Seconda sessione: La Giustizia e i diritti nell’Europa che cambia

La tutela dei Diritti Umani: quando la persona si fa “massa”

“Italiani senza cittadinanza”

Relazione di sintesi

Scheda sul tema

Secondo la legge oggi vigente (n. 91 del 1992), ottiene la cittadinanza italiana  di diritto, secondo lo ius sanguinis, il figlio di padre o di madre cittadini italiani.

Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla data della maggiore età.

Altri Paesi, che sono stati storicamente interessanti da massicci fenomeni migratori, quali la Francia o gli Stati Uniti attribuiscono, il diritto di cittadinanza sulla base dello ius soli, ossia per il fatto della nascita sul territorio dello Stato.

L’Italia che ha conosciuto solo di recente (nell’ultimo ventennio) il fenomeno di una forte migrazione esterna non ha adeguato la legislazione in tema di cittadinanza alla mutata situazione geopolitica e sociale.

L’inerzia del legislatore ha prodotto un fenomeno sociale di dimensioni allarmanti: quello dei cosiddetti “cittadini invisibili”.

In base al censimento Istat, nel 2011 erano seicentomilaseicentoventitre (600623) gli stranieri nati in Italia. Negli anni successivi, dal 2012 al 2015, sempre secondo l’Istat, sono nati in Italia ogni anno oltre settantamila (70.000) figli di stranieri. Detratti dal computo i figli degli stranieri che hanno ottenuto nel frattempo la cittadinanza, si stima che i figli di stranieri senza cittadinanza superino le ottocentomila unità.

Ai nati in Italia si debbono aggiungere i minori che raggiungono ogni anno  le coste italiane, cercando un approdo per una vita migliore. Secondo le fonti dell’alto Commissariato per i Rifugiati nel 2015 sono giunti in Italia oltre sedicimila (16.000) minori e di questi ben dodicimilatrecentosessanta (12.360) erano “minori non accompagnati”. In base alla stessa fonte, nel 2016 i minori non accompagnati hanno superato le venticinquemila (25000) unità.

Secondo un rapporto del Ministero dell’Istruzione dell’ottobre 2015, nell’anno scolastico 2014/2015 gli alunni stranieri erano ottocentocinquemilaottocento (805.800), tra scuole dell’infanzia, primarie, secondarie di I e II grado. Di questi, trecentosassantamiladuecentosessantasei (360266) non erano nati in Italia.

Per il 15 giugno è calendarizzata al Senato della Repubblica, dopo ripetuti rinvii la discussione di una legge d’iniziativa popolare, poi unificata con ben 24 disegni di legge d’iniziativa parlamentare, già approvata dall’altro ramo del Parlamento. La legge è ferma dall’aprile 2016, dopo che in Commissione Affari Costituzionali del Senato sono stati presentati ben 8700 emendamenti.

La legge si ispira a due principi:

Gli interventi

Introduzione di Luca Perilli,
componente del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura

L’Europa, come la intendiamo oggi, fu la risposta politica al senso di fragilità e di fallibilità umana, che l’orrore della guerra aveva indotto nelle coscienze di molti europei. Questa risposta si concretizzò prima nella conclusione (nel 1949) del Trattato sul Consiglio d’Europa e l’anno successivo (nel 1950) della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

In questi trattati lo spirito europeo contro i nazionalismi e gli autoritarismi, che avevano dato origine alla guerra, si realizzava nell’affermazione del primato del diritto e dei diritti fondamentali della persona, affidati alla protezione di un giudice indipendente e imparziale. La grandezza di questa visione stava nel riconoscere il primato logico e storico della persona umana rispetto allo Stato e nel riconoscere la dignità umana anche negli ultimi.

