Passeggio da solo

Gaetano Costa non era a suo agio a Palermo e forse una certa Palermo non era a suo agio ad averlo Procuratore della Repubblica.

Era stato già Procuratore della Repubblica, a Caltanissetta, e lì gli avevano chiesto come potesse svolgere un ruolo così delicato in un ambiente piccolo, nel quale aveva vissuto sin da ragazzo e dove tutti lo conoscevano. Vi era nato il primo marzo del 1916, in un territorio periferico ma strategico perché vi si produceva grano e vi si estraeva zolfo; lì si trovò dinanzi alla retorica fascista, senza farsene irretire.

Conobbe Palermo per studiare alla facoltà di Giurisprudenza, ma frattanto a Caltanissetta c’era il gruppo di giovani antifascisti del partito comunista clandestino al quale anche lui aderì insieme a personaggi del calibro di Gino Cortese, Emanuele Macaluso, Leonardo Sciascia. Tra loro anche una giovane donna di grande temperamento, Rita Bartoli, che diventerà sua moglie.

Sotto il fascismo vinse il concorso in magistratura e scelse lo Stato e la sua comunità, anche se il fascismo diceva di essere lo Stato. Dopo l’8 settembre 1943 Costa si unì ad una brigata partigiana in Val di Susa, per cercare i suoi amici nisseni che ora si impegnavano nella Resistenza. Uno di questi, Pompeo Colajanni, sarà tra i liberatori di Torino con il nome di battaglia “Nicola Barbato”.

Quando lo Stato cercava di riprendere a funzionare, Gaetano Costa chiese di essere assegnato alla Procura di Caltanissetta e così vi fece ritorno. Per restarvi molto a lungo, prima come sostituto procuratore, poi come Procuratore della Repubblica.

Fino al 1978. Più di trent’anni.

Come poteva svolgere un ruolo di Pubblico inquisitore nell’ambiente dove tutti potevano avvicinarlo? La risposta era secca: “Passeggio da solo”.

Costa non diceva che stava chiuso in casa e non frequentava nessuno. Non faceva affermazioni stucchevoli.

Non diceva che aveva chiuso ogni rapporto con il suo ambiente e che se ne sentiva lontano e distaccato. Non voleva fare scena, sfidando il ridicolo.

Non diceva che aveva riconsegnato la tessera di partito quando era entrato in magistratura e, senza rinnegare nulla, si era tenuto ben lontano dagli ambienti della politica. Lo aveva fatto e basta.

Non si vantava di trattare tutti i procedimenti con rigore e imparzialità senza farsi condizionare. Sono cose che devono dire gli altri.

Il Procuratore di Caltanissetta si raccontava come uno che sa uscire sia dalla sua casa sia dal suo ufficio e vedere cosa accade lì dove egli amministra giustizia.

Nel passeggiare lento, c’è l’osservare, c’è l’incontrare la gente che passa, ci può essere la possibilità stessa di vedere la vita concreta della città.

Uscendo a fare due passi, gli uomini arguti e intellettualmente onesti si accorgono che la mafia già negli anni “70 e già nei paesi più sperduti del centro Sicilia era capace di condizionare banche, pubbliche amministrazioni, appalti, finanziamenti, elezioni.

“Passeggio da solo”.

Quasi una funesta profezia.

Il 6 agosto 1980 verso le 19:00 scendeva lungo la via Cavour di Palermo; da solo e da due anni Procuratore di quella città.

Mentre sfogliava i libri di una edicola, fu ucciso da un killer mafioso, tuttora non identificato.

Dopo 43 anni, si ha certezza di quanti fili ad alta tensione aveva voluto toccare Costa con le sue indagini. E di quanti ostacoli incontrò dentro e fuori dal Palazzo di giustizia.

Il resto, soprattutto i dettagli scomodi, sembra li si voglia dimenticare. Anche da vittima della mafia Gaetano Costa passeggia da solo.

Sarebbe bene, invece, uscire dalle nostre stanze e passeggiare con lui.

Giovanbattista Tona

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