Intervento di Marcello Basilico
Signor Presidente della Repubblica, Signori Consiglieri,
ho chiesto di potere intervenire per potere condividere con Voi l’ossequio per me inevitabile a quello che considero, al pari di tanti magistrati della mia stessa estrazione professionale, un compagno di viaggio. Pietro Curzio, anzi Piero Curzio, lasciando la magistratura ci lascia una testimonianza dell’apporto al disegno di un modello alto di magistrato va dato atto: non è soltanto un tributo al collega e all’amico, ma anche e soprattutto la partecipazione del suo percorso umano e professionale, preciso e coerente al punto da lasciare una traccia profonda per quanti tra noi continueranno a prestare l’attività nel mondo giudiziario.
Quando divenni giudice, anzi per pochi mesi ancora pretore (per dire del tempo che da allora è trascorso), del lavoro, conobbi di fama e presto di persona, Piero Curzio. Ne compresi in breve tempo lo spessore e il profilo. E tali sono rimasti, vividi e intatti, anzi esaltati, nei venticinque anni successivi, sino alla sua funzione di Primo Presidente.
Piero Curzio è stato giudice e scienziato del diritto, è stato magistrato capace come pochi di costruire un ponte solido tra magistratura, accademia e – anche tramite questa – avvocatura; come tutti i ponti, ha creato unione e condivisione, in questo caso di saperi, contribuendo a rendere il mondo dei giuslavoristi un’oasi felice di confronto sempre aperto, schietto e intraprendente, nel quale la soluzione del caso concreto e la lettura del quadro di sistema venivano ricercati in una sintonia obbligata.
Il diritto al lavoro e i diritti della persona che lavora sono stato così ricondotto al quadro costituzionale, senza mai dimenticare le ragioni della controparte, fosse questa l’imprenditore, un singolo cittadino, la pubblica amministrazione: la dottrina, di cui Piero Curzio è stato maestro e veicolo infaticabile, coniugata alla pratica giudiziaria, al processo.
Da lui abbiamo recepito anche la forza della mitezza – che non è un ossimoro – nel dare giustizia, anche quando essa segna momenti devastanti nella vita di una persona, ma al tempo stesso la fermezza della posizione del giurista. Ricordo ancora il termine felice con cui definì in uno scritto una locuzione inserita in una norma della disciplina sul rito dei licenziamenti. Di quella norma proprio oggi salutiamo l’abrogazione, ma quell’espressione arguta resta come una citazione entrata nel patrimonio culturale del giuslavorista.
Piero Curzio è anche uomo di cultura, che apre la via a un diritto che viene dopo la giustizia e l’umanità, condividendo regole di altre scienze e arrivando a lambire, talvolta a invadere piacevolmente anche altro. I concerti serali nel cortile della Corte di Cassazione sono stati eventi memorabili.
Ho creduto doveroso partecipare al Consiglio e a tutti coloro che ci ascoltano questo breve profilo, perché so di essere in ottima compagnia nel sentirmi debitore di un “grazie” sincero per quanto ho imparato da Piero.
E un debito ulteriore avverto nell’occasione e nell’onore di salutare il conferimento dell’incarico di Primo Presidente a Margherita Cassano. Che non è solo la prima donna ad assumere questa funzione; che è anche la felice sintesi professionale delle diverse anime che popolano la nostra categoria: giudice e pubblico ministero, tra l’altro addetta anche agli affari civili; magistrato di merito e consigliere di legittimità; componente del CSM e dirigente di ufficio giudiziario; studiosa del diritto e dedita all’organizzazione di strutture complesse.
Quando parleremo di “cultura comune della giurisdizione” sapremo che non è una frase fatta, perché potremo pensare all’esperienza della nostra Prima Presidente. E già per ciò solo le dobbiamo gratitudine.