rimettere alla esclusiva iniziativa del Procuratore generale e del Ministro il potere di disporre il trasferimento "coattivo" dei magistrati. 

In tale prospettiva non può certo stupire che nel discorso alle Camere del 26 luglio 1990 l'allora Presidente della repubblica Francesco Cossiga sottolineò con forza la illegittimità dell'Istituto e che lo stesso Presidente Cossiga, come ha ricordato di recente da Bruti Liberati in un articolo pubblicato di recente su Questione Giustizia, costituì una commissione presieduta dal Presidente Paladin con il compito : « di accertare attraverso l’analisi dell’attività compiuta dal Consiglio superiore della magistratura, quali attribuzioni e attività il Consiglio abbia esercitato, individuando sulla base di quali norme e principi generali, consuetudinari o prassi interpretative o modificative».

Le proposte di riforma contenute nella Relazione Paladin, che tendevano a ricondurre il trasferimento d’ufficio nell’ambito del sistema disciplinare, non ebbero alcun seguito ma furono, mi verrebbe da dire ovviamente, riprese dal Ministro Castelli che nel chiaro intento di "normalizzare" la magistratura intese, tra le altre discutibili modifiche, limitare fortemente l'istituto nel chiaro intento di privare il Consiglio di uno dei suoi poteri più incisivi per garantire sostanza e apparenza della giurisdizione imparziale.

È opinione diffusa che la riforma dell'istituto conseguente alla novella introdotta dal D.lgs 23 febbraio 2006 n. 109 ha ridotto la portata e la possibilità di intervento del Consiglio. Essa infatti, ha previsto che si possa intervenire in tutti i casi in cui il magistrato non può esercitare le proprie funzione "con piena indipendenza ed imparzialità" locuzione che ha sostituito quella di "prestigio dell'ordine giudiziario" ma soprattutto la novella ha soppresso l'inciso "anche" prima del termine incolpevole facendo riferimento alla condotta del magistrato, in ragione di tale ultima modifica sembrerebbe che oggi si possa  intervenire solo nei casi di condotte incolpevoli. 

Ma c'è da chiedersi se, alla luce delle iniziative consiliari confortate almeno in parte dalla giurisprudenza amministrativa, le cose stiano proprio così se cioè in questi anni abbiamo assistito ad un ridimensionamento del potere di intervento del CSM?

Per quanto concerne il primo punto quello cioè relativo al concetto di “esercizio indipendente e imparziale della giurisdizione” mi sembra di poter affermare che la nuova dizione dell'articolo 2 ha di fatto recepito quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 100 del 1981 con riferimento al parametro per valutare l'incompatibilità riprendendo quelli che possiamo considerare gli approdi giurisprudenziali raggiunti dal consiglio e dalla S.C. sul punto. In particolare il legislatore ha ribadito che l'istituto, lungi dal costituire una sanzione, rappresenta un ulteriore strumento che, come avviene per il principio di inamovibilità, è funzionale a garantire l'esercizio indipendente della giurisdizione nel senso che il diritto del magistrato alla inamovibilità, funzionale a garantirne l'indipendenza, viene meno solo allorquando il permanere del magistrato in una determinata sede costituisca esso stesso un attentato all'indipendente esercizio della giurisdizione. In altri termini, come osservato dal Consiglio di Stato già nella fase immediatamente successiva alla novella del 2006 (cfr. Cons di Stato Sez VI 29 gennaio 2008 nor. 259), il trasferimento ex art 2 legge guarentigie non presenta carattere sanzionatorio ma ripristina una situazione alterata a seguito di un comportamento incolpevole.

La circostanza che il trasferimento di ufficio non costituisce una sanzione implica anche che esso prescinde necessariamente dall'accertamento della colpa e dunque che presuppone  solo l'obbligo per il CSM  di verificare il dato oggettivo della presenza delle condizioni di fatto necessarie per esercitare in maniera indipendente e imparziale la funzione, verifica questa che riguarda anche il profilo relativo alla apparente mancanza di tali condizioni come del resto pacificamente affermato da tempo dal giudice amministrativo (cfr. Consiglio di stato sez 6 24 luglio 2000). 

Su questa linea il Consiglio si era in parte già collocato invero, con la risoluzione del 2007 già citata, ebbe a precisare che l'iniziativa dell'organo di autogoverno può sicuramente trovare applicazione con riferimento a condotte volontarie ferma restando l'impossibilità di procedere quando i fatti integrino anche una violazione disciplinare.

Al superamento del mero dato letterale che vorrebbe il trasferimento ambientale possibile solo in caso di condotte non colpevoli del magistrato si perviene considerando che l'accertamento finalizzato a verificare se il magistrato possa esercitare la sua funzione "con piena indipendenza e imparzialità" come prescrive la norma è un accertamento che opera su un piano completamente diverso da quello disciplinare perché non è orientato a verificare l'esistenza di una responsabilità e dunque l'esistenza di un profilo soggettivo riconducibile al dolo o alla colpa il che naturalmente non vuol dire che il comportamento del magistrato (che ha dato vita a quella situazione di appannamento della immagine che ha realmente o sotto il profilo della apparenza messo a rischio l'esercizio indipendente della funzione) non possa essere anche volontario.

Questo orientamento, che sicuramente è riscontrato dalla casistica del CSM con riferimento alle ipotesi di apertura delle procedure di articolo 2 anche di questa consiliatura, sembra incontrare il conforto della giurisprudenza amministrativa che ormai in diverse pronunce dà per scontato la possibile volontarietà della condotta rilevante.

Ciò nondimeno nella quasi totalità dei casi la difesa degli interessati è orientate ad escludere la colpa  ovvero a confutare il profilo della responsabilità del magistrato e non la sua idoneità a svolgere le funzioni in maniera indipendente e imparziale. In questo atteggiamento si rinviene, a mio sommesso avviso, ma su questo versante incontro anche il conforto della opinione espressa dal prof. Silvestri in uno scritto di qualche anno fa, la maniera  distorta in cui buona parte della magistratura intende le guarentigie poste a tutela della indipendenza e della imparzialità dell'ordine giudiziario considerate come privilegi della corporazione senza comprendere fino i fondo che la loro difesa ad oltranza finisce con l'indebolire la magistratura nel suo complesso.

È pur vero, e non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo, che in alcuni casi abbiamo assistito ad un tentativo di strumentalizzazione dell'istituto, ad una torsione dell'azione consiliare orientata a creare condizioni favorevoli magari ad una nomina o ad una non conferma cui la componente togata non ha saputo sempre porre un argine adeguato. Non importa in questa sede capire se ciò è avvenuto a causa di una scemata sensibilità verso temi orientati al dato politico della tutela dell’indipendenza o per semplici calcoli di contingente opportunità quello che rileva è, a mio avviso, che tali deragliamenti della funzione di autogoverno, che vanno aspramente condannati e che probabilmente richiederebbero un intervento della Anm, non possono e non devono indurre i magistrati ad auspicare una riduzione della portata dell'istituto.

A me sembra, e questo vale per l’attività della prima commissione e sicuramente per tutta l’attività del consiglio, che le storture e le distorsioni dell'autogoverno vanno affrontate e risolte aumentando per così dire il tasso di eticità dei suoi componenti e recuperando una intensa riflessione ideale. Mi ostino in altri termini a ritenere che per salvare le istituzioni di questo paese sia necessario non cedere alla tentazione di ridurne le prerogative mostrandosi sensibili ai rigurgiti corporativi e alle derive populiste che attraversano anche la magistratura perché in questa maniera si finisce con l’indebolire l’intero sistema democratico. Credo al contrario, che bisogna impegnarsi, e questo deve essere sicuramente uno degli obiettivi di AREA, per ridare alle istituzioni tutte e al CSM in particolare, la capacità di esercitare in maniera davvero libera le proprie prerogative e le proprie scelte.

Naturalmente, e forse anche su questo versante sarebbe essenziale operare una riflessione più approfondita, un sistema delle incompatibilità più incisivo come quello che qui si auspica impone di disegnare un procedimento più garantito che coniughi speditezza e garanzia della effettiva indipendenza del magistrato sottoposto alla procedura di trasferimento di ufficio. Il Consiglio ha mostrato da tempo di essere consapevole di tale esigenza atteso che già con la delibera del 17 febbraio 1988, ha precisato che la procedura non può essere iniziata o proseguita se la situazione di incompatibilità è stata creata allo scopo di provocare un trasferimento di ufficio. Assicurare dunque la partecipazione del singolo magistrato alla procedura e la conoscenza piena e tempestiva degli atti può evitare che una campagna stampa montata ad arte possa costituire una occasione per allontanare un magistrato scomodo per la sua azione o dalle  indagini che conduce o dai processi che celebra consentendo all’interessato di esercitare una difesa adeguata anche sotto questo profilo.

In definitiva è importante immaginare un uso "prudente” dell'istituto per evitare che un’iniziativa ordinamentale fondamentale per garantire l'imparzialità della giurisdizione e per salvaguardare l'immagine della magistratura nel suo complesso diventi strumento per violare questo stesso principio.