Area democratica per la giustizia è un’associazione di magistrati che sono convinti che la giurisdizione, come gli altri poteri dello Stato, debbano attuare non solo le norme ma anche i valori espressi nella nostra Costituzione. Il sistema del governo autonomo della magistratura, tutelando la autonomia e l’indipendenza dei magistrati, serve proprio a garantire la funzione che la Carta assegna alla giurisdizione. La magistratura ed il suo governo autonomo vivono un periodo difficile, schiacciati fra il revanscismo della politica e la difficoltà di fare giustizia nell’epoca dei “poteri selvaggi” che sfuggono alla sovranità nazionale e rispondono solo all’interesse di chi li esercita. Conosciamo i limiti ed i difetti del potere giudiziario e di chi lo amministra ma siamo certi che, se non ne fosse garantita l’autonomia ed l’indipendenza, le prime vittime sarebbero i cittadini più indifesi. Per ragionare su questi temi, ed anche altro, ospitiamo sul sito di Area DG una nuova rubrica, che sarà poi meglio strutturata nelle prossime settimane.

Giovanni Ciccio Zaccaro

Il divieto di discriminazione diretta e indiretta rappresenta un argine alle derive anti-solidaristiche del corpo sociale: una riflessione alla luce del pensiero di Paolo Grossi.

Per la diretta operatività del divieto di discriminazione

Lo stato dell’attuale dibattito pubblico in materia di immigrazione e integrazione, nonché i toni, spesso ingiustamente allarmistici degli organi di stampa, inducono ad una riflessione più ponderata del ruolo che deve competere al Giudice.

È innegabile come, a fronte della proclamazione dei diritti dello straniero da parte di un ordinamento multilivello che vede la concorrenza di più piani di tutela – sia nazionale, sia comunitario e convenzionale – una gran parte del corpo tenda a manifestare un’intolleranza di ‘antico sapore’ – strisciante ma crescente – verso il diverso. A ciò contribuiscono in misura rilevante talune trasmissioni televisive sempre più inclini alo sprezzante uso di stereotipi culturali con valenza, talora anche marcatamente, razzista o comunque discriminatoria. Ne è indice sintomatico il ricorso alle locuzioni “extracomunitario, africano”, spesso, svincolate da qualunque riferimento specifico, di tipo biografico o anagrafico, alla Persona, interessata da vicende di cronaca giudiziaria.

Non sono rare le occasioni, non sempre oggetto di adeguata attenzione mediatica, di discriminazione anche nell’erogazione di servizi di carattere privatistico, come la ristorazione o la locazione immobiliare.

In tale contesto, non pare peregrino pensare, nella prospettiva di un potenziamento del sindacato giudiziale, ad una valorizzazione del divieto di discriminazione diretta ma soprattutto indiretta introdotto nel nostro ordinamento dalle direttive comunitarie; in particolare:

  1. la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione(direttiva 2000/78/CE) che sanziona ogni forma di discriminazione basata su identità sessuale, credo religioso, età e disabilità nel settore dell’occupazione;
  2. la direttiva sull’uguaglianza razziale(direttiva 2000/43/CE) che vieta ogni discriminazione fondata sulla razza o sull’origine etnica, in una pluralità di ambiti materiali, quali la sicurezza sociale e assistenza sanitaria, accesso e fornitura di beni e servizi.

Senza poter trascurare che, nel 2009, il trattato di Lisbona ha innovativamente imposto la lotta contro le discriminazioni in ogni politica dell’Unione (articolo 10 del TFUE), codificando, a livello di Costituzione europea, il relativo ‘meta-principio’.

Tale operazione culturale e interpretativa di generalizzazione del divieto di discriminazione passa dal superamento di un duplice pregiudizio giuridico: il primo è quello relativo al diretto operare nel nostro ordinamento del divieto di discriminazione nella logica di un’eterointegrazione del nostro ordinamento da parte di quello comunitario, il secondo è quello della sua operatività, non solo nei rapporti fra Stato e cittadini, ma anche nelle relazioni giuridiche fra privati.

Il che vorrebbe dire non solo elevare il divieto di discriminazione a generale parametro cui commisurare ogni atto di autonomia negoziale, a fini invalidanti o anche solo di risarcimento per equivalente, ma anche farne insuperabile parametro interpretativo.

Si tratta dello stesso pregiudizio che ha connotato, fino agli anni 60, la riflessione sulla valenza da riconoscersi ai principi costituzionali e la loro diretta interferenza nei rapporti privatistici, quali valori in grado di conformare e vincolare l’esercizio dell’autonomia negoziale.

Oggi nulla osta a che il Giudice nazionale, motore propulsore dell’ordinamento multilivello, sperimenti un’applicazione diretta e immediata del divieto di discriminazione, sia diretta, sia nelle forme più subdole della discriminazione indiretta. Nel rispetto del dovere di un’interpretazione delle norme non solo costituzionalmente, ma anche, comunitariamente, orientata. 

Né lo stesso Giudice deve avere timore di tale rilevante cambio di prospettiva in quanto, adattando le norme nazionali ai principi comunitari e, se del caso, integrandone o disattendendone  il contenuto, rimane pur sempre nel solco dell’operazione esegetica intesa non come inammissibile creazione del diritto, ma quale doverosa operazione “inventiva”, così declinata del Grossi nel suo senso euristico, ovvero quale “opera ‘inventiva’, cioè di rinvenimento, tra le possibili ipotesi interpretative, di una lettura della legge” più conforme non solo alla Costituzione, ma anche ai principi comunitari, “consentendo la diffusione dei valori costituzionali (e sovranazionali) nella quotidianità”.

Antonio Ivan Natali
giudice Tribunale Brindisi

12 aprile 2023

Area democratica per la giustizia è un’associazione di magistrati che sono convinti che la giurisdizione, come gli altri poteri dello Stato, debbano attuare non solo le norme ma anche i valori espressi nella nostra Costituzione. Il sistema del governo autonomo della magistratura, tutelando la autonomia e l’indipendenza dei magistrati, serve proprio a garantire la funzione che la Carta assegna alla giurisdizione. La magistratura ed il suo governo autonomo vivono un periodo difficile, schiacciati fra il revanscismo della politica e la difficoltà di fare giustizia nell’epoca dei “poteri selvaggi” che sfuggono alla sovranità nazionale e rispondono solo all’interesse di chi li esercita. Conosciamo i limiti ed i difetti del potere giudiziario e di chi lo amministra ma siamo certi che, se non ne fosse garantita l’autonomia ed l’indipendenza, le prime vittime sarebbero i cittadini più indifesi. Per ragionare su questi temi, ed anche altro, ospitiamo sul sito di Area DG una nuova rubrica, che sarà poi meglio strutturata nelle prossime settimane.

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