La resistenza di giovani oltreoceano
Il 1° febbraio del 2021 l’esercito del Myanmar annuncia al mondo il cambio di regime avvenuto quella mattina stessa: sono stati arrestati tutti i vertici della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), il partito che per la seconda volta in cinque anni ha vinto liberamente le elezioni, ottenendo circa l’80% dei seggi in Parlamento; l’amata leader Aung San Suu Kyi, dopo decenni di lotta, torna in carcere. Il Myanmar ricade nuovamente nel baratro della dittatura militare che domina il Paese dal 1962.
A seguito del golpe, si susseguono per settimane proteste di massa, oggetto di ogni forma di repressione, dal blackout di telefono e internet agli spari sulla folla. Neanche i militari si aspettavano una resistenza così forte, il fatto è che l’odio verso l’esercito ha riunito per la prima volta in un unico corpo l’etnia Bamar, dominante anche nell’NLD, e i gruppi etnici minoritari, tradizionalmente non rappresentati dal governo centrale. Questo corpo è il Governo di Unità Nazionale (NUG), un “governo ombra” formato da parlamentari dell’NLD e da rappresentanti dei gruppi etnici minori.
Il NUG ha dalla sua il “People’s Defence Force”, un vero esercito di resistenza supportato anche dalle organizzazioni etniche armate, in una capillare rete di opposizione al regime che coinvolge l’intera società civile.
Però, i numeri non sono dalla parte dell’opposizione: l’esercito è numeroso e molto ben equipaggiato, la dittatura è spietata nelle condanne.
Cosa ne è del Myanmar dopo due anni da quel primo febbraio? Cosa ne è dopo le roboanti dichiarazioni dei Paesi occidentali? Dopo che tutte le tv hanno mostrato per mesi il volto segnato e invecchiato di Aung San Suu Kyi, ravvivato solo da qualche fiore nei capelli? Nell’indifferenza dei leader mondiali, le varie crisi in corso hanno definitivamente fatto sparire una vera e propria guerra civile, che sta mietendo centinaia di vittime, soprattutto tra i giovani[1], e affossando l’economia[2].
La resistenza dei giovani birmani è lontana e non fa rumore, perché non ha mai usato violenza, preferisce opporsi con la disobbedienza civile. Eppure, non può non arrivarci lo strepito dei bombardamenti che distruggono le case di migliaia di birmani: cerchiamo di sforzarci di sentire quelle urla, anche se provenienti da una terra oltre l’oceano.
Camilla Sommariva
Il Passato talvolta ritorna.
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