MARZO
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Diario dal Consiglio del 19 marzo 2021

Le riforme sull’ordinamento e sull’elezione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura: un crocevia cruciale per il governo autonomo, tra necessità di ricostruirne la credibilità d’azione e quella di conservarne il ruolo costituzionale di presidio dell’indipendenza della magistratura e della giurisdizione.

 

Il Plenum

Pareri sul Disegno di legge AC 2681

Nel corso del plenum del 17 marzo sono stati discussi tre dei pareri espressi dalla VI commissione sul Disegno di legge presentato il 28 settembre 2020 alla Camera dei Deputati (A.C. 2681) recante: “Deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario militare, nonché disposizioni in materia ordinamentale, organizzativa e disciplinare, di eleggibilità e ricollocamento in ruolo dei magistrati e di costituzione e funzionamento del Consiglio superiore della magistratura”.

Gli stessi in particolare riguardavano:

 Gli altri tre saranno discussi la settimana prossima e riguardano:

Si tratta di un lavoro estremamente rilevante e complesso, che ha impegnato a lungo la Commissione e si è concluso con proposte di delibera approvate quasi tutte all’unanimità.

In questa sede non possiamo, per ovvie ragioni di spazio, ripercorrere il contenuto molto articolato dei singoli pareri che sono stati illustrati (al cui testo rimandiamo) e dei numerosi emendamenti che sono stati presentati e che verranno discussi e votati in sedute successive.

Ma ci sembra importante dare atto almeno di quella parte della discussione molto interessante che ha riguardato la premessa dei due primi pareri (“La limitazione del potere discrezionale del Consiglio superiore della magistratura. Criticità), rispetto alla quale la componente laica ha presentato un emendamento interamente soppressivo, stigmatizzandone il contenuto perché ritenuto una sorta di manifesto ideologico sulla “politicità” del Consiglio oltre che una difesa corporativa (perché proveniente dalla componente togata) dello status quo, ovvero di una discrezionalità che sarebbe origine e causa delle disfunzioni che hanno provocato la grave crisi che tutti conosciamo, e ciò in quanto rivendicherebbe una sorta di “riserva di normativa secondaria in materia di ordinamento” disconoscendo la “riserva di legge” prevista dalla Costituzione in materia.

La premessa in questione sottolinea come “L’intervento determina una complessiva limitazione del potere discrezionale del Consiglio superiore della magistratura, che viene in grande misura trasformato in potere amministrativo vincolato attraverso l’attrazione, a livello normativo primario, della disciplina, anche di dettaglio, finora prevista in sede di auto-vincolo dalle circolari consiliari, peraltro, mutuando proprio da quelle vigenti, i principi e i criteri direttivi formulati con riferimento ai vari settori di intervento; scelta legislativa che, “finendo per irrigidire nella tendenziale stabilità della norma primaria regole fin qui affidate alla più agile flessibilità della disciplina secondaria (certamente più rapidamente adattabile a possibili esigenze emergenti dalle dinamiche di settore, come d’altra parte testimoniato dall’evoluzione delle circolari consiliari sul tema) genera perplessità, anche per il ridimensionamento delle attribuzioni costituzionali dell’organo consiliare che essa comporta”. Richiama inoltre il rilievo costituzionale che assumono le competenze consiliari nel governo autonomo della magistratura (ai sensi dell’art. 105 Cost “Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati”), per sottolineare che ciò “consente di escludere che il Costituente abbia inteso assegnare al Consiglio attribuzioni solo di carattere formale e che il ruolo di quest’ultimo si esaurisca nel dare attuazione a dettagliati precetti del legislatore” in conformità a quanto espresso, già nel 1991, dalla Commissione presidenziale per lo studio dei problemi concernenti la disciplina e le funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura (cd. Commissione Paladin), nella cui relazione conclusiva si legge: “è abbastanza pacifico che l’esistenza di un organo quale il CSM rischierebbe di non avere senso se i provvedimenti ad esso spettanti fossero del tutto vincolati alla necessaria e meccanica applicazione di previe norme di legge”.

Si tratta di acquisizioni che dovrebbero considerarsi scontate e non revocabili in dubbio. Invece si è scelto di darne una rappresentazione, anche mediatica, tutta ideologica e del tutto distante dalla realtà.

Sul punto riportiamo una sintesi dell’intervento di Giuseppe nel quale ci riconosciamo.