Con il trattato di ROMA si apriva il mercato unico europeo, presidiato da Istituzioni Comuni, quale garanzia di pace e auspicio prosperità.  La visione “dell’Europa del mercato” che, oggi, in un prolungato periodo di crisi economica di alcuni tra i Paesi europei è respinta da molti cittadini europei quale fattore di creazione di privilegi non tiene conto del fatto che il mercato comune fu uno strumento ideato per superare i confini nazionali e quindi le barriere tra i territori delle nazioni; non più territori nazionali ma spazi condivisi per la libera circolazione non solo delle imprese e dei capitali ma anche del lavoro. Il mercato unico determinò la trasformazione dello straniero da emigrante a cittadino europeo, che era così legittimato ad  invocare la tutela di diritti anche in un Paese diverso dal proprio. Il mercato unico fu il motore dell’emigrazione/immigrazione europea. Eurostat  ci ricorda  che,  al novembre 2016, il cd. stock migratorio, cioè il numero delle persone residenti in un paese ma nate in altro, supera in Europa i settantasei (76) milioni di unità, quindi oltre il 10% della popolazione europea, e superano il 15% gli  abitanti dell’UE di cittadinanza diversa che contraggono matrimonio (cd. matrimoni misti).

Ma torniamo allo spirito europeo. Esso è emerso progressivamente, perché  sono emersi progressivamente i principi fondanti comuni, i valori che soli possono trasformare un gruppo di nazioni in una comunità. Questi valori fondanti la democrazia europea sono appunto i diritti fondamentali, intesi non come diritti individuali ma diritti umani della persona che appartiene ad una comunità.

Pur dopo il fallimento del progetto di una costituzione europea, i diritti fondamentali che scaturiscono dai Trattati e dalle tradizioni  costituzionali comuni e sono plasmati dalla giurisprudenza delle corti costituzionali e delle corti europee, sono oggi custoditi, grazie al Trattato di Lisbona, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che assume lo stesso valore giuridico dei Trattati.

Nel contesto di questi principi  costituzionali europei, uno straordinario rilievo, per la realizzazione dello spirito europeo, rivestono il rispetto della dignità umana ed il divieto di non discriminazione, che, da soli, rappresentano la negazione delle  resistenze nazionali fondate su ragioni  di natura etnica o religiosa o ragione di discriminazione diversa e guardano alla persona come elemento di una comunità che cresce e si arricchisce nella diversità.

Oggi dobbiamo riconoscere che questo progetto straordinario e storicamente senza precedenti conosce una crisi profonda.  Le cause sembrano note,  da un lato l’idea, alimentata dai “populismi”, che l’Europa dei mercati  non significhi prosperità per tutti in modo uguale e che anzi alimenti le burocrazie europee in luogo di quelle nazionali; dall’altro la grande paura del nuovo millennio, quella legata alle ondate migratorie dall’Africa e del medio - oriente, una paura di quella diversità che da sempre ha rappresentato la ricchezza dell’Europa; una paura che sfugge al controllo della ragione e che dà forza ai nuovi sentimenti fondati sulla difesa della nazione. Si tratta di nazionalismi ciechi di fronte ad una società europea già ampiamente multiculturale e multinazionale e indifferenti alla storia dell’Europa la cui forza è sempre stata l’integrazione delle diversità per arricchire la propria identità.

Piergiorgio Morosini
Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura

Sintesi del suo intervento

L’immigrazione è vissuta nel nostro Paese come emergenza, benchè sia parte della nostra storia.

Si confrontano da un lato l’attesa e la speranza di tanti migranti che ci  chiedono  rispetto e tutela della loro dignità e del diritto alla  libertà, e dall’altro il senso di paura ed insicurezza di tanti cittadini italiani che sentono l’esigenza della salvaguardia di un’identità collettiva che si va smarrendo.

Su questo sentire fioriscono le narrazioni più demagogiche ed ingannevoli del dibattito pubblico, che rendono sempre più complicato coniugare e accoglienza e sicurezza.

Di questo clima  risente la legislazione, sia nelle leggi già approvate sia con riguardo a quelle in attesa di approvazione. Un aspetto evidente è proprio la legge sullo ius soli temperato messa in attesa da una  “politica” che continua a trattare come fantasmi centinaia di migliaia di persone.

Ma ne risente anche la giurisdizione che è sovraesposta su ogni tema giudiziario riguardante i migranti. Lo dimostra il  tema della protezione internazionale che pone ai giudici ed al sistema di autogoverno della magistratura una galassia di questioni: la giurisdizione civile e la sua organizzazione; l’impiego della magistratura onoraria; il reperimento delle informazioni sul Paese di provenienza; il lavoro delle procure  e le speculazioni del crimine organizzato sui centri di accoglienza.

