Riflessioni e domande di una non iscritta

di Nadia Caruso
sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta

Care colleghe e cari colleghi,

colgo l’occasione di questa assemblea per condividere con voi le mie riflessioni da magistrato entrata in ruolo da appena 5 anni, non iscritta ad AREA, ma comunque pienamente consapevole dell’importanza della struttura associativa come luogo di confronto, di elaborazione di idee e promozione di strategie per migliorare il servizio alla collettività – anche in termini di resa – che siamo chiamati a svolgere.

Premesso ciò consentitemi, in poche battute, di dirvi come mai, pur con questa consapevolezza e pur frequentando anche le riunioni del suo gruppo territoriale, ho ritenuto allo stato di non iscrivermi ad AREA; in fondo credo sia proprio questa assemblea l’interlocutore ed anzi il destinatario privilegiato delle mie riflessioni.

 

Ritengo che la magistratura stia vivendo un momento di profonda crisi che non trova la sua causa principale in fenomeni esogeni: le pressioni esterne e finanche le spesso strumentali campagne denigratorie possono essere considerate in fondo anche fisiologiche; è la capacità di resistere a tali forze e pressioni che può fare la differenza.

Avere questa capacità impone di prestare particolare attenzione a quelle che sono le cause interne della crisi della magistratura su cui – proprio perché interne – si ha un maggiore potere di intervento.

In particolare, mi voglio soffermare su due punti.

Innanzitutto va posto rilievo alla ormai profonda e sedimentata sfiducia degli stessi magistrati nei confronti del proprio organo di autogoverno, sentimento che accomuna colleghi di diverse generazioni e a prescindere da qualunque appartenenza correntizia.

Peraltro (e forse quel che è più grave) tale sfiducia non è solo rivolta all’azione dei membri non togati ma anche a quella della componente togata che viene da noi eletta, ma di cui dopo le elezioni non ci si sente più fino in fondo rappresentati o di cui, comunque, non se ne riesce a cogliere l’essenza delle logiche decisionali.

Qualche settimana fa, in altra sede, è stato osservato – secondo me correttamente – come la scelta dei costituenti di prevedere un organo di autogoverno della magistratura sia stata tutt’altro che scontata; da tale scelta né è derivato un dovere nei confronti della collettività a che questo sistema risulti forte ed efficiente.

Ebbene in questo momento, sono i magistrati per primi a non riconoscersi nelle decisioni, sia per modalità che per contenuti, assunte dal csm e ciò soprattutto per quanto riguardo le nomine dei dirigenti degli uffici giudiziari.

Questo ritengo sia un argomento che non riguarda semplicemente gli aspiranti ai posti dirigenziali, ma tutti i magistrati in servizio nei diversi uffici che sono i destinatari delle scelte di gestione del dirigente di turno eletto, dal quale spesso dipende se il singolo magistrato venga posto o meno nelle condizioni di lavoro più favorevoli.

Ora più che mai la questione delle nomine nei ruoli direttivi e semidirettivi è fondamentale, anche tenuto conto delle rilevantissime capacità manageriali richieste alla dirigenza, qualità spesso rare anche per il fatto che esse non appartengono di per sé alla formazione del magistrato.

In soli 5 anni che sono in magistratura spesso, anzi troppo spesso, mi sono state spiegate talune nomine ad incarichi direttivi o semidirettivi in relazione all’appartenenza ad una corrente o all’essere molto vicino a quello o all’altro consigliere, oppure come il frutto di accordi intervenuti tra diversi gruppi associativi.

Senza prenderci in giro nessuna corrente è rimasta estranea a questa logica.

Al riguardo, mi rivolgo agli iscritti ed alle iscritte ad Area, corrente che sta vivendo una fase di nuovo inizio e rinnovamento: qual’è la sensibilità comune e prevalente? C’è davvero un’unanime ed autentica volontà di superare queste modalità di gestire l’autogoverno? Rivolgo questa domanda posto che magari tra gli appartenenti ad AREA c’è pure chi è stato eletto sulla scorta delle dinamiche cui ho fatto cenno sopra, e forse c’è pure qualcuno che aspira ad ottenere un posto da direttivo o semidirettivo proprio con queste stesse modalità e si augura, quindi, che le cose non cambino.

Allora mi chiedo, in un momento di estremo ed esasperato sconforto della stessa magistratura su questo versante, si vuole mettere in atto una strategia dirompente in AREA e se si si qual è?

C’è una forza di rinnovamento capace di scardinare questo giogo o è in atto un mero cambiamento camaleontico non in grado di mutare la sostanza delle cose?

Gli iscritti ad AREA sono favorevoli a che vengano votate persone di altre correnti o anche orfani di corrente se si tratta di candidati più capaci di quelli di Area? Sono in grado di non piegarsi ad accordi di spartizione di posti dirigenziali tra correnti anche a costo di avere meno rappresentanza nei posti apicali? Sarebbero in grado di fare queste scelte – per alcuni anche meno attraenti – rischiando anche di perdere iscritti? (sempre che possa definirsi perdita non avere al proprio interno gente che punta a ricoprire ruoli apicali mediante accordi piuttosto che sulla scorta del merito).

