Plenum del 24 marzo 2021

I magistrati e la politica

È iniziata la discussione sui pareri elaborati dalla Sesta Commissione in merito alle riforme proposte dal Ministro Bonafede. Pubblichiamo l’intervento di Giuseppe Cascini che riassume la posizione del gruppo consiliare sulla possibilità per i magistrati di partecipare all’attività politica

Anticipo un orientamento favorevole alle proposte di correzione al parere elaborato dalla Sesta Commissione, avanzate dai consiglieri Pepe e Marra. Correzioni finalizzate ad esprimere condivisione sulle proposte del Governo nella parte in cui introducono il divieto per i magistrati di candidarsi, anche per le elezioni amministrative, nel territorio in cui hanno esercitato le funzioni e nella parte in cui prevedono che i magistrati eletti in parlamento o che abbiano assunto incarichi di governo nazionale non possano rientrare in magistratura alla fine del mandato e siano destinati a funzioni amministrative.

Credo che sia un atto dovuto da parte del Consiglio che, appena qualche anno fa, ha approvato una risoluzione con la quale ha chiesto espressamente al Parlamento di intervenire, eliminando la possibilità per i magistrati eletti in Parlamento di rientrare in magistratura. Di fronte al fatto che il Governo presenta un disegno di legge nel quale questo divieto viene recepito, secondo me è giusto che il Consiglio dica esplicitamente di essere d’accordo e di apprezzare il fatto che il nostro invito sia stato accolto.

 Invece il parere è, effettivamente, sul punto molto prudente. Non dice mai ‘siamo d’accordo’, ma si limita ad indicare alcune criticità, molte delle quali, sia detto per inciso – ma ci torneremo poi in sede di esame degli emendamenti – a mio avviso tali non sono.

Ad esempio, non mi pare in linea con quanto spesso diciamo in occasione del collocamento fuori ruolo dei magistrati in ordine alla importanza degli incarichi ministeriali affermare che la destinazione al Ministero della Giustizia sia un parcheggio.

Né mi sembra condivisibile il suggerimento contenuto nel parere del passaggio alla Avvocatura dello Stato. Se un magistrato vuole diventare Avvocato dello Stato deve fare un concorso. Io non credo che si possa prevedere per legge che si acceda ad un posto per il quale è previsto un concorso di secondo grado attraverso il passaggio parlamentale. Non mi pare una soluzione che abbia molto senso.

L’altra cosa che manca, e sulla quale presenterò un emendamento, è un suggerimento al legislatore per l’inserimento di una norma transitoria. È giusto, infatti, che le nuove previsioni non si applichino ai parlamentari oggi in carica, ma forse potrebbe essere opportuno fissare con norma transitoria un termine entro il quale i magistrati oggi collocati fuori ruolo per aspettativa politica possano scegliere se rientrare in magistratura con le vecchie regole oppure se rimanere in Parlamento e, a quel punto, anche a loro si applicheranno le nuove regole.

Non sono, invece, d’accordo con le critiche mosse dal Cons. Di Matteo al testo di legge, e quindi al parere – adesivo sul punto – con riferimento alla limitazione alla possibilità di candidarsi dei magistrati. È una discussione che abbiamo già fatto su un caso specifico, ma vale in generale. Il problema è quello dell’immagine di imparzialità dei magistrati. Guardate, io vengo da una storia e da una tradizione che aveva una idea radicalmente diversa su questo tema. Considerate che lo statuto di Magistratura Democratica, gruppo al quale io sono stato iscritto fino a poco tempo fa, richiama lo statuto dell'Associazione Nazionale Magistrati, salvo che per la parte in cui prevede il divieto di iscrizione a partiti politici.

Magistratura Democratica all’atto della sua fondazione ha rivendicato la non condivisione di quella norma e, quindi, il diritto dei propri aderenti ad iscriversi a partiti politici. L’iscrizione ai partiti è stata poi, indirettamente, vietata con l’introduzione di uno specifico illecito disciplinare. E dunque la questione è stata superata.

Ma ho voluto richiamarlo per dire che nella mia tradizione culturale l’impegno politico dei magistrati, quello di cui parla il Cons. Di Matteo, quello trasparente, quello pubblico, non quello fatto di salotti, di cappucci o di relazioni di altro tipo, era rivendicato come giusto.

Però, dobbiamo prendere atto del fatto che è cambiato tutto, è cambiato il mondo, è cambiata la magistratura ed è cambiata la politica. Non possiamo non farci carico di questo.

Io credo che uno spartiacque rilevantissimo da questo punto di vista sia stata la trasformazione in un sistema bipolare del sistema politico, che ha accentuato moltissimo la conflittualità, la logica dell’amico/nemico, la logica del contrasto. Dentro questo si è inserita una lunghissima storia declinata da una precisa parte politica come conflitto tra magistratura e politica. È inutile richiamare i dettagli di una pervicace e insistita lettura politica delle iniziative giudiziarie, che ha portato ad una rappresentazione secondo la quale la magistratura era il braccio armato di una parte politica contro l’altra.

Non possiamo far finta che tutto questo non sia accaduto, perché, come spesso ripetiamo, l’apparenza conta quanto la sostanza.

Io penso che, per come è diventata la politica oggi sia nei suoi aspetti positivi sia, soprattutto, nei suoi aspetti negativi, l’impegno in politica sia divenuto incompatibile con il ruolo di magistrato. L’attività politica è diventata conflittuale e parziale, e siccome, invece, il connotato fondamentale della magistratura è l'imparzialità e l’immagine di imparzialità, le due cose sono entrate in radicale contrasto.

C’è poi un altro aspetto. Noi diciamo sempre che i magistrati non hanno bisogno del consenso, hanno bisogno della fiducia dei cittadini, i cittadini devono fidarsi dei magistrati. C’è una buona fetta della stampa di questo paese che lavora moltissimo per minare questa fiducia nei confronti della magistratura, accusandola di parzialità, di perseguire interessi politici e quant’altro. Noi dobbiamo difendere l’istituzione da questo e preservarla da quelle possibili cadute d’immagine che derivano anche dal fatto che un magistrato possa candidarsi – richiamo un caso specifico visto che ne abbiamo discusso di recente – come sindaco della città dove ha fatto il PM fino al giorno prima. Io penso che quella sia una caduta d’immagine, che necessariamente si riflette su come il magistrato ha svolto le sue funzioni fino a quel momento, perché è difficile far accettare l’idea che si possa essere imparziali fino ad oggi e poi diventare di parte il giorno dopo. Dal punto di vista dell’immagine questo non è possibile e quindi gli osservatori leggeranno la discesa in campo di quel magistrato, la sua scelta di campo, come si usa oggi dire nel linguaggio della politica, il suo schierarsi, come prova della assenza di imparzialità anche nell’esercizio delle funzioni giudiziarie.

Ancora: la politica è sempre di più affermazione individuale di soggetti che acquisiscono notorietà, è diventata sempre di più presenzialista e personalistica. Conta sempre meno quello che uno pensa, quello che uno sa, conta molto di più l’immagine, la capacità di andare in televisione, di parlare, di apparire.

Allora, la visibilità che un magistrato può ricavare dalla sua attività, in particolare se un magistrato inquirente – e non a caso il problema si pone per i magistrati del pubblico ministero – quanto può alterare il normale meccanismo democratico? E quanto può creare il legittimo sospetto, indipendentemente dalle intenzioni del magistrato, che alcune iniziative giudiziarie possano essere state motivate anche da una ricerca di notorietà finalizzata alla candidatura? Se un magistrato si candida dopo aver fatto un’indagine con larga eco mediatica, il sospetto che quella indagine sia stata anche finalizzata ad acquisire notorietà diventa legittima, anche se infondata. E noi dobbiamo togliere questo sospetto: un magistrato, se si vuole candidare, si deve candidare in un posto diverso da quello in cui ha esercitato le funzioni, perché in questo modo la sua candidatura sarà legata alle sue idee, a quello che pensa, a quello che dice, ma non a quello che ha fatto come magistrato, perché quello che ha fatto come magistrato non può entrare nell’agone della controversia politica. Dobbiamo essere molto netti. Io penso che si debba apprezzare l’iniziativa legislativa del Governo su questo punto.

Credo invece che sia cosa molto diversa l’impegno dei magistrati in incarichi amministrativi. È una cosa molto diversa e sarebbe sbagliato dire che l’assunzione di incarichi amministrativi è la stessa cosa dell’impegno in politica. Perché è proprio l’origine dei due impegni che è diversa: gli incarichi fiduciari da parte di una istituzione, che può essere un ministero, una Authority, la Presidenza del Consiglio, la Presidenza della Repubblica, il CSM, sono incarichi di tipo amministrativo, affidati a magistrati, che si fondano sicuramente su una scelta di tipo fiduciario, ma di natura tecnica, che nulla ha a che vedere con la rappresentanza politica e con l’impegno politico. Sono cose molto diverse, che non dobbiamo confondere, perché i ruoli tecnici all’interno dell’amministrazione dello Stato sono fondamentali ed hanno un connotato d’imparzialità che è, e deve essere, una caratteristica di tutta la Pubblica amministrazione. L’articolo 97 della Cost. si applica a tutti, non solo ai magistrati. Chi svolge ruoli tecnici all’interno dell’amministrazione ha un dovere d’imparzialità e non possiamo confondere l’impegno di un tecnico all’interno di un’istituzione ministeriale con la partecipazione all’agone politico.

Non è possibile, quindi, equiparare le due situazioni, anche se è giusto prevedere, come fa la proposta governativa, un periodo di decantazione tra l’incarico amministrativo e la nomina ad incarichi direttivi o semi-direttivi, il cd. bagno di giurisdizione, che serve sia a preservare l’immagine di imparzialità delle decisioni del Consiglio che a garantire la nomina di dirigenti che provengono da un impegno attuale e recente nella giurisdizione.

28 marzo 2021