La reazione delle Istituzioni di Governo ha prodotto il Decreto Minniti - n.13/2017 -  che, nei ricorsi per l’asilo e la protezione internazionale,  rafforza il procedimento aministrativo a discapito dell’intervento del giudice.

In questo complesso contesto sociale, politico e normativo, il giudice ha il dovere di affidarsi ad interpretazioni costituzionalmente orientate che possano integrare le lacune normative e garantire la tutela a coloro che la richiedono.

Sulla protezione internazionale, e con l’istituzione delle sezioni specializzate, siamo chiamati a scelte organizzative e di politica giudiziaria dentro gli uffici, con riguardo, per esempio, al’utilizzo della magistratura onoraria, all’individuazione di locali idonei per le audizioni dei richiedenti protezione, sui metodi di acquisizione delle COI, sui supporti linguistici, sulla gestione del gratuito patrocinio. Qui significa decidere della tutela dei diritti e superare la percezione attuale per la quale ci sarebbe una giurisdizione di serie A, quando i magistrati si trovano nei tribunali delle imprese, e di serie B, nelle sezioni dei tribunali che si occupano dei diritti degli ultimi.

Sulla tutela dei diritti dei migranti si misura la tenuta del sistema dei diritti fondamentali; ai giudici si chiede formazione, equilibrio e senso della realtà.

Il compito di Area  è il compito innanzitutto del magistrato di Area, che si faccia portatore di un orientamento culturale, in sintomia con la Costituzione e le Carte internazionali, che partecipi al dibattito pubblico e proponga le riforme necessarie, si impegni in iniziative di formazione, a livello territoriale e locale e dia un contributo all’elaborazione di formule organizzative negli uffici giudiziari che siano in grado di rendere effettivi i diritti.

Lorenzo Trucco
presidente ASGI, Associazione giuristi democratici

Sintesi del suo intervento

Effettività dei diritti umani.

Assistiamo, nella legislazione nazionale e purtroppo anche nei progetti di riforma del diritto eurounitario, ad una gravissima inversione  di rotta sulla  tutela effettiva dei diritti umani dei migranti.

La Commissione Europea ha depositato delle proposte di riforma, attualmente in discussione davanti al Parlamento europeo che, se accolte,  modificheranno in peggio l’intero sistema di accoglienza dei migranti, andando ad incidere su: la Direttiva “Qualifiche”, la Direttiva “Accoglienza”, la Direttiva “Procedura” il sistema Dublino, EURODAC ed EASO.  Lo scopo è quello di restringere la possibilità per le persone migranti di accedere al sistema di protezione internazionale.

Il primo passaggio è la trasformazione delle direttive in regolamenti al fine di eliminare lo spazio discrezionale di intervento dei parlamenti nazionali.

Il secondo passaggio è quello della ridefinizione dei concetti di Paese di primo asilo, Paese di transito sicuro e Paese di origine sicuro.

Per il Paese di primo asilo ed il Paese di transito sicuro si vorrebbe prescindere dall’adesione alla Convenzione di Ginevra ma si farebbe ricorso al vago concetto di “protezione sufficiente”. Per il Paese di “transito sicuro”, poi,  non sarebbe  richiesto un radicamento anche minimo del richiedente al Paese di transito ma sarebbe  sufficiente il mero transito.  I Paesi di “origine sicuri” farebbero poi parte di un elenco obbligatorio contenuto nel Regolamento.

Questo si accompagna alla previsione di procedure per la dichiarazione di inammissibilità della domanda di protezione e procedure accelerate. Una delle modifiche più forti riguarda il “sistema Dublino” che contiene oggi le regole per stabilire lo stato competente a decidere sulla domanda di protezione. Dublino da strumento di regolazione della competenza diventerà uno strumento di “predecisione”, perché prima della decisione sulla competenza, il Paese richiesto valuterà se il richiedente provenga da uno Stato di primo asilo, di origine sicuro o di transito sicuro, e questo porterà all’applicazione di procedura accelerate o di inammissibilità.

Su questo quadro si innesta anche il Decreto Minniti: è forse la prima volta che viene messo per tabulas che vi sono persone che hanno meno diritti degli altri.