Siamo sicuri, ancora, che all’interno di AREA sarebbero tutti pronti a fare scelte di coerenza di questo genere, in grado di far risalire l’asticella della credibilità innanzitutto al nostro interno?

Oggi si sta ricominciando a parlare di reintrodurre le fasce per la nomina dei direttivi dopo che sono state levate perché ritenute all’epoca un limite. Proprio qualche giorno fa risentivo ad esempio che nei motivi della mancata nomina di FALCONE all’ufficio istruzione di Palermo c’era pure quello relativo al fatto che gli mancavano 16 anni di anzianità rispetto ad altri concorrenti.

Adesso si parla di reintrodurre questo criterio per ripristinare garanzie in ordine alle nomine dei direttivi e questo mutamento, quasi schizofrenico, di strategia è giustificato dalla volontà di togliere al CSM margini di discrezionalità che più che tecnica appare evidentemente cieca.

Credo che il percorso per riguadagnare terreno sotto il profilo della credibilità passi in questo momento non solo, ma anche, attraverso il soddisfacimento di un’assillante richiesta di trasparenza da parte dei rappresentati del CSM sulle scelte da loro compiute in plenum.

Come soddisfare questa esigenza in un momento di evidente emergenza? Sono delle domande che AREA si è già posta o su cui si è già determinata in qualche modo?

Il secondo punto su cui vorrei richiamare l’attenzione e che attiene alla crisi interna della magistratura riguarda proprio la crisi dello spirito di servizio con cui oggi viene svolto il nostro lavoro. Adesso, purtroppo, sono in aumento coloro che svolgono il lavoro del magistrato con una mentalità da burocrate e ritengo che ciò possa dipendere anche dal fatto che sono mutate le motivazione che spingono a fare il concorso per l’accesso in magistratura.

Mentre prima partecipava un numero di candidati più o meno pari al doppio dei posti a disposizione, con la crisi del mercato del lavoro e con la professione forense che non è più in grado di garantire uno sbocco sicuro come 20 o 30 anni fa, la situazione è radicalmente cambiata: oggi solo i candidati consegnanti tutte le prove sono pari a dieci volte i posti a disposizione.

In un momento in cui le liquidazioni per i difensori d’ufficio sono divenuti quasi una forma di ammortizzatore sociale, fare il concorso in magistratura è diventato uno dei modi più sicuri per avere un posto pubblico e per avere uno stipendio sicuro, tutto questo a scapito di una perdita di senso.

Sotto questo aspetto – per inciso - mi chiedo se siamo sicuri che a noi come magistratura non interessi la questione, ad esempio, del numero chiuso alla facoltà di giurisprudenza tenuto conto anche del fatto che nelle aule dei tribunali ci troviamo spesso di fronte avvocati che chiedono riti ordinari per clienti arrestati in flagranza, probabilmente per far durare di più il processo ed ottenere una liquidazione ad un compenso più alto.

Ma tornando al magistrato burocrate, quali sono le strategie per sgominarlo, considerato che mediamente nei nostri uffici quelli che lavorano di più sono quelli più caricati e sui cui naturalmente si conta di più?

Parlo della procura a cui è legata la mia esperienza: il collega che svolge l’attività del magistrato in modo impiegatizio è quello che archivia là dove ci sono ancora dei margini per indagare, e che, in questo modo, è sempre in regola con i numeri; probabilmente non avrà mai un disciplinare e non gli verrà mai avocato nulla, non è indietro e fa statistica con le richieste di decreto penale.

A fronte anche di riforme normative che assecondano questo modo di lavorare (e mi riferisco a quella sull’avocazione che non creerà problemi al nostro amico burocrate), AREA cosa ha da dire? Ritiene opportuno confrontarsi anche su questo?

Vedete, per me sciogliere questi nodi attraverso il confronto con i miei colleghi/e e compagni/e di viaggio, è fondamentale per creare senso di appartenenza, prima ancora di qualunque altra tessera e ritengo che sia questa la sede principale in cui dirsi come si declina concretamente il progetto condiviso su cui si fonda AREA. È questo d’altra parte l’obiettivo di un’assemblea di questo genere e forse proprio di questa in particolare, rappresentando il primo congresso di AREADG.

Concludo dicendo che io ho vissuto da persona esterna alla magistratura i venti anni che vanno dal 1994 in poi, periodo in cui ho assistito ai duri attacchi rivolti da una parte del potere politico alla magistratura.

In quegli anni, ho visto una magistratura impegnata prevalentemente se non del tutto a parare colpi, ho visto una magistratura giocare solo in difesa e ciò è avvenuto a discapito di una serena e rigorosa riflessione interna.

Ma tendenzialmente l’esito delle partite giocate solo in difesa è la disfatta.

Credo, quindi, sia il momento di cambiare strategia muoversi in attacco, riattivando un profondo confronto interno partendo proprio dai nostri punti deboli senza avere il timore di mettersi a nudo su questo.

Ripristinare innanzitutto una credibilità interna è essenziale per poter avere forza anche nel proporre modifiche normative, avanzare richieste di risorse e mezzi e fornire un servizio all’altezza della aspettative di quella fetta di società che cerca legittima giustizia.