La rappresentazione che è stata data, anche con dichiarazioni alla stampa, di questo dibattito non corrisponde alla realtà. È sorprendente che un testo votato all’unanimità in Commissione venga qui rimesso in discussione dagli stessi che lo hanno votato.
Nella delibera approvata, ripeto alla unanimità, dalla Commissione, non ci sono scritte le cose che alcuni oggi hanno contestato.
Certamente non c’è scritto che il legislatore non può intervenire su queste materie che sarebbero riservate alla normativa secondaria del Consiglio.
Quello che c’è scritto è che la trasformazione in legge dei contenuti di dettaglio delle circolari del CSM crea rilevanti problemi pratici, in quanto la rigidità dello strumento legislativo rende molto difficili quegli interventi di correzione e di adeguamento che normalmente si fanno sulle circolari.
Certamente il parere contiene anche una giusta rivendicazione della legittimità degli spazi di discrezionalità del CSM.
Ma tutti sappiamo che l’idea secondo la quale il legislatore può disciplinare ogni aspetto e dettaglio di una materia, senza lasciare alcun margine di discrezionalità all’interprete è del tutto illusoria prima ancora che sbagliata.
È dunque del tutto fuorviante questa rappresentazione, anche mediatica, di uno scontro tra laici e togati, nel quale i primi vorrebbero moralizzare l’attività del CSM e i secondi vorrebbero difendere un sistema fondato sull’arbitrio.
Peraltro, le norme del Testo Unico della Dirigenza che il legislatore vorrebbe trasferire a livello di normazione primaria non sono assolutamente in grado di garantire quella obiettività di risultato che si vorrebbe perseguire.
Più volte, sin dall’inizio della consiliatura, ho rappresentato la necessità di un radicale ripensamento delle disposizioni del Testo Unico della dirigenza, al fine di rendere più trasparenti e leggibili le decisioni in materia.
Nel giugno del 2019, dopo i noti fatti dell’hotel Champagne, insieme ad altri componenti ho presentato una proposta di riforma con la quale si attribuisce maggiore peso alla esperienza professionale dei candidati. E questa proposta è attualmente oggetto di discussione nella Commissione.
Che senso ha trasferire oggi nella legge norme che sulla base della nostra quotidiana esperienza si sono dimostrate non idonee e che stiamo cercando di cambiare?
È giusto che il legislatore detti regole di indirizzo, anche fortemente vincolanti, quale potrebbe essere l’innalzamento della anzianità per l’accesso agli incarichi o l’attribuzione di maggiore peso alla esperienza professionale, come io auspico e come deciso di recente con la riforma della circolare sulla Cassazione. Ma è sbagliato fissare regole di dettaglio che finirebbero per ingessare l’attività del Consiglio.
Se poi a queste regole si giustappone la possibilità di fare eccezione in nome del famigerato criterio dello spiccato rilievo di un candidato, cioè quel criterio che nell’epoca dell’anzianità senza demerito ha sempre consentito ampi margini di manovra alle maggioranze consiliari, allora davvero si rischia di fare esattamente il contrario di quello che si vuole (o si dice di voler) fare”.

La discussione, come detto, proseguirà la prossima settimana, e daremo atto dello sviluppo di questa importante aspetto di approccio alla riforma.

Nuova valutazione di professionalità di un magistrato cui era stato negato il riconoscimento della VI valutazione con delibera plenaria del 23.1.2013

Su proposta della IV Commissione (relatore cons. Braggion) è stata discussa una pratica delicata, relativa al riconoscimento della VI valutazione di professionalità di un magistrato del Tribunale di Pisa. Detta valutazione, relativa al quadriennio 30.4.2006-30.4.2010, era stata negata con delibera plenaria del 23.1.2013 in relazione a fatti avvenuti tra il dicembre 2007 e il febbraio 2008, per i quali il collega era stato condannato sia in sede penale che disciplinare, per il danneggiamento, in quattro diverse occasioni, dell’autovettura di una collega, parcheggiata all’interno del Tribunale.

La delibera aveva individuato altresì il nuovo periodo di valutazione, ovvero il biennio dal 30.4.2010 al 30.4.2012, oggetto per l’appunto dello scrutinio del Consiglio.  

In detto periodo è intervenuta un’altra vicenda disciplinare nella quale il medesimo magistrato è stato incolpato di aver cagionato, nel corso di un alterco per ragioni di viabilità stradali occorso il 3.3.2012, lesioni personali alla gamba ad una signora colpendo con un calcio la portiera della sua vettura mentre la stessa si apprestava a scendere, giudicate guaribili in 7 giorni, ed, inoltre, per averla offesa dicendole “sei una maledetta” ed averla minacciata dicendole “adesso te la faccio vedere io questa me la paghi”. Il relativo procedimento penale si è definito con sentenza del Giudice di Pace della Spezia di non doversi procedere a seguito dell’avvenuta riparazione del danno. Mentre in sede disciplinare è stata applicata la sanzione della censura.

Ulteriore episodio, discusso nella delibera, è quello oggetto di un esposto dell’8 febbraio 2012 del Presidente della Camera Penale di Pisa avente ad oggetto un episodio accaduto il 18 gennaio 2012 per la miglior descrizione del quale si rimanda alla delibera.

