Faceva un caldo che si bruciava
“Minchia signor tenente, faceva un caldo che si bruciava, la provinciale sembrava un forno, c’era l’asfalto che tremolava e che sbiadiva tutto lo sfondo. Ed è così, tutti sudati, che abbiam saputo di quel fattaccio, di quei ragazzi morti ammazzati, gettati in aria come uno straccio, caduti a terra come persone che han fatto a pezzi con l’esplosivo, che se non serve per cose buone può diventare così cattivo che dopo quasi non resta niente”
(Giorgio Faletti, Signor Tenente, 1994)
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”
(Bertold Brecht, Vita di Galileo, 1939)
Il 23 maggio del 1992 avevo quindici anni, frequentavo il quinto ginnasio, e quel sabato pomeriggio sapeva già di un anticipo di vacanze estive. Era ancora il periodo della spensieratezza adolescenziale, quello della consapevolezza e dell’impegno civile sarebbe arrivato di lì a breve.
L’Italia era attraversata da una grave crisi politica e 15 votazioni in Parlamento non erano bastate ad eleggere il nuovo Presidente della Repubblica.
Alle ore 17:58 di quell’assolato sabato pomeriggio, un enorme boato scuote un Paese intorpidito. A Palermo un tratto dell’autostrada A29, all’altezza dello svincolo per Capaci, viene fatto saltare in aria con 300 kg di tritolo nel momento esatto in cui stanno passando le tre auto con a bordo il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della loro scorta.
Di tre uomini che componevano la scorta è stato difficile persino ricomporre le salme. Altri, compreso l’autista giudiziario, rimasero gravemente feriti.
I magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo moriranno invece poche ore dopo nell’Ospedale Civico di Palermo. Era l’inizio dell’estate più “fredda” degli ultimi 33 anni.
Quando 57 giorni dopo altri quintali di tritolo si portarono via anche Paolo Borsellino e la sua scorta, le drammatiche parole di Nino Caponnetto, ex capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, interpretarono il senso di smarrimento di un intero Paese.
Mi sono chiesto tante volte cosa avrà pensato Giovanni Falcone in quella sua ultima ora di vita.
Voglio sperare che non si sia sentito sconfitto da una mafia che lui aveva combattuto con un metodo scientifico ottenendo risultati che nessuno prima di lui era riuscito a raggiungere; anzi voglio sperare che abbia ripensato a quelle sue parole: “La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine” e voglio pensare che lo abbia fatto nella consapevolezza che, con il suo esempio, stava lasciando un segno indelebile nella storia del suo Paese.
Giovanni Falcone, suo malgrado, era diventato un simbolo, e questo lo rese un magistrato scomodo, non solo per la mafia, che ha combattuto con determinazione, ma anche per un pezzo delle istituzioni che, evidentemente, nella migliore delle ipotesi, non erano ancora mature per sostenere fino in fondo la sua battaglia di civiltà.
Contro Giovanni Falcone si sono scatenati “torbidi giochi di potere e sentimenti di invidia” che non gli hanno consentito di proseguire efficacemente nella sua attività di contrasto al fenomeno mafioso: non fu nominato capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, né Procuratore nazionale antimafia, né Alto Commissario per il coordinamento della lotta alla mafia, tutti incarichi per i quali, non c’è dubbio, che Giovanni Falcone non solo era il più meritevole, ma sarebbe stato anche il più capace e forse era proprio questo che faceva paura, non solo alla mafia.
Di quel pomeriggio del 23 maggio 1992, ricordo il silenzio irreale che si respirava a casa, una casa solitamente abituata al frastuono tipico delle famiglie numerose. Un silenzio rotto solo dalle edizioni straordinarie dei telegiornali che raccontavano in diretta una delle pagine più buie della storia italiana. Ma ricordo soprattutto lo sguardo di mio padre, perso, smarrito, quasi incredulo di fronte alle immagini di quel cratere in cui, in quel momento, sembrava che stesse sprofondando anche lui, come tutte le persone perbene di questo Paese.
E per un attimo ho sperato che anche lui come Giovanni Falcone stesse ripetendo tra sé e sé che “la mafia non è affatto invincibile, ma è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine”.
Rocco Gustavo Maruotti
Il Passato talvolta ritorna.
Se non ritorna, forse non è passato.
Occuparsi di giustizia comporta anche conoscere il tempo e la storia, luoghi dove sono sorti i diritti, ma anche i bisogni e il sentire degli individui e delle collettività. Con “Ieri e oggi” facciamo un salto settimanale nel passato, un modo diverso per interrogarci sull’attualità.
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(giornata internazionale contro il lavoro minorile)