I quattro hot spot (non si sa bene se il concetto indichi un approccio a un problema  o un luogo) non hanno una base giuridica (si richiama la Legge Puglia di 23 anni fa). Negli hot spot le persone sono private della libertà per periodi più o meno lunghi, sono identificate e sottoposte ad “una sorta di pregiudizio” tramite il foglio di identificazione, in cui devono barrare delle caselle che certificano le ragioni dell’ingresso. Sulla base della crocetta,  ai migranti potrebbe in futuro essere negato l’accesso al sistema di protezione, per provenienza da un paese di origine o di transito sicuro.

Inoltre, l’abolizione dell’appello per i soli migranti è un elemento di discriminazione incredibile.

La riforma del procedimento di primo grado, con la trasformazione del processo in un procedimento in camera di consiglio, significa che il contraddittorio diventa eventuale: molti giudici già non richiedono l’audizione dei richiedenti la protezione.

Infine è preoccupante la questione delle notifiche, che sono state delegate ai gestori dei centri.

Ada Ugo Abara
presidente di “Arising Africans” e componente del CoNNGI

Sintesi del suo intervento

L’associazione Arising Africans emerge come realtà che raggruppa giovani afrodiscendenti e afroitaliani per decostruire gli stereotipi esistenti sugli afro in Italia al fine di ricostruire un immaginario collettivo libero da contenuti xenofobi.

Il CoNNGI - Coordinamento Nazionale Nuove Generazioni Italiane, è un coordinamento rappresentativo di oltre 25 associazioni di giovani con un background migratorio provenienti da tutta l’Italia. E’ nato all’interno del contesto del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Il suo obiettivo è fungere da portavoce ufficiale delle istanze di oltre 1 milione di cittadini italiani

 

Uno dei temi principali della nostra azione è quello dei nati in Italia da genitori migranti: gli italiani senza cittadinanza o gli italiani invisibili. Questi bambini e ragazzi vivono una scissione tra un’identità, costruita in senso dinamico grazie al loro background culturale insieme ad un forte senso di appartenenza alla società italiana e il sistema burocratiche che li rifiuta, li degrada a stranieri, immigrati  ed extra-comunitari. Mentre essi si sentono italiani in tutto e per tutto, per le istituzioni sono dei fantasmi, dei non cittadini temporaneamente nel territorio dello Stato.  Sono stranieri a casa loro.

Che sia una gita scolastica improvvisamente proibitiva a causa del vincolo del visto oppure delle garanzie ulteriori che svuotano l’erasmus della sua peculiarità e si trasformano in costi insostenibili per le tasche di uno studente, la burocrazia italiana marca con forza il confine tra cittadini riconosciuti e non cittadini, fantasmi scomodi e invisibili agli occhi delle istituzioni. Ad ogni step del percorso formativo si accompagna una nuova barriera: alcune volte la discriminazione si presenta come l’impossibilità di registrarsi ad un albo professionale oppure di partecipare ad un bando pubblico (poiché la cittadinanza è uno dei requisiti fondamentali in molti casi); altre volte essa si manifesta nel dover rinunciare a tirocini professionalizzanti all’estero, in quanto spostare la residenza significa rinunciare alla possibilità di richiedere la cittadinanza.

Queste non sono difficoltà di pochi, sono le difficoltà che seconde le ultime stime dell’ISTAT oltre 800 mila ragazzi attualmente inserite nei percorsi scolastici italiani si trovano ad offrontare e continueranno ad affrontare se la legge 91 del 1992 rimarrà invariata e la riforma si rivelerà l’ultimo di molti tentativi falliti. Ora però è questa la legge che regola la vita dei loro figli o nipoti, nati o cresciuti in Italia, degli oltre 1 milione di ragazzi che si sentono Italiani e non hanno scelto di migrare. Con la legge attuale un bambino che nasce in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza a 18anni, vive un’intera parte della vita da straniero per poi richiedere allo stato una forma di riconoscimento. La cittadinanza è una concessione dello Stato, un atto puramente arbitrario con cui ancora una volta le istituzioni ribadiscono l’estraneità e la non appartenenza ai loro occhi.

Conclusioni congressuali

La legge sulla cittadinanza  basata sui principi dello ius soli temperato e dello ius culturae sia  approvata senza ritardo.

È necessario un ripensamento delle norme di legge che impongono  limitazioni al diritto di difesa ed alla libertà personale dei richiedenti protezione internazionale.