COMUNICATO AreaCSM

Plenum di mercoledì 10 ottobre: una occasione persa

Respinta una richiesta volta ad avviare una discussione comune, e una comune assunzione di responsabilità, per individuare nelle decisioni sulle nomine criteri di scelta comprensibili e leggibili all’esterno, accompagnati da  una tecnica motivazionale chiara ed adeguata

Al plenum di oggi era in calendario una pratica per la nomina di un Presidente di Sezione al Tribunale di Lecce, rinviata nell’ultimo plenum del precedente CSM, e per la quale vi erano due proposte, una di maggioranza e una di minoranza. Indipendentemente dal merito abbiamo ritenuto che la prima pratica di questa consiliatura in tema di nomine potesse essere una occasione per avviare un confronto costruttivo tra tutti i gruppi per ricercare, attraverso una comune assunzione di responsabilità, un metodo diverso di decisione di queste pratiche, sottraendole a logiche di  contrapposizione e di schieramento, rendendo leggibili e comprensibili le motivazioni, soprattutto nella comparazione tra tutti gli aspiranti. Per questo abbiamo chiesto il ritorno in Commissione di questa pratica, che presentava appunto una serie di criticità, per la presenza di proposte contrapposte e per la assenza, in entrambe, di una approfondita comparazione, in particolare con i candidati esclusi.

La nostra proposta è stata respinta con i voti dei rappresentanti di MI e UNICOST, cui si sono aggiunti i voti di tre componenti laici.

La consideriamo una occasione persa per una discussione comune su un problema decisivo per la credibilità dell’autogoverno.

P.s. Il motivo principale del voto contrario al ritorno in commissione è stata l’urgenza della copertura del posto. Non senza una qualche contraddizione, gli stessi consiglieri che si erano opposti al ritorno in commissione hanno votato e ottenuto il rinvio ad altro plenum.

Di seguito trascriviamo l’intervento svolto, a nome del gruppo, da Giuseppe Cascini.

Giuseppe Cascini, Alessandra Dal Moro, Mario Suriano, Ciccio Zaccaro

Vorrei illustrare brevemente le ragioni della nostra richiesta di ritorno in commissione di questa pratica.

La nomina di cui discutiamo assume a mio avviso una notevole rilevanza sul piano simbolico, in quanto sarebbe la prima decisione di questa consiliatura su un tema che è da tempo al centro del dibattito in magistratura e sul quale tutti noi durante la campagna elettorale abbiamo assunto un impegno di cambiamento.

Ho letto le motivazioni delle due proposte della commissione. Emerge, per entrambe un problema di tecnica redazionale, che si traduce anche in una certa difficoltà a cogliere le ragioni della scelta.

In entrambe le proposte il profilo del candidato che si assume prevalente è descritto con dovizia di dettagli (anche neutri, come ad esempio il riferimento alla redazione di ordinanze di custodia cautelare, attività che per un Gip è niente di più della norma); i fatti sono mescolati alle valutazioni e in molti casi appare difficile cogliere la distinzione tra il momento descrittivo e quello valutativo; allo stesso tempo le esperienze professionali e organizzative non sempre sono accompagnate da una valutazione in merito alla qualità del lavoro svolto e ai risultati conseguiti.  La comparazione con gli altri candidati, che dovrebbe essere il nucleo centrale della decisione e della motivazione che la sorregge, è ridotta a poche righe piuttosto generiche, come se la (minor) quantità di informazioni potesse sopperire alla mancanza di un giudizio.  Manca, infine, una valutazione effettiva sulle esigenze dell’ufficio da ricoprire e sulla maggiore o minore idoneità degli aspiranti a farvi fronte.

Il risultato è che per il lettore diventano difficilmente comprensibili le ragioni per le quali un candidato debba prevalere sull’altro; e questo indebolisce la credibilità dell’organo di governo autonomo, in quanto la scarsa leggibilità delle motivazioni offre il fianco a critiche demolitive del sistema, favorisce  interpretazioni malevole sulle effettive ragioni di una scelta ed espone la decisione al rischio di annullamento.

Io credo che a partire dalla pratica di oggi potremmo cogliere l’occasione per una riflessione comune e una comune assunzione di responsabilità. Potremmo, tutti insieme, fare un passo indietro per ritrovarci in un luogo di confronto, dove, con umiltà e con la consapevolezza della posta in gioco, proviamo a ritrovare un linguaggio comune e condiviso -tra noi, con i colleghi e nei confronti della collettività-  e cerchiamo di individuare criteri comprensibili e leggibili all’esterno e  una tecnica motivazionale chiara ed adeguata. Se riusciremo a far questo poi potremo anche dividerci su un voto, ma allora sarà evidente che non ci dividiamo per “schieramenti” o per “appartenenze”, ma esclusivamente sulla base di una diversa, ma chiara e comprensibile, valutazione dei fatti.

Per questo votare oggi su questa pratica sarebbe un errore, perché ci costringerebbe in una logica di contrapposizione che è nostra ferma intenzione superare, nell’interesse della magistratura e a difesa del sistema di governo autonomo.

10 ottobre 2018