Area democratica per la giustizia è un’associazione di magistrati che sono convinti che la giurisdizione, come gli altri poteri dello Stato, debbano attuare non solo le norme ma anche i valori espressi nella nostra Costituzione. Il sistema del governo autonomo della magistratura, tutelando la autonomia e l’indipendenza dei magistrati, serve proprio a garantire la funzione che la Carta assegna alla giurisdizione. La magistratura ed il suo governo autonomo vivono un periodo difficile, schiacciati fra il revanscismo della politica e la difficoltà di fare giustizia nell’epoca dei “poteri selvaggi” che sfuggono alla sovranità nazionale e rispondono solo all’interesse di chi li esercita. Conosciamo i limiti ed i difetti del potere giudiziario e di chi lo amministra ma siamo certi che, se non ne fosse garantita l’autonomia ed l’indipendenza, le prime vittime sarebbero i cittadini più indifesi. Per ragionare su questi temi, ed anche altro, ospitiamo sul sito di Area DG una nuova rubrica, che sarà poi meglio strutturata nelle prossime settimane.

Giovanni Ciccio Zaccaro

Il codice rosso rafforzato, dalla dubbia utilità per fronteggiare la piaga della violenza di genere, crea un precedente pericoloso per l’indipendenza interna dei magistrati delle Procure della Repubblica

Codice rosso rafforzato: serve davvero?

Con la legge n. 69 del 19 luglio 2019 erano state introdotte alcune novità al fine di accelerare le trattazione dei procedimenti in materia di violenza di genere o domestica.

In particolare, la previsione del termine di tre giorni entro i quali il Pubblico Ministero è tenuto ad ascoltare la persona offesa (art. 362 comma 1 ter cpp).

La disposizione ha, sin da subito, suscitato riflessioni interpretative, connesse -in particolare- alla doverosità dell’ascolto diretto ed immediato da parte del P.M. ed al problema della vittimizzazione secondaria.

Si avvertiva, da un lato, l’esigenza di conciliare la previsione dell’ascolto nell’immediatezza con le concrete condizioni di lavoro sia della polizia giudiziaria che degli uffici requirenti.

Sotto altro profilo, ci si chiedeva se la disposizione vincolasse a procedere sempre e comunque all’ascolto della persona offesa, tenuto conto delle numerose fonti, anche internazionali, che evidenziavano la necessità di non sottoporre inutilmente a stress la vittima, violando il precetto internazionale che impone di evitare ogni forma vittimizzazione secondaria. Infatti, la Convenzione di Istanbul, ratificata in Italia nel 2013, all’articolo 18 stigmatizza il fenomeno che si sostanzia nel “far rivivere le condizioni di sofferenza a cui è stata sottoposta la vittima di un reato, ed è spesso riconducibile alle procedure delle istituzioni susseguenti ad una denuncia, o comunque all’apertura di un procedimento giurisdizionale”.

E’ evidente che se si ascolta immediatamente la persona offesa, senza dunque acquisire preventivamente o contestualmente gli elementi esterni di riscontro, il rischio è quello di  doverla ascoltarla nuovamente, quando il quadro investigativo è più completo, inducendola ad un nuovo inutile patimento emotivo.

Sono stati, allora, adottati protocolli investigativi (spesso sulla scia delle prassi già esistenti in relazione ai reati contro le vittime vulnerabili) per garantire la completezza dell’audizione della persona offesa sin dal primo contatto con la polizia giudiziaria, mediante l’uso di canovacci che riproducono una tipologia di domande utili a tracciare le caratteristiche dei reati in questione.

Gli uffici giudiziari, pertanto, si sono prontamente attivati al fine di assecondare l’esigenza di accelerazione procedimentale codificata in relazione al “codice rosso”.

Ciò nonostante, negli scorsi giorni si è diffusa la notizia dell’approvazione da parte della Commissione Giustizia del Senato, di nuove norme subito battezzate “codice rosso rafforzato”.

Il rafforzamento consisterebbe nella previsione di uno speciale potere del Procuratore della Repubblica di revocare la delega di un procedimento al magistrato, qualora questi non ascolti, entro i tre giorni prescritti, la vittima di violenza. Specularmente, viene istituito un monitoraggio delle Procure Generali circa il rispetto di tali termini.

La modifica coglie oltre modo di sorpresa e, nel contempo, apre ad una serie di riflessioni in tema ordinamentale.

Invero, non si riesce a comprendere la ratio e la funzionalità della novità legislativa, laddove gli interventi degli Uffici di Procura, all’indomani della entrata in vigore del “codice rosso” sono stati di forte potenziamento al contrasto dei reati in questione, delitti che -in verità- per loro natura sono sempre stati oggetto di una forte sensibilizzazione.

Tanto più che la modifica è lontana dall’essere supportata da dati statistici che dimostrino una “inadempienza” degli uffici requirenti in tal senso, impensabile stante la profonda attenzione per i reati che afferiscono al tema della violenza di genere o domestica.

Quale ratio anima dunque la novella?

La modifica, invero, quantunque inidonea a contribuire al contrasto ai reati contro le vittime vulnerabili, suggerisce nell’opinione pubblica l’idea che i magistrati siano stati riottosi nell’eseguire il compito a loro assegnato. Pare improntata più all’esigenza di “fare vedere” che il legislatore si occupa del fenomeno piuttosto che fronteggiarne le cause.

Il dispiacere per l’intento è solo pari a quello per una occasione persa per occuparsi di adottare strategie che realmente rendano efficace dapprima la prevenzione e poi il contrasto  del fenomeno: educazione sin dall’età scolare,  presidi socio assistenziali specializzati, centri antiviolenza e percorsi di supporto per i maltrattanti.

Vieppiù, la disposizione introduce sibillinamente un nuovo meccanismo che rafforza la gerarchizzazione degli uffici di procura, istituendo ed aprendo la strada ad una revoca ad libitum del fascicolo da parte del procuratore ed “in danno” del sostituto.

Una strada pericolosa, che frustra i numerosi interventi della normazione secondaria correttamente tesi a “ridimensionare” il potere del procuratore della Repubblica, a rendere più trasparenti i criteri di assegnazione, a procedimentalizzare il meccanismo di revoca (da intendersi di natura assolutamente eccezionale), a limitare l’esercizio di poteri ad libitum del dirigente.

La revoca è, invero, disciplinata dall’art. 15 della circolare consiliare sulle procure che, oltre ad incoraggiare la interlocuzione fra il dirigente dell’ufficio e il sostituto titolare e ad tipizzare le ipotesi di esercizio del potere, regolamenta la procedura mediante l’istituzione di competenze del Consiglio Giudiziario e del Consiglio Superiore della Magistratura: “5. Entro dieci giorni dalla comunicazione della revoca di cui ai commi 1 e 2, il magistrato può presentare osservazioni scritte al Procuratore della Repubblica, che - nei successivi cinque giorni - le trasmette, unitamente all’atto di revoca e ad eventuali proprie controdeduzioni, al C.S.M. affinché siano verificati la sussistenza dei presupposti richiesti, il rispetto delle regole procedimentali e la ragionevolezza e congruità della motivazione adottata. Il Procuratore della Repubblica trasmette in ogni caso il decreto con i relativi allegati al C.S.M. che, in presenza di osservazioni, può chiedere al Consiglio Giudiziario di esprimere il proprio parere nel termine di trenta giorni, salvo quanto previsto dal comma 6”.

La nuova norma bypassa queste disposizioni ed apre la strada per eccezioni che vanificano il percorso di tabellarizzazione faticosamente portato avanti dal Consiglio Superiore della Magistratura ed accolt, parte, dalla riforma Cartabia.

La sensazione è che si utilizzi la tematica del “codice rosso”, di grande presa per la opinione pubblica, come l’ennesimo slogan per delegittimare la magistratura, assumendo anche il rischio, non si sa quanto meditato, di incidere sul delicato tema della organizzazione delle procure e della indipendenza interna dei singoli sostituti.

Graziella Viscomi
Procura Catanzaro

Area democratica per la giustizia è un’associazione di magistrati che sono convinti che la giurisdizione, come gli altri poteri dello Stato, debbano attuare non solo le norme ma anche i valori espressi nella nostra Costituzione. Il sistema del governo autonomo della magistratura, tutelando la autonomia e l’indipendenza dei magistrati, serve proprio a garantire la funzione che la Carta assegna alla giurisdizione. La magistratura ed il suo governo autonomo vivono un periodo difficile, schiacciati fra il revanscismo della politica e la difficoltà di fare giustizia nell’epoca dei “poteri selvaggi” che sfuggono alla sovranità nazionale e rispondono solo all’interesse di chi li esercita. Conosciamo i limiti ed i difetti del potere giudiziario e di chi lo amministra ma siamo certi che, se non ne fosse garantita l’autonomia ed l’indipendenza, le prime vittime sarebbero i cittadini più indifesi. Per ragionare su questi temi, ed anche altro, ospitiamo sul sito di Area DG una nuova rubrica, che sarà poi meglio strutturata nelle prossime settimane.

Giovanni Ciccio Zaccaro

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