La IV Commissione, con quattro voti a favore (Braggion, Dal Moro, Di Matteo, Grillo) e due astenuti (Cavanna e Benedetti) ha ritenuto che la condotta non potesse ritenersi di gravità tale da giustificare un parere nuovamente negativo sul prerequisito dell’equilibrio (con conseguente espulsione dall’ordine giudiziario).

Dopo ampia discussione il Plenum ha approvato la proposta con 13 voti favorevoli (cons. Ardita, Benedetti, Braggion, Celentano, Ciambellini, Dal Moro, Di Matteo, Donati, D’Amato, Grillo, Miccicchè, Suriano, Zaccaro) 6 contrari (Basile, Cascini, Chinaglia, Lanzi, Marra, Pepe) e 4 astenuti (Cavanna, Cerabona, Gigliotti, Salvi).

Alessandra, Ciccio e Mario hanno votato a favore della proposta della Commissione, per le seguenti ragioni:

Elisabetta e Giuseppe hanno votato contro la proposta di valutazione positiva, esponendo le seguenti ragioni:

La vicenda ha messo in luce, comunque, alcuni limiti dell’attuale sistema di valutazioni di professionalità. In particolare: l’eccessiva rigidità della previsione della decadenza in caso di doppia valutazione negativa; i ritardi determinati dalla sospensione del procedimento di valutazione in pendenza di procedimento disciplinare (a sua volta sospeso per la pendenza di un procedimento penale), che non consentono di rendere effettiva la rivalutazione successiva ad un giudizio negativo (che nella specie hanno fatto sì, come avviene spesso ma in modo paradossale, che la prima delibera negativa fosse stata pronunciata dal Consiglio dopo lo spirare del cd. “biennio di verifica”).

Applicazioni straordinarie di magistrati nella materia della protezione internazionale

Su proposta della VII Commissione è stata approvata una interessante delibera attinente alla materia delle applicazioni straordinarie di magistrati per l’emergenza connessa all’incremento del numero di procedimenti giurisdizionali connessi con le richieste di accesso al regime di protezione internazionale e umanitaria da parte dei migranti presenti sul territorio nazionale.

Il contenzioso civilistico in tema di protezione internazionale è stato ed è tuttora, sul piano quantitativo, di enorme impatto per gli uffici giudiziari italiani e, quindi, deve rappresentare il prioritario criterio di valutazione per far luogo alle applicazioni speciali prevista dalla legge. Tuttavia, considerate le difficoltà organizzative che, le medesime inevitabilmente determinano negli uffici “cedenti”, soprattutto se di ridotte dimensioni, è stato ritenuto, opportunamente, di procedere ad una ragionata individuazione degli uffici in cui vi è effettiva necessità di dare ingresso alla procedura in oggetto ed alla valutazione comparativa delle diverse esigenze. E ciò, nel solco delle precedenti delibere adottate dal Consiglio, sulla base della valorizzazione di alcuni specifici indicatori relativi al biennio 2019/2020 (e segnatamente le sopravvenienze e le pendenze nella materia in rapporto all’organico complessivo dell’ufficio ed il peso percentuale delle pendenze in materia di protezione internazionale sulle pendenze complessive dell’ufficio); ma anche rappresentando agli uffici che potrà essere oggetto di valutazione l’impossibilità di far fronte all’incremento dei procedimenti con modalità diverse dall’applicazione extradistrettuale nonostante l’intervenuta assegnazione di un numero di magistrati assegnati in modo proporzionato al numero delle sopravvenienze (ai sensi dell’art. 68 della vigente circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti per il triennio 2020/2022): elementi quali, ad esempio, la scopertura giuridica ed effettiva dell’ufficio, con indicazione, quanto alla scopertura effettiva, della causa della stessa e della sua presumibile durata; il carico di lavoro dei magistrati dell’ufficio con specifica indicazione dei flussi in entrata e in uscita). E ciò in coerenza con il principio generale di sussidiarietà di cui all’articolo 2 della vigente circolare in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni e magistrati distrettuali, secondo cui il regolare svolgimento della funzione giurisdizionale deve essere assicurato utilizzando, ove possibile, le risorse interne all’ufficio, proprio perché solo l’impossibilità di far fronte alle difficoltà organizzative ricorrendo alle risorse interne può giustificare il sacrificio delle esigenze dell’ufficio di provenienza del magistrato applicato.

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La prossima settimana, nel corso del plenum dedicato all’approvazione del parere sui PED, interverranno il Presidente della Repubblica e la Ministra della Giustizia Marta Cartabia.

…vi racconteremo

Alessandra, Elisabetta, Ciccio, Giuseppe